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In aequoribus bellorum relicta

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Ecco la cronaca d’un grande evento convegnistico in cui i relitti militari sommersi e i loro ardimentosi esploratori ci parlano di come studiare, ricostruire e comunicare la storia secondo il suo svolgimento più autentico

A cura di Marco Mori. In foto d’apertura: deposizione di corona floreale sullo Sciré. Autore: A. Dabalà, su gentile concessione di IANTD S.r.l

Al cospetto della monumentale Lanterna che, austero e suggestivo simbolo d’una Genova sempre “Superba” pur se sferzata da pioggia e vento, dai 77 metri del promontorio di capo Faro domina e sovrasta tutto, s’è svolto da pochissimo un incontro di studio di tale interesse da far scommettere che resterà negli annali degli appassionati di relitti bellici.

Il convegno è stato sapientemente organizzato dall’Associazione Nicoloso da Recco che, nata il 1° giugno 2012 e prendendo il nome dall’omonimo cacciatorpediniere in servizio durante la 2^ guerra mondiale, si interessa di storia della marina e in particolare del 2° conflitto mondiale.

Proprio il nome dell’associazione dà il via al primo intervento del professor Francesco Surdich con i viaggi e le esplorazioni del navigatore genovese Nicoloso da Recco che nel 1341, insieme al fiorentino Angiolino del Tegghia de’ Corbizzi, compì un viaggio alle Canarie per conto di Alfonso IV del Portogallo. Viaggi ed esplorazioni tramandati alla storia dalla penna del Boccaccio nel “De Canaria et insulis reliquis ultra Hispaniam noviter repertis”, in cui il poeta descrive le isole Canarie, la popolazione dei Guanci, i loro usi e costumi, le abitazioni, le piante e l’aspetto geomorfologico delle isole. Un viaggio di esplorazione marittima che forse non ebbe grandi riscontri economici nell’immediato, ma ebbe il grande merito di riaccendere l’interesse verso sempre più ampie porzioni dell’oceano Atlantico, tanto che in alcuni decenni, con Bartolomeo Diaz e soprattutto Cristoforo Colombo, se ne conobbe l’esatta estensione tanto verso il Sud quanto verso l’Ovest.

Due prestigiosi interventi del relatore Fabio Ruberti “SMS Szent István la corazzata dell’impero” e “Sciré vittima eccellente di Ultra Secret”. Ruberti da storico, da subacqueo, da appassionato di navi ha scelto di raccontarci la storia di due simboli, due icone per tutti noi appassionati di relitti.

Ma partiamo con ordine. La corazzata Santo Stefano rappresenta un simbolo sia per la marina Croata sia per la nostra marina Italiana. L’azione di Premuda rappresenta forse la più brillante e audace azione navale della 1^ Guerra Mondiale. Nella notte tra il 9 e il 10 Giugno 1918 due MAS (MAS 15 e MAS 21) al comando del Capitano Luigi Rizzo lasciavano il porto di Ancona dirigendosi verso l’isola di Premuda dove avrebbero dovuto effettuare una normale operazione di routine. Durante le operazioni di rastrellamento i MAS intercettarono il potente convoglio navale austriaco che, uscito dalla base nemica di Pola, stava dirigendosi verso il Canale di Otranto per forzarne il blocco. Ebbe così origine, in maniera quasi fortuita, una delle più brillanti azioni navali della prima guerra mondiale, nel corso della quale, a conclusione di un attacco condotto con incredibile coraggio, il Comandante Rizzo silurò e affondò la corazzata “Santo Stefano”. La flotta austriaca si trovava in mare nel tentativo di uscire da una lunga e umiliante situazione di stallo. Il piano dell’Ammiraglio Austriaco era chiaro: attaccare all’improvviso, con una imponente forza navale, per forzare il blocco del canale di Otranto e distruggere le forze messe a protezione, prima che la parte più consistente della flotta alleata, concentrata a Taranto e a Corfù, potesse intervenire. Purtroppo per lui il suo piano fallì nel momento in cui la sua rotta incrociò quella del Capitano Rizzo, che con sapiente maestria mise a segno due colpi mortali facendo crollare l’elemento sorpresa e stroncando così l’impresa sul nascere, costringendo la flotta austriaca a rinunciare definitivamente all’ambizioso progetto. La battaglia di Premuda rimase poco nota al popolo italiano, fino a quando, nel 1939, la data dell’azione fu scelta come festa della Marina Militare italiana. Al fine di documentare con foto e video e con una bellissima ricostruzione tridimensionale del relitto vengono effettuate da IANTD Expedition ed in collaborazione con il Ministero della Cultura croata 3 spedizioni negli anni 2003, 2005 e 2009. Veramente un lavoro del massimo spessore.

Il successivo intervento di Ruberti ha riguardato il ritrovamento del leggendario sommergibile Sciré e soprattutto la scoperta della vera storia di come sia effettivamente affondato. Sciré: un nome che nessun marinaio d’Italia ignora. Il sommergibile è intimamente legato alla X MAS, al suo comandante Junio Valerio Borghese e alla leggendaria impresa di Alessandria. “Sei italiani equipaggiati con materiale di costo irrisorio hanno fatto vacillare l’equilibrio militare nel Mediterraneo a vantaggio dell’Asse”. Così Churchill commentò la sconfitta. Prioritario apparve dunque agli occhi degli inglesi l’eliminazione dallo scenario bellico dello Sciré. Ruberti con passione e professionalità ha illustrato e raccontato le sua attività di ricerca iniziata nel 2008 con un intenso lavoro negli archivi italiani e britannici e nello studio del sistema di rilevamento anti sommergibile denominato “indicator loops”. Queste meticolose ricerche hanno confermato che gli inglesi erano informati della missione dello Scirè grazie alle intercettazioni di Ultra Secret e che una trappola lo attendeva di fronte alle coste di Haifa.

Purtroppo il 10 agosto 1942 gli “indicator loops” diedero l’allarme e cosi l’artiglieria costiera, le navi e tutta la forza bellica nemica si riversarono sullo Sciré che affondò con il suo comandante Bruno Zelik, tutto il suo equipaggio e gli “uomini gamma”, entrando così nella leggenda come protagonista anche nell’attività subacquea; ed è tutt’oggi uno dei battelli navali più famosi ed amati al mondo. Tre le spedizioni di IANTD Expedition, nel 2008, 2011 e 2015, per documentarne lo stato tramite foto e video e soprattutto crearne una modellazione visiva 3D assolutamente realistica.

Con un incredibile volo di oltre due secoli Marco Colman, Alessadro Garulla e Simon Luca Trigona ci portano nel marzo del 1795 nelle acque antistanti Noli dove i più potenti eserciti navali dell’epoca, quello francese da una parte e quello inglese dall’altra, si affrontano nella Battaglia di Capo Noli, nota anche come Battaglia di Genova. Tra i protagonisti di questa battaglia navale troviamo proprio Horatio Nelson, un giovane capitano britannico che entro pochi anni sarebbe diventato il comandante navale più famoso nella storia della sua nazione. La Battaglia di Capo Noli è anche uno dei primi scontri combattuti tra gli Stati-nazione per motivi ideologici: lo scontro visto con lo scopo dell’annientamento totale dell’avversario. Un modo di combattere più impetuoso, che ha via via sostituito quello più “aristocratico” usato in precedenza. Marco Colman ci racconta la storia del ritrovamento quasi fortuito di un cannoncino durante un’immersione a 65 metri di profondità. E di tutte le ricerche e le intuizioni che sono state necessarie per stabilire che il relitto trovato era quello di una lancia armata francese usata per operazioni militari come l’abbordaggio di imbarcazioni nemiche e le incursioni a terra. Essenziale nelle operazioni di ricerca e di recupero la nave Anteo, il comandante ammiraglio Paolo Pezzutied e il Comsubin. Il valore dei ritrovamenti, tra cui le famose ceramiche di Albisola, sapientemente descritte dalla Dott.sa Eleonora Fornelli, un sestante, una pistola non militare, persino i resti di un cadavere ed il racconto della “maniglia della porta” che poi risultò essere parte di un moschetto, uniscono fascino ed emozione alla narrazione. Un ritrovamento davvero eccezionale.

Ma ritorniamo nel mar Adriatico dove il professor Luigi Fozzati ci illustra la scoperta del relitto dei “Cannoni” nel 2003 durante alcune operazioni di scavo per la realizzazione di una diga all’interno del più grande progetto MOSE, tanto discusso proprio in questi giorni. Le operazioni di scavo avvenute tra il 2005 e il 2006 hanno rivelato che la nave si è arenata su un basso fondale sabbioso a non più di 5 metri di profondità e qui è rimasta intrappolata fino alla sua completa distruzione. Il relitto giace in assetto di navigazione e ha una lunghezza di circa 44 metri mentre la larghezza massima è di circa 10 metri; infine l’altezza raggiunge a stento il metro e mezzo. All’interno del relitto si è identificata una grossa concrezione ferrosa che contiene centinaia di proiettili da cannone di vario calibro praticamente fusi al suo interno. Alla fine della campagna 2005 si è quindi iniziata un complessa e lenta azione di recupero e di pulizia dello strato concrezionato, trovando al di sotto della massa ferrosa numerosi reperti lignei relativi presumibilmente all’attrezzatura di bordo. Procedendo verso poppa si trovano i resti della paratia che delimita la stiva centrale della nave. All’interno sono stati trovati quattro cannoni di ferro, due dei quali son stati recuperati. Tutte le principali parti dello scafo sono realizzate con legno di quercia mentre la sottile lamina di rivestimento esterno è invece di legno di larice. All’esterno del relitto è stata scoperta la pala del timone, che presenta dimensioni considerevoli proprie di un grande vascello.

Curioso il ritrovamento di un baule da viaggio con all’interno 94 piatti in lega di stagno, oppure di un ferro da stiro o quello dei resti di un candelabro. Oltre ai cannoni è stato scoperto un fucile integro e una pistola completamente concrezionata ma ben riconoscibile. Le ricerche d’archivio hanno permesso di identificare il relitto come la nave “Croce Rossa” varata nell’Arsenale di Venezia nel 1698 e naufragata poco fuori dalla bocca di porto di Malamocco nella notte tra il 26 e il 27 novembre del 1715.

Rimaniamo in Adriatico con il professor Jurica Bezak con la battaglia di Lissa nel luglio 1866 nelle vicinanze dell’isola omonima (in croato: Vis), tra la Kriegsmarine, la Marina da Guerra dell’Impero austriaco e la Regia Marina del Regno d’Italia. Fu la prima grande battaglia navale tra navi a vapore corazzate e l’ultima nella quale furono eseguite deliberate manovre di speronamento. L’obiettivo principale italiano era quello di conquistare il Veneto sottraendolo all’Austria e scalzare l’egemonia navale austriaca nell’Adriatico. Le flotte erano composte da navi di legno a vela e vapore e navi corazzate anch’esse a vele e vapore. La flotta italiana superava la flotta austriaca; entrambe le marine mostravano una assai scarsa preparazione sul piano tecnico, ma quella italiana, oltre alle deficienze tecniche, presentava gravissimi problemi di coesione tra i comandanti e uno scarso addestramento degli equipaggi. Jurica Bezak ci racconta il tracollo della flotta tricolore di fronte a quella asburgica e la storia della sconfitta italiana.

L’ultimo intervento ci riporta all’epoca attuale ma ci trascina negli abissi, dove la dottoressa Marzia Bo ci fa immergere, con l’ausilio di potenti ROV, alla ricerca di relitti profondi e racconta l’analisi della biodiversità che si sviluppa e cresce su di essi. È uno studio proprio affascinante vedere quali forme di vita decidono di avere come “casa” parti di ferro o legno o ceramica che giacciono a profondità così importanti e le modalità con cui “scelgono” un’area piuttosto che un’altra.

In conclusione è stata un’interessantissima giornata di studio e approfondimento; l’associazione sta già pensando a una possibile seconda edizione tra un anno o forse due. E noi restiamo in attesa.


Le orche di Voltri

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Cronaca, misteri, chiarimenti e esito dei ripetuti avvistamenti ravvicinati di orche marine nello specchio di mar Ligure antistante il porto del circondario genovese

A cura di Marco Mori

«Eravamo quattro orche a Pra’ che volevano girare il mondo…», prendo in prestito la canzone del conterraneo Gino Paoli per raccontarvi la notizia che sta ancora impazzando su quotidiani e social network di tutta la Liguria, anzi direi proprio di tutta Italia.
Quattro orche sono state avvistate domenica 1° dicembre e per più volte, fino a 48 ore dopo (mentre scrivo), nel porto di Pra’-Voltri. Sì sì, avete letto proprio bene: un “pod” – così ho scoperto chiamarsi il piccolo nucleo familiare di orche marine (Orcinus orca) – è stato avvistato nel mare di Voltri.
Sinceramente, dopo più di un mese di pioggia, vento, alluvioni, allerte rosse, ponti crollati, frane su ogni collina ligure, questa mi sembra veramente una bella notizia! Dopotutto siamo sì nella patria della focaccia e del pesto, ma siamo anche nel “Santuario dei cetacei”, quindi benvenute orche!
Dopo il primo giorno di stupore e incredulità, è arrivata la conferma.
Alcuni biologi dell’università di Genova e dell’Acquario supportati dall’equipaggio dell’associazione Menkab e dai documentaristi di Artescienza si sono recati, con il prezioso supporto della Capitaneria, presso il porto di Pra’ a monitorare e controllare le orche. Il gruppo di animali, inizialmente ritenuto di quattro, è risultato composto in realtà da ben cinque esemplari: un maschio adulto, una femmina, due esemplari non meglio identificati e un quinto esemplare neonato… dalle cui dimensioni squadrate della testa si ipotizza che non abbia più di una settimana di vita.
Ma queste orche da dove vengono? Nell’immaginario collettivo si associa l’orca ai mari del nord, alle fredde regioni artiche e antartiche, al Canada ecc. Invece dobbiamo ricrederci: l’orca è un animale cosmopolita, un formidabile predatore apicale, capace di cacciare anche in maniera organizzata in squadra con i propri simili, che si è adattato a vivere e a spostarsi per ogni dove.

Cetaceo d’intelligenza proverbiale, un tempo noto col sinistro e fuorviante appellativo di “balena assassina” – a dispetto del quale, e nonostante i numerosissimi incontri anche con subacquei, pare non si siano mai verificati casi di aggressione agli esseri umani –, ne esiste una popolazione anche nello stretto di Gibilterra. Proprio da Gibilterra sembra infatti provenire il piccolo nucleo familiare che ci ha fatto visita. Inseguendo forse qualche banco di tonni, o bonitti – questa è infatti l’alimentazione prevalente del gruppo di orche di Gibilterra – può esser giunto fino da noi.
Quindi le nostre amiche orche sarebbero state in viaggio da circa un mese facendo tappe di 50 km al giorno per arrivare a Voltri e qui starebbero sostando da un paio di giorni. Perché? E quando ripartiranno? Forse l’esemplare giovane è in sofferenza? Dove sono dirette? Di cosa si nutrono a Voltri? Lo stupore dei primi giorni si sta lentamente trasformando in apprensione per la sorte delle nostre cinque piccole-grandi amiche. Piccole infatti mica tanto! Gli esemplari maschi adulti arrivano tranquillamente oltre le dieci tonnellate di peso per poco meno di 10 metri di lunghezza; sempre i maschi hanno una pinna triangolare alta anche 180 cm! Scopriremo domani se affacciandoci alla finestra le vedremo ancora oppure saranno tornate a solcare i mari di tutto il mondo portandosi dietro tutta l’intrigante bellezza dei loro misteri.

Appena finito di scrivere l’articolo mi giunge una brutta notizia, sembra infatti che l’esemplare più piccolo sia deceduto. Una triste conferma ai sospetti degli osservatori circa il suo stato di salute.

Non rassegnandosi, la madre lo solleva con il muso, lo protende verso la superficie, verso quell’aria che in quanto cetaceo gli è preziosa, lo accomuna a noi: un disperato quanto vano tentativo istintuale di tenerlo in vita.

Non vi nascondo un momento di commozione.
(Si ringrazia il professore Maurizio Wurtz per le notizie forniteci. Foto su gentile concessione di Alessandro Grasso, talento della fotografia subacquea italiana.)

MARE NORDEST 2020: il programma

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“Nel Mare insieme si rema per l’Ecosistema”: sarà questo lo slogan della prossima edizione di MNE – Mare Nordest, in programma a Trieste dal 29 al 31 maggio 2020, sulle Rive davanti a Piazza Unità d’Italia e Molo Audace

A cura della Redazione

Locandina

Giunta con crescente successo alla 9^ edizione, la manifestazione Mare Nordest si propone sempre più stabilmente come punto di riferimento delle attività per il mare, sul mare e del mare dell’intero Nord Est Adriatico.

La splendida location, costituita anche quest’anno dalle Rive antistanti Piazza dell’Unità d’Italia e dal Molo Audace e la creazione del Villaggio Mare Nordest, promette di garantire il massimo coinvolgimento dei visitatori di ogni età e nazionalità, richiamati dalla spettacolarità delle varie esperienze proposte, capaci di coniugare sport, cultura, scienza, storia e intrattenimento, al fine di farne un’esperienza di agonismo, attrattività e sostenibilità.

L’aspetto culturale e didattico sarà garantito anche quest’anno dai vari seminari, dalle esperienze artistiche, dalle proiezioni di filmati e dalle mostre fotografiche allestite nel corso dell’evento. Sono previsti vari incontri di approfondimento in tema di monitoraggio del mare, depurazione delle acque, inquinamento da micro e nanoplastiche nonché laboratori e attività con il coinvolgimento diretto di studenti e pubblico in generale, a cura dei principali partner istituzionali scientifici di Mare Nordest: Università degli Studi di Trieste e Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale – OGS.

Con un “approccio ecosistemico” alla bellezza e salvaguardia del Mare, questa nuova edizione fungerà da ulteriore stimolo per comportamenti virtuosi da parte degli alunni delle scuole di ogni ordine e grado che, come già ampiamente fatto negli anni precedenti, parteciperanno attivamente attraverso un articolato progetto ad hoc.

La ricchezza e la qualità dei contenuti offerti è testimoniata dall’ottenimento, nella precedente edizione, del prestigioso patrocinio di proEsof 2020 e, di conseguenza, quella di quest’anno prevede di inserirsi compiutamente nel focus del dibattito che vedrà Trieste quale Capitale Europea della Scienza.

Sarà presentata una conferenza sui principi base dell’Economia Circolare, un’economia cioè progettata per auto-rigenerarsi, in cui i materiali di origine biologica sono destinati a essere reintegrati nella biosfera e quelli non biologici riqualificati per favorire una riduzione sostanziale delle emissioni di gas serra a beneficio dell’ambiente e della salute in generale.

Dopo l’enorme successo registrato l’anno scorso con 11.000 presenze in tre giorni e un’esibizione spettacolare da parte dei sei atleti più forti al mondo nonché un’organizzazione inappuntabile, la città di Trieste si è guadagnata la possibilità di diventare forse l’unica tappa italiana del Campionato Europeo di Tuffi dalle Grandi Altezze. È per questo motivo che, al fine di valorizzare l’Evento, questa competizione internazionale sarà prevista con categoria donne – dall’altezza di 20 metri s.l.m. – e quella uomini – dall’altezza di 27 metri s.l.m. – mediante l’installazione di una struttura con apposite piattaforme.

In collaborazione con Gravità Zero SSD a r.l., una società sportiva dilettantistica che si occupa di arrampicata sportiva ed escursionismo, la medesima struttura utilizzata per i tuffi verrà impiegata anche per ospitare una gara internazionale di arrampicata sportiva sul mare nelle categorie donne e uomini: tramite l’installazione di ancoraggi permanenti fissi al relativo impianto di circa 10 metri di altezza, si potrà assistere al vertiginoso viaggio verticale di circa un centinaio di atleti di fama mondiale, celebrando così l’ingresso di questo sport estremo nel panorama olimpico. Infatti, dopo anni di attesa, l’arrampicata sportiva farà parte del programma delle Olimpiadi di Tokyo 2020 e, all’interno della manifestazione MNE, ne sarà saggiata da vicino la spettacolarità grazie alle virtuose manovre di climber che si esibiranno a picco sul Mare.

L’altissimo livello sportivo raggiunto dalla manifestazione MNE mostrerà se stesso anche con il tentativo di stabilire un nuovo record mondiale di apnea dinamica lineare senza attrezzature da parte di Massimiliano Vidoni, detentore del record italiano di questa specialità.

Dal punto di vista sportivo multidisciplinare, non mancheranno le collaborazioni, partecipazioni e interventi bidirezionali con varie associazioni di sport subacquei, natatori e di atletica leggera. In particolare, continuerà il sodalizio – tutto plastic free – iniziato l’anno scorso con l’ASD Trieste Atletica.

Come ulteriore messaggio di attenzione in merito alla condizione ambientale del mare e sull’opportunità della sua salvaguardia, in collaborazione con l’Art Projects Association – APA e il Deutschvilla Kunstlerhaus Museum, presso la sala Veruda del Comune di Trieste verrà proposto alla collettività un intervento di sensibilizzazione attivato dall’espressività creativa di diversi artisti strutturata attraverso un’esposizione di opere d’arte inedite che declineranno il linguaggio della pittura, dell’installazione, della video art e della performance. Attraverso l’intervento artistico della video art verrà attivata una serie di scambi interattivi con il pubblico. Alla rassegna parteciperanno circa venticinque artisti: una decina di nazionalità italiana e una quindicina proveniente da diverse parti del mondo.

Non mancherà l’ormai tradizionale “Pulizia dei Fondali” con la realizzazione della VI edizione dell’Operazione “Clean Water” che richiama subacquei da tutto il Nord Italia e che sarà affiancata da dimostrazioni di salvamento in mare con l’ausilio di unità cinofile. Verrà inoltre organizzato il Secondo Trofeo Trieste Spazzapnea, II edizione della Gara Subacquea in Apnea di Caccia alla Plastica.

Un piatto forte dell’edizione 2020 di MNE ce lo siamo riservato per ultimo in questa anticipazione degli aspetti tecnici dell’evento: vera e propria attrazione internazionale e dunque anch’essa di gran rilevanza turistica ed educativa, ci sarà infatti la celebrazione del 60° anniversario della storica discesa record del Batiscafo Trieste nelle massime profondità oceaniche! Dove raggiunse il fondo della Fossa delle Marianne, un’impresa che nel 1960 consegnò alla storia e all’interesse scientifico mondiale il nome della città di Trieste. Giacché, sebbene compiuta formalmente sotto bandiera statunitense, quell’impresa aveva avuto un natale e un primo sviluppo completamente italiani! Fu infatti – come abbiamo raccontato in altri articoli e come descritto oggi dal libro “Il Trieste”, di Enrico Halupca (anch’egli triestino) – la determinazione del triestino Diego De Henriquez e il suo speciale rapporto con gli scienziati esploratori Piccard padre e figlio che questi si convinsero all’epoca a perseguire ostinatamente il progetto che portò a realizzare il batiscafo dei record e a battezzarlo proprio “Trieste”. E il singolare sodalizio a tre infatti ci riuscì: il Trieste divenne realtà, interamente costruito in Italia, con la città di Trieste sempre come maggior protagonista. Così il vessillo con l’alabarda sventolò presto fino sul fondo delle fosse mediterranee, con due strabilianti record di profondità consecutivi ottenuti nel Mare nostrum già nel 1953. Ma rimase al suo posto anche quando anni dopo, appunto nel 1960, sebbene non più italiano di bandiera, il Trieste raggiunse il Deep Challenger, nella Fossa delle Marianne, quasi 11 chilometri sotto la superficie dell’oceano. Un record mondiale assoluto rimasto da allora insuperato fino a pochi mesi or sono. Ai comandi ci furono Jacques Piccard e Don Walsh. Il primo è venuto a mancare nel 2008: fino all’ultimo s’era dedicato per lavoro e per passione anche alla divulgazione delle ricerche sub-oceaniche presso i più giovani. Mentre – reggetevi forte! – il secondo, Don Walsh, oggi 88enne e anch’egli ancora attivissimo, sarà l’ospite d’onore proprio della prossima edizione di MNE! Ebbene si, proprio lui in persona, arrivato a Trieste direttamente dagli Stati Uniti, potrà magnificare quell’avventura prodigiosa che lo ha consegnato alla storia dell’umanità descrivendo dal vivo le circostanze, gli accadimenti e le tante suggestioni allora sperimentate sulla propria pelle!

I frequentatori del prossimo MNE, che si prevedono numerosissimi, verranno intrattenuti anche dal punto di vista enogastronomico, da una parte per non far dimenticare la lunga e radicata tradizione birraria di Trieste e dall’altra per elevare ulteriormente di grado le attività legate al turismo del vino. Più in generale, grazie alla presenza di appositi stand, MNE intenderà promuovere la cultura del “buon bere e del buon mangiare” assicurando l’altissima qualità del patrimonio agroalimentare messo a disposizione degli ospiti.

Attenta all’evoluzione dei gusti, delle motivazioni, delle abitudini, del comportamento di consumo e di spesa dei visitatori sempre più slow e green nonché all’avvio di nuovi mercati turistici (in particolare quello asiatico), l’edizione 2020 guarda a un futuro dove Trieste, nonostante la sua ridotta dimensione demografica e di superficie, sia pienamente capace di percorrere un nuovo fortunatissimo ciclo di vita come destinazione turistica privilegiata per la sua portata internazionale, per la sua bellezza originale e schietta, per il suo essere, tra le tante in Italia, una tra le più eleganti, generose e nobili città di mare.

Riassumendo, il programma, in parte ancora in via di definizione, può già delinearsi come segue:

  • La creazione dell’apposito Villaggio Mare Nordest;
  • L’organizzazione dell’unica tappa italiana del Campionato Europeo di Tuffi dalle Grandi Altezze;
  • L’organizzazione di una gara internazionale di arrampicata sportiva sul mare;
  • Il tentativo di stabilire un nuovo record europeo (forse anche mondiale) di apnea lineare senza attrezzature da parte di Massimiliano Vidoni, che ora detiene il record italiano di tale specialità;
  • L’allestimento di una mostra di espressività creativa di caratura internazionale;
  • La celebrazione del 60° anno dall’impresa del Batiscafo Trieste, con “special guest” il pilota Don Walsh che, insieme a Jacques Piccard, nel 1960 lo condusse sul fondo della Fossa delle Marianne;
  • La realizzazione di un progetto di educazione ambientale rivolto alle scuole del territorio regionale;
  • L’organizzazione di una serie di conferenze e workshop con interventi di relatori di rilevanza nazionale e internazionale legate alle problematiche dell’inquinamento delle plastiche;
  • Un’operazione di pulizia dei fondali “Clean Water” che si svolgerà a livello provinciale:
  • L’organizzazione del Secondo Trofeo Trieste Spazzapnea, II edizione della Gara Subacquea in Apnea di Caccia alla Plastica;
  • Una dimostrazione di cani da salvamento;
  • Una dimostrazione di moto d’acqua;
  • Una conferenza sul tema dell’Economia Circolare;
  • Una presentazione degli aggiornamenti sul Progetto Scuttling-Parco Navale di Trieste;
  • Intrattenimento cabarettistico e musicale.

Quindi non resta che attendere e restare connessi! Oppure richiedere maggiori informazioni scrivendo a: info@marenordest.it o aggiornarsi consultando il sito: www.marenordest.it .

Ma in ogni caso conviene fare intanto mente locale a pianificarsi una minivacanza a Trieste nei giorni 29, 30 e 31 maggio 2020!

Tutti astronauti sub!

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Oggi ciascuno – sub esperto, neofita o anche non sub – può rivivere in maniera molto verosimile l’ambientazione del primo sbarco umano sulla Luna. Fate un salto a Y-40, ci troverete sul fondo un LEM-Modulo Lunare a grandezza naturale! Un’esperienza indimenticabile che vale la pena di vivere almeno una volta

La Redazione. Foto Fabio Ferioli e altri Autori precisati in didascalia

Sono pochi i posti sulla Terra in cui sia possibile provare le sensazioni degli astronauti nello Spazio, ovvero quell’effetto di fluttuazione, di sospensione, in cui il peso non si avverte più; un effetto dovuto ad ambienti che inducono condizioni di gravità zero, microgravità o comunque gravità parziale.

Sono note le simulazioni ottenibili in speciali aerei nei voli in alta quota detti “a campana”, o parabolici.

O anche certi ventilatori intubati, in cui il flusso d’aria all’interno di un grande cilindro viene proiettato dalla base verso l’alto con velocità variabili, al punto da poter sostenere a mezz’aria – come stessero volando – anche delle persone, nella tipica posizione della caduta libera dei paracadutisti…

Ma la condizione più nota a tutti i subacquei comunque vadano sott’acqua, con autorespiratore o in apnea, che pare riprodurre il volo – e dà esattamente la medesima sensazione di potersi librare in maniera tridimensionale spostandosi anche verticalmente – è l’immersione stessa.

Non a caso, tempo fa assunse per un periodo una certa popolarità tra i sub il termine “idrospazio”; fece parte perfino del titolo d’un singolare giornale cartaceo, edito in formato da quotidiano, dedicato al mondo della subacquea.

Ebbene, quelli di Y-40 devono aver messo insieme diversi di questi spunti per la suggestiva installazione che, proprio in quest’anno del cinquantenario di ricorrenza dal primo sbarco sulla Luna, è consistita nel posizionamento di una riproduzione del LEM (o Modulo Lunare) – la navicella che allunò il 20 luglio 1969 con a bordo Neil Armstrong e Buzz Aldrin – in scala naturale 1:1, cioè in quelle che furono le dimensioni del veicolo spaziale reale, alla profondità di – 10 m, nelle trasparentissime e calde acque termali di Y-40.

Ora, non si tratterà proprio di un’ambientazione come quella delle mega vasche esistenti in diversi paesi europei e statunitensi in cui si addestrano all’assenza di peso i veri astronauti dei vari programmi spaziali internazionali, ma certo poco ci manca.

E in realtà sono ben tre le date il cui collegamento richiama una combinazione quasi cabalistica e che hanno ispirato le scelte di Y-40 di ricreare l’installazione del LEM e anche di inserirla in un percorso espositivo pluri-tappa denominato appunto “Dive me to the Moon”: 1609; 1969; 2019.

Il 30 novembre del 1609 Galileo Galilei scrutò per la prima volta la superficie della Luna osservandola dal suo telescopio, proprio da Padova. Con un dettaglio tale che per l’occasione ne fece anche alcuni disegni. Per le altre due date … è storia nota.

Di fatto si tratta comunque delle date in cui la Luna è diventata protagonista della scienza mondiale in un tuffo nella storia che da Padova ha raggiunto lo spazio per ritornare nella città dove tutto ebbe inizio.

Infatti la celebrazione dell’allunaggio prende vita in Y-40® fin dall’ingresso principale di questa piscina che è la più profonda al mondo, dove si ha in questo caso la sensazione di trovarsi alla guida del LEM, tra i suoi comandi e i volti con le espressioni concentrate di Armstrong, Aldrin e Collins. La passeggiata nello spazio, calcando le orme degli astronauti che guidano il visitatore nella hall di Y-40®, procede alla scoperta della Luna nella quale ci si può addentrare come in un planetario in cui apprezzare le scene della camminata lunare mentre si sorseggia un drink nel bar caffetteria.

L’installazione “lunare” subacquea può essere osservata bene anche da visitatori e turisti non subacquei (restandosene comodamente all’asciutto) già dal ponte sommerso a – 5 metri che attraversa come sospeso tutta la piscina.

La visita all’installazione e al suo percorso divulgativo è stata aperta a tutti gratuitamente già dal 30 novembre scorso e lo resterà fino al prossimo 30 aprile 2020, il lunedì dalle 18:00 alle 22:00 e dal martedì alla domenica compresi dalle 10:00 alle 22:00.

Tutti gli studenti delle scuole elementari, medie e superiori potranno effettuare gratuitamente la visita guidata alla piscina più profonda del mondo e all’esposizione Dive me to the Moon.

«Contemporaneamente, durante l’inverno prenderà vita il calendario di Fluido e Rarefatto, che condurrà in Y-40 grandi nomi legati a fisica, astronomia, subacquea, in una rassegna di serate culturali su contenuti scientifici ed esperienze sul campo raccontati in maniera divulgativa», dicono da Y-40.

Le persone in immersione invece potranno scoprire il LEM perfino dall’interno, completando la loro esperienza da “astronauti”, rivivendo la sensazione dell’essere il primo uomo sulla Luna.

A questo punto domandiamo direttamente alla responsabile comunicazione – alias press manager – di Y-40, Iris Rocca, qualche approfondimento.

Iris, di chi è stata originariamente l’idea di questo allestimento? 

«L’idea è stata dell’architetto Emanuele Boaretto – patron di Y-40 – che, affascinato dal 50° anniversario del primo uomo sulla Luna e dalle tante caratteristiche che legano il mondo dello Spazio a quello dell’acqua, ha voluto mettere in evidenza il parallelismo tra questi due universi.

A questo proposito è infatti in essere da un paio d’anni la ricerca scientifica condotta dal DAN con il progetto Ski Scuba Space per la quale si collabora con l’ALTEC – Aerospace Logistics Technology Engineering Company, il centro di eccellenza italiano per la fornitura di servizi ingegneristici e logistici a supporto delle operazioni e dell’utilizzo della SSI – Stazione Spaziale Internazionale, nonché dello sviluppo e della realizzazione delle missioni di esplorazione planetaria.»

Questi Enti però all’epoca del LEM vero e proprio neanche esistevano, c’era (e c’è) la NASA…

«Infatti, di seguito all’ideazione dell’evento, si è contattata proprio la NASA per lanciare loro l’idea della riproduzione del LEM, chiedendo disegni e dati che potessero garantire la ricostruzione fedele in scala 1:1.»

La risposta?

«Entusiastica è dir poco. Ci hanno fornito subito tutto quanto richiesto.»

E poi?
«Il modulo lunare – o LEM – cui nel 1969 fu dato il nome “Eagle” (Aquila), della missione “Apollo 11”, è stato quindi riprodotto a grandezza reale, con un’altezza di oltre 5 metri, in soli 25 giorni da Paggiarin 1966 Costruzioni Metalliche srl e da F.lli Onorati Lattonieri, due aziende delle Terme Euganee.»
E com’è andata? Ci sono state criticità?
«Il progetto era complicato per quel che concerne i piani di costruzione, riguardo agli spigoli e alle angolature.
Doveva essere studiato – e così è stato – per poter essere montato in acqua agevolmente e perché non costituisse un pericolo per le persone in immersione, smussando alcuni angoli e proteggendo alcune protuberanze più sporgenti. Dunque ogni elemento che potesse intralciare o costituire punto di impiglio è stato accuratamente evitato o eliminato.
Così ora può essere ispezionato da tutti i sub, anche i neofiti, e perfino dentro, sempre in tutta sicurezza.»
Quando è iniziata e fin quando si protrarrà questa sorta di “avventura possibile” nell’Idrospazio?
«Nella giornata di venerdì 15 novembre 2019 il LEM è stato condotto a Y-40 in pezzi per essere poi ricostruito e assemblato all’interno dell’acqua dal team di istruttori di subacquea della struttura sulla piattaforma a – 10 metri.
Già nel weekend del 23 e 24 novembre 860 persone – tra subacquei e apneisti – hanno vissuto l’emozione mozzafiato provata dal 1° uomo sulla Luna immergendosi in occasione dell’anteprima dedicata alla 6^ edizione del PADI Dive Day, che – dato il 2019 – ospitava appunto “le scoperte dello spazio, da Galileo alla discesa sulla Luna”. Donde il “Dive me to the moon” di quest’anno.

Mentre l’apertura ufficiale è stata sancita il 30 novembre, giorno in cui Galileo Galilei proprio da Padova nel 1609 osservò per la prima volta la Luna dal suo telescopio.

Il 2 dicembre l’installazione è stata protagonista dell’ormai noto e ampio servizio del TG5.

Il LEM subacqueo non ri-decollerà dal fondo lunare di Y-40 fino al 30 aprile 2020.»

Qual è, secondo te, la cosa che più di altre invoglia a visitare “Dive me to the Moon”? Ed è anche la stessa da cui si resta più impressionati quando si è lì dal vivo?

«Ci sono tanti fattori, taluni anche molto soggettivi. Un po’ come accade alla vista dei relitti. Però qua mi son fatta un’idea che l’elemento da cui si resta più sorpresi e che colpisce più gente siano le proporzioni. Ma con un’intensità assai maggiore. Mi spiego meglio: quasi tutti abbiamo visto almeno una volta una nave vera e propria, ne abbiamo cioè già un’idea circa dimensioni e quindi proporzioni reali, eppure già così un relitto una certa impressione la fa sempre. Ora pensa al LEM, di cui invece quasi nessuno ha visto un esemplare vero, abbiamo quasi tutti visto solo modelli in scala più o meno ridotta, o riprese televisive. Ecco, trovarsi in quest’installazione in cui il LEM è grande quanto quello vero, oltretutto sott’acqua, restituisce un senso delle proporzioni in gioco confrontate con le sagome umane – con il nostro stesso corpo – che è sorprendente ed emozionante. Impossibile non immaginarsi in un attimo (come in un flash mentale) a discendere quella scaletta, frenati dall’acqua come saltando giù al rallentatore nella scarsa gravità lunare, per compiere quel famoso primo piccolo passo… quel “gigantesco balzo per l’umanità”!»

A chi dovete un grazie particolare per questa realizzazione?

«Di sicuro alla NASA; poi anche e soprattutto a Paggiarin 1966 Costruzioni Metalliche, F.lli Onorati snc Lattonieri, Pro Service, Fasolo Impianti Elettrici, GiPrint e al gentile aiuto di Bruno Gobbato.»

Subacquea Forense

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È possibile parlare di “criminalistica subacquea”? Cioè d’una serie di procedure specificamente dedicate, con rigore tecnico e scientifico, all’accertamento delle responsabilità in caso di incidente sub? La risposta oggi è “sì”. E si trova tutta in questo libro

A cura di Romano Barluzzi. Immagini di Gianfranco Simonini dal libro “Subacquea Forense”

Se siete in qualsiasi modo collegati al mondo delle “responsabilità verso terzi” nella vostra pratica delle attività subacquee, questo articolo vi interesserà.

E se detta così, di primo acchito, pensate di no, chiedetevi prima se – in parole più semplici – fate o siete una qualsiasi di queste cose: guida o accompagnatore sub; istruttore o aiuto-istruttore sub; operatore in un diving center; addetto a una ricarica di aria o gas da immersione; a capo di una scuola subacquea o di un circolo associativo sub; allenatore di attività subacquee sportivo-agonistiche; organizzatore di eventi sub, specialmente record; sommozzatore lavorativo, tipo OTS; titolare d’impresa o ditta di lavori sub; tecnico specializzato in riparazione-manutenzione di attrezzature sub … e probabilmente molte altre.

Perché in tutti questi casi vi sarà utile aver ricevuto una formazione preventiva e un aggiornamento continuo alla vostra tutela legale, sia al fine di meglio evitare inconvenienti prima che accadano, sia qualora, nel malaugurato caso di qualsiasi incidente, evento accidentale o doloso che sia, un pubblico ministero incaricato si trovi costretto – per atto dovuto – a iscrivervi intanto nel registro delle comunicazioni di reato.

Tutta la serie di questo genere di consapevolezze fanno parte di questo libro manualistico che descrive con minuzia di dati l’intero bagaglio di tecniche e procedure d’indagine – oggi recanti in sé una validazione e un’autorevolezza scientifica ormai implicite – tendenti all’accertamento della verità circa l’esatto svolgimento dei fatti assumibili a causa-effetto di “incidente” in acqua, nonché delle connesse responsabilità.

In qualità di saggio di valenza didattica per corsi e stage di criminalistica in subacquea forense, questo manuale reca inoltre informazioni riguardanti gli addetti al settore giuridico, anche non subacquei, rivelandosi particolarmente indicato per consulenze e/o per diventare un compendio indispensabile nelle librerie degli studi e dei laboratori di molti professionisti, non solo subacquei.

Di sicuro, per la quantità di novità, dati e informazioni che veicola al lettore, vi capiterà sempre – anche dopo averlo letto – di dovervi confrontare con circostanze tali da renderne ancora utile l’ulteriore e ripetuta consultazione.

Per queste principali ragioni e forse per molte altre ancora che, riflettendoci su, potranno di certo venirci in mente, questo lavoro costituisce con ogni probabilità uno straordinario avanzamento per il livello qualitativo delle conoscenze e del bagaglio culturale di tutte le attività legate alle immersioni subacquee.

Perciò ci sentiamo di consigliarvi – in scienza e coscienza – di non farvelo mancare per nessuna ragione al mondo!

Subacquea Forense” viene pubblicato dalla casa editrice “Diogene”; l’autore si chiama Gianfranco Simonini, già noto per il suo primo e più narrativo libro in materia di cui ci siam già occupati, “Angeli Neri” (stesso editore); e il sito in cui al momento potete già reperire e prenotare il libro è: www.centrotecnicodellasubacquea.com .

Giornalisti del mare

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Qualche riflessione per comunicatori e subacquei scaturita dallo stage “L’emergenza ambientale nella gestione della Guardia Costiera e l’importanza della comunicazione nel Crisis Management”

Di Romano Barluzzi. Foto apertura e sub di Dario Viccari e Associazione Nazionale Memoriale della Concordia

S’è svolto Martedì 17 dicembre scorso, dalle ore 15:00 alle ore 18:00, presso la “Sala Cruise Terminal” accanto alla Guardia Costiera, alla Spezia, il Corso di Aggiornamento per Giornalisti organizzato con la collaborazione del Corpo delle Capitanerie di Porto – Guardia Costiera e @5TerreAcademy sul tema: “L’emergenza ambientale nella gestione della Guardia Costiera e l’importanza della comunicazione nel Crisis Management”, con il C.V. Giovanni Stella, Comandante della Capitaneria di porto della Spezia; Carla Roncallo, presidente dell’Autorità di Sistema Portuale; Massimiliano Mezzani (Capitaneria); Filippo Paganini, presidente OdG della Liguria, e con Leonardo D’Imporzano (giornalista scientifico).

L’evento è stato aperto a tutti e ai giornalisti che si fossero accreditati iscrivendosi sulla piattaforma di categoria SIGEF sarebbero stati riconosciuti 3 crediti. Così infatti è stato.

L’evento ci dà però anche l’occasione per una piccola riflessione rivolta ai colleghi giornalisti e a tutto il settore della subacquea, dove peraltro di giornalisti ne gravitano un certo numero, ormai non più irrilevante. E la racchiudo in una sola domanda: «perché a queste iniziative, di cui ormai si sono vissute almeno 4 edizioni, tra la Spezia (come quella di cui abbiam parlato poco fa) e Trieste (nell’ambito della manifestazione MareNordest), non si vede quasi alcun collega tra quelli che potremmo definire “giornalisti subacquei” o perlomeno “giornalisti del mare”?»

Eppure esisterebbe perfino un gruppo associativo nominato con questa stessa definizione, cioè ANGS-Associazione Nazionale Giornalisti Subacquei. È chiaro che non si tratta della “solita” associazione di categoria, né tantomeno di tipo sindacale, bensì piuttosto “culturale” nel senso più ampio del termine. Con l’obiettivo di raccogliere e condividere esperienze di comunicazione professionale sul campo specifico (della subacquea ma anche naturalmente del mare in generale), in modo da affinarne le modalità, la correttezza e l’efficacia.

Perché altrimenti, senza questo tipo d’iniziative, non ci resta che continuare a lamentarci come subacquei di essere poco e mal rappresentati dai media e come comunicatori di non ricevere mai granché di valido dall’utenza subacquea.

E va a finire che subacquei e media restano due universi paralleli basati sull’incomunicabilità!

Oppure – e non so cosa sia peggio – la cui comunicazione resta nelle mani solo di alcuni “opinionisti aziendali” privi di scrupoli circa il rispetto dell’obiettività, della completezza e dell’attendibilità delle informazioni sulle notizie.

Ma si tratta della stessa mentalità (obsoleta, sebbene purtroppo sopravviva ancora!) che a livello ambientale e climatico faceva ritenere il mare qualcosa di completamente avulso dal resto delle umane cose, mentre oggi sappiamo bene – o dovremmo saperlo – che vi è così collegato da determinarne l’andamento.

Il fatto stesso che ormai questi stage ricevano sistematicamente l’accreditamento dall’Ordine dei Giornalisti per l’inserimento preventivo sulla piattaforma informatica di categoria SIGEF è significativo di quanto abbiano raggiunto una configurazione tale da renderli davvero utili nei contenuti per tutti i colleghi. Anche per coloro che, e seppur occasionalmente, si trovano a parlare di nautica, di marineria, di pesca, di ittiocolture, di coste, di ambienti terracquei, d’inquinamento marino ecc.

Non a caso nel più recente di questi stage citato a inizio articolo si sono rievocate le vicende collegate al disastro della Costa Concordia, di cui ricorrono 8 anni esatti proprio in questi giorni (accadde il 13 gennaio 2012), a proposito del fatto che nel suo insieme – da subito e anche per molti mesi dopo – costituì uno straordinario banco di prova e di avanzamento migliorativo, sia per le attività subacquee sia per la loro comunicazione e presenza nei media d’ogni tipo, dalla carta al web. E di tutto il mondo.

Comunicare e far comunicare meglio le attività più legate al mare dovrebbe essere avvertito oggi – passateci l’espressione – come una sorta di “imperativo morale”. A tutti i livelli.

L’arcobaleno sommerso

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Nella celebre cornice dell’AMP di Portofino e di Santa Margherita Ligure s’è appena compiuta la IV edizione del trofeo fotosub “L’arcobaleno vivente nei fondali del promontorio di Portofino”. Con nomi di prestigio, sia tra i concorrenti sia in giuria

Di Marco Mori. Foto dei rispettivi Autori in didascalia e classifica. Foto apertura Gianni Risso

Quest’anno, o meglio l’anno scorso, sotto l’albero, in mezzo a pacchi e pacchettini, fiocchi e bigliettini, il mio telefono ha iniziato a squillare impertinente!

Io: “Pronto! Ciao Gianni, auguri!

Gianni: “Ciao Marco, auguri anche a te! Hai saputo? Hai visto la classifica? Siamo tra i primi 10!

Con questa bellissima telefonata è iniziato il mio Natale.

Non vi nascondo lo stupore e la meraviglia nel realizzare la notizia della mia nona posizione nel prestigioso concorso “L’arcobaleno vivente nei fondali del promontorio di Portofino” svoltosi nell’omonimo, celebre luogo e indetto con il sostegno economico del Comune di Santa Margherita Ligure.

Una giuria d’élite composta da Massimo Corradi, Alberto Gallucci, Paolo Donadoni, Remo Sallo, Gianluca Genoni, Giorgio Massa e Gianni Risso ha esaminato e valutato ben 140 foto alla ricerca delle migliori 10 che fossero le più rappresentative del tema del concorso.

Il tema era proprio l’obiettivo di valorizzare con cinque foto i mille colori che le immersioni nel Parco di Portofino regalano a noi fortunati subacquei in ogni stagione.

Così, mentre alcuni giorni prima leggevo il tema del concorso, già mi comparivano in mente il rosso dei rami di corallo, l’arancione di un bellissimo scorfano, il giallo del parazoanthus, il blu cobalto degli avannotti di castagnola… in sostanza una vera e propria esplosione di colori proprio come un fuoco d’artificio che nulla ha da invidiare ai colori offerti da località in mari più blasonati.

Ma veniamo ai momenti della premiazione avvenuta il 4 gennaio in cui ho potuto conoscere tutti i fotografi di questo concorso e soprattutto ammirare di persona le foto vincitrici.

Da tutti i partecipanti traspare la grandissima passione per il mare, per la fotografia e l’ossessione quasi patologica di scattare la foto perfetta.

Già! La passione! È quella che ci “costringe” a stare in acqua per ore e ore a cercare l’inquadratura ideale, a sacrificare l’immersione – se occorre – pur di portare a casa lo scatto che volevamo fare. Santi i nostri compagni d’immersione, che sopportano pazientemente noi e i lampi accecanti dei nostri flash!

Ed eccoci al dunque: un attimo d’attenzione, rullo di tamburi… l’occupante del gradino più alto del podio è Alessandro Raho con il primo piano di una cernia, una composizione perfetta per uno scatto veramente ravvicinato. Immergendomi da anni a Portofino sono sempre rimasto affascinato da questi pesci!

Al secondo posto la giuria ha premiato la foto di Alessandro Grasso dei Carabinieri Subacquei di Genova che ha immortalato un bellissimo banco di saraghi in spostamento. Guardando la sua istantanea m’è venuto da paragonarla idealmente a una nuvola argentata su di un cielo azzurro. Grasso è un fotografo di fama internazionale, basti ricordare che pochi mesi fa ha vinto il “Golden Turtle” nella categoria The Underwater World.

Il triestino Claudio Zori si piazza al terzo posto con uno stupendo primo piano di bavosella, bellissimi i colori della testa e le mille sfumature del suo occhio, non è un arcobaleno ma ci si avvicina molto, bella veramente, complimenti.

Dal quarto al decimo classificato possiamo ammirare la ricchezza di biodiversità che offre il parco di Portofino con gorgonie, spugne, gronchi, murene, anthias, serranidi e chi più ne ha più ne metta. Uno spettacolare “carosello” d’immagini nel senso più vero del termine, in grado di raccontare visivamente quanto di più bello si possa contemplare nel nostro mare.

Tra queste la mia – appunto – nona posizione: l’inquadratura verticale di una parete tempestata di gorgonie rosse a circa 40 metri di profondità; ho colto questo scatto giocando con il blu dell’acqua e l’azzurro degli occhi della mia modella preferita.

Ma non è finita qui! Per il secondo anno è stato messo in palio l’artistico trofeo della Riso Scotti Snack per la migliore foto biologica. Ebbene, l’incredibile occhio fotografico di Paolo Scalfo di Marina di Massa gli permette di andare a segno con una foto a dir poco strepitosa che riesce a immortalare un serranide mentre sta per divorare una bavosa. Chissà se la giuria ha avuto il mio stesso pensiero… e chissà se è uguale al vostro guardando la foto in questo istante. Vi lascio un suggerimento… Snack!

A fine premiazione Paolo Donadoni, Sindaco di Santa Margherita Ligure, ha sostenuto che: «Questo concorso offre la possibilità a tutti di godere della bellezza dei nostri fondali marini che rappresentano al contempo una importante attrattiva turistica della nostra regione. Ringrazio gli organizzatori che hanno saputo portare avanti e far crescere questa iniziativa».

Tutte le foto premiate sono state esposte a partire dal 31 dicembre nella Casetta degli Elfi del Santa Claus Village in piazza Vittorio Veneto a Santa Margherita Ligure. Da dopo le feste, la mostra s’è spostata in Comune, sempre a Santa Margherita Ligure.

Un personale ringraziamento lo rivolgo io stesso a Gianni Miloro detto “Botak” per avermi spronato a partecipare al concorso e a ottenere così – a sorpresa – il piazzamento che ho ottenuto in mezzo a tutti questi “mostri sacri” della fotografia subacquea italiana e con una giuria del genere.

Un vero onore e un piacere essermi potuto trovare a scattare foto proprio insieme a tutti costoro.

Non resta che riassumere in classifica il IV Trofeo Comune di Santa Margherita Ligure di fotografia subacquea “L’arcobaleno vivente nei fondali del Promontorio di Portofino”… anche se per me è stato assai più d’una classifica. Eccola:

 

1° Alessandro Raho

2° Alessandro Grasso

3° Claudio Zori

4° (+ 5°) a pari merito: Mauro Apuleo e Massimo Bordino

6° Augusto Carbone

7° Piero Tassara

8° Erika Cipollina

9° Marco Mori

10° Gianni Miloro

 

II Trofeo Riso Scotti Snack “foto biologica”:

 

1° Paolo Scalfo

 

Grazie infine anche a chi, in vario modo, ha supportato il monte premi: Comune di Santa Margherita Ligure, Mares SPA, Riso Scotti Snack, www.apneaworld.com, Isotta, SUN Line, Editrice la Mandragora, FIPSAS Provinciale Genova e AMP Portofino.

L’immersione dei Neanderthal

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Ritrovamenti archeologici della più remota preistoria appartenenti a un sito nostrale – nel Circeo – dimostrano che l’uomo di Neanderthal sapeva già andare sott’acqua. Ecco a voi un apneista di novantamila anni fa!

La Redazione. Crediti immagini in didascalie

Forse non tutti hanno presente che l’uomo di Neanderthal, o Homo neanderthalensis, è stato una sorta di ominide preistorico del quale si è per del tempo creduto di essere i discendenti. Prima di scoprire che invece apparteneva a una specie di ominide completamente diversa dalla nostra, essendo noi discendenti dal cosiddetto Homo sapiens. Rispetto al quale i Neanderthal furono relegati dai meccanismi evolutivi in un binario morto: ebbero cioè la peggio, fino a estinguersi.

Eppure erano stati i primitivi abitatori delle terre europee, compreso ciò che c’era all’epoca della nostra penisola, mentre i Sapiens – cioè oggi noi stessi! – sarebbero sopravvenuti, essendo stati di originaria derivazione centro africana. Fatto sta che i Sapiens prevalsero, determinando l’attuale specie umana.

Ma i Neanderthal avevano fatto in tempo a prosperare e anche a lasciare traccia di sé, e in modi perfino bizzarri, oltreché sorprendentemente evoluti.

Le loro abilità manipolatorie avevano raggiunto un livello sufficiente alla fabbricazione di diversi tipi di utensili e oggetti, tra cui: asce a mano, dette anche “amigdale” per la loro forma a mandorla, ottenute scheggiando grossi pezzi di selce; lance, ricavate da punte di selce più piccole; denticolati, ossia selci che terminavano non a punta bensì con una dentellatura che ne suggerisce l’impiego come seghetti; raschiatoi e perfino un cosiddetto “flauto”, sebbene si trattasse non di uno strumento musicale bensì di un accendino (nei fori s’inserivano i legni da vorticare per produrre il fuoco…).

Ed è appunto ai raschiatoi e in generale agli strumenti da taglio, che loro presumibilmente usavano soprattutto per scarnificare la selvaggina, che si aggancia la sorpresa subacquea di oggi. In che senso? Ebbene, assodato che usassero quali raschietti o lame anche dei gusci lavorati di molluschi fasolari, ovvero le valve del Callista chione, – che lavoravano e affilavano con pietruzze usate a scalpello – si è osservato solo di recente come la maggior parte fossero stati raccolti a riva, dunque da molluschi già morti e spiaggiati, le cui conchiglie sono riconoscibili in quanto prendono colori più spenti e opacizzati, nonché un po’ abrasi dallo sfregamento con la sabbia.

Ma… c’è sempre un ma: circa il 25% – ossia almeno un quarto – dei gusci ritrovati sono rimasti invece di colorazioni più cariche e lucenti, senza segni di abrasioni, caratteristiche queste dei molluschi ancora vivi e appositamente uccisi sul posto, prima che giungessero a esaurimento naturale del loro ciclo vitale. Il che significa … pescati sul fondo!

Morale della favola, i nostri Neanderthal erano anche buoni pescatori subacquei, apneisti in grado di spingersi fino ad almeno 3 o 4 metri di profondità e di rimanerci a sufficienza per individuare la zona adatta e operarvi la necessaria e per loro preziosa raccolta!

Parliamo di qualcosa come 90.000 (novantamila) anni fa circa, epoca del “Paleolitico medio”, periodo “Musteriano”: un tempo la cui lontananza è per noi difficile perfino da immaginare.

E la scoperta è tutta made in Italy, almeno come località: riguarda infatti una zona della costa laziale del Circeo dove c’è una grotta detta “Grotta dei Moscerini”, già celebre per i ritrovamenti archeologici, la cui più approfondita osservazione ha stavolta regalato questa nuova interpretazione. Dei 171 reperti di gusci di fasolari, ognuno ben lavorato e  “affilato”, almeno un quarto hanno le caratteristiche che abbiamo descritto, tali da costituire una inequivocabile traccia delle prestazioni subacquee degli allora abitanti della zona, oltreché delle loro abilità di “fabbricare” utensili con quanto trovavano, anche in fondo al mare. Dello studio cui facciamo riferimento – s’intitola “Neandertals on the beach: use of marine resources at Grotta dei Moscerini (Latium, Italy)” – sono autori in realtà anche ricercatori internazionali: è stato pubblicato su Plos One da un team guidato da Paola Villa (Museum of Natural History dell’Università del Colorado – Boulder, dell’Istituto Italiano di Paleontologia Umana e dell’università sudafricana di Witwatersrand).

Del gruppo sono anche Sylvain Soriano (Université Paris Nanterre); Luca Pollarolo (università di Witwatersrand e di Ginevra); Carlo Smeriglio e Mario Gaeta (università di Roma); Massimo D’Orazio, Jacopo Conforti e Carlo Tozzi (università di Pisa).

Lo studio è in realtà avvenuto sul materiale già ritrovato 70 anni fa, nel 1949, nel suddetto sito e che aveva già portato alla luce l’ingente quantitativo di utensili lavorati a partire dalle conchiglie ma per la prima volta è venuto in mente di verificare se i Neanderthal si fossero serviti solo dei gusci rinvenuti spiaggiati o no. E ciò ha fatto emergere le differenze così degne di nota da far immaginare appunto uno scenario ben diverso: ovvero prove assai verosimili di abitudini marine e natatorie dei Neanderthal nella Grotta dei Moscerini molto più “atletiche”.

È altrettanto probabile che ci fossero delle ragioni precise per preferire i fasolari pescati ancora vivi, oltre alle ovvie opportunità alimentari e benché comportassero la fatica e i rischi di tuffarsi in apnea per prenderli: per esempio, i loro gusci erano mediamente più grossi e robusti e offrivano una lavorabilità migliore… il taglio ottenibile doveva cioè risultare di un’affilatura più facile e più durevole

Dopotutto l’abilità tecnica dei Neanderthal nella scheggiatura di pietre era già nota dalla lavorazione di molti tipi di punte e lame per asce e lance, come detto.

Tutti indizi che si darebbero reciproca conferma anche con un’altra osservazione precedente: un team guidato da Erik Trinkaus, antropologo, aveva identificato sulla regione temporale del cranio di alcuni scheletri di Neanderthal, in corrispondenza del canale uditivo, delle escrescenze ossee, note non a caso come “orecchio del nuotatore”, reperto spesso individuabile anche nei moderni nuotatori sportivi!
La Villa ha riferito che «Le scoperte sono ancora ulteriori prove del fatto che i Neanderthal fossero altrettanto flessibili e creativi dei loro parenti umani quando si trattava di guadagnarsi da vivere».

Insomma, poi si saranno anche estinti, i Neanderthal, e il loro ramo non ebbe originariamente nulla a che vedere con il nostro; ma s’erano stanziati in tutte le terre oggi europee, al sopraggiungere degli Homo sapiens furono possibili le relative ibridizzazioni e seppero fare molte più cose di quanto un tempo si pensasse. E ciò che sappiamo oggi sull’apnea ha aiutato a capirlo.

Archeologia costiera sempre di fascino immortale, che oggi si arricchisce anche dell’intreccio con modernissime tecniche di indagine genetica: sapevate che si può far risalire fino a circa un 4% del nostro attuale DNA a quell’antica matrice neanderthaliana?

(In foto d’apertura – da Wikipedia – una comparazione morfologica tra un cranio di Homo sapiens, a sinistra, e un cranio di Homo neanderthalensis )


Arriva un EudiShow carico di…

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Dalla subacquaticità per bambini alla cinematografia d’autore, dall’immersione in apnea al più moderno ambientalismo marino, dalla fotosub in mostra alle competizioni agonistiche, è in arrivo di tutto al prossimo EudiShow. E questa è solo una prima parte delle anticipazioni

La Redazione

La più grande fiera europea delle attività subacquee, dove tutte le forme di questo per noi magico universo s’incontrano ogni anno, con una serie di appuntamenti imperdibili per tutti gli appassionati, si annuncia ormai all’orizzonte più prossimo.

Da venerdì 28 febbraio a domenica 1° marzo compresi apre infatti i battenti a Bologna la 28^ (ventottesima) edizione dell’attesissima fiera.

Nel dare quest’annuncio, peraltro già ben presente tra gli esperti in qualsiasi tecnica o branca dell’immersione, vogliamo tuttavia rivolgerci anche a chi ancora non va sott’acqua ma sognerebbe di farlo: così che anche i neofiti e i non (ancora) subacquei si trovino tentati dal fare un salto in Eudi. Possono star certi che non avranno di che pentirsene.

Bambini KAD

Come per dei piccoli novelli cavalieri Jedi della saga di StarWars, la sicurezza dei bambini in acqua passa anche attraverso una loro migliore consapevolezza della dimensione subacquatica. Che a sua volta può trasmettere loro un potenziale educativo senza uguali. Per continuare con il parallelo fantascientifico, potremmo dire che mai come per loro “la Forza scorre”. Ebbene, nei corsi “KAD – Kids as Dolphins” di Apnea Academy, fin dal 1989, i bambini dai 6 ai 13 anni imparano la subacquaticità da protagonisti, divertendosi.

«L’aspetto educativo in KAD è prioritario. L’andare sott’acqua, per il piccolo allievo, è un’esperienza di gioco e di emozioni vissuta all’interno di un percorso didatticoafferma Joseph Porrino, ideatore del progetto KAD e fondatore della Scuola –. Un lavoro semplice e al tempo stesso formativo, dimensionato alle reali esigenze del bambino, mantenendo ben fermo lo scopo principale: l’educazione alla sicurezza in acqua»

Dopotutto non va dimenticato che, in base a dati dell’OMS e Unicef, l’annegamento è la seconda causa d’infortunio mortale nei bambini.

Ebbene sabato 29 febbraio 2020 alle ore 15:30 sul palco Maiorca dell’Eudi Show, AA Kids as Dolphins presenterà “30 anni di ‘Kids As Dolphins’: l’apnea a misura di bambino diventa internazionale”, con: Joseph Porrino, fondatore e Presidente KAD; Dott. Danilo Cialoni, vice presidente Apnea Academy Research; Dott. Stefano Correale, otorinolaringoiatra; Andrea Zuccari, profondista ed esperto di tecniche di compensazione per l’apnea, formatore Istruttori KAD; Davide Carrera, pluricampione di profondità in apnea costante e Istruttore KAD; Mattia Malara, esperta formatrice Istruttori KAD; Dott.ssa Anna Seddone, esperta di tecniche di respirazione e formatrice Istruttori KAD; Avv. Flavio Fontana, formatore Istruttori KAD; modera Antonella De Vanna, Ufficio Stampa KAD.

L’epopea dell’Artiglio in un docu-film a Eudi Cinema

Eudi Show non è soltanto la grande fiera della subacquea dove si vive il presente e si scopre il futuro delle immersioni, ma è anche il luogo dove si può viaggiare nel tempo e riportare a galla episodi del passato in cui la storia si fonde con il mito. Uno di questi è sicuramente la vicenda della nave Artiglio, la più famosa nave recuperi subacquei italiana come ricorda il sottotitolo di un recente volume in cui Fabio Vitale, noto esperto di palombari, ha raccontato di questa nave e delle gesta del suo equipaggio.

A ricordare queste lontane vicende (siamo tra il 1926 e il 1930) sarà il film-documentario “Artiglio storia di un mito” di Mario Gianni, fotoreporter, documentarista e regista di grande esperienza e in attività fin dagli anni ’60 del Novecento.

Il documentario, prodotto dalla FilmService di Gianni e dall’Istituto Luce Cinecittà, che ha messo a disposizione il suo prezioso materiale d’archivio, racconta la storia di Stefano, un giovane subacqueo appassionato di archeologia marina, che viene a conoscenza della storia di un ristretto gruppo di Palombari le cui gesta, fra il 1925 e il 1935 li resero famosi in tutto il mondo trasformandoli in un mito. Stefano decide di approfondirne la conoscenza e questo lo porterà, partendo dalla piccola città di Viareggio, a viaggiare in Inghilterra e in Bretagna dove nacque il mito dell’Artiglio, andato distrutto il 7 dicembre 1930 a seguito di un’esplosione mentre era impegnato nei lavori di demolizione della nave americana Florence H. affondata nel 1917 nel Golfo di St. Nazaire, in Bretagna… ma ci fermiamo qui per non svelare altro del film, specialmente a chi ancora non conosca tutta la storia.

Ci limitiamo a dire che il sogno di questo docu-film, a lungo accarezzato nonostante tante difficoltà, è diventato realtà nel 2017 e, grazie alla collaborazione di Fabio Vitale e di Mauro Francesconi, importante figura di riferimento per il settore video di Eudi Show, sarà possibile vederlo in occasione di Eudi Show 2020 all’interno dello spazio Eudi Cinema, una delle novità della 28^ edizione della fiera della subacquea di Bologna.

Appuntamento per tutti, perciò, per assistere a questa emozionante proiezione negli spazi di Eudi Cinema la cui programmazione è in fase di preparazione. Per questo, per non perdere la possibilità di assistere al documentario, non dimenticate di consultare il sito www.eudishow.eu per restare aggiornati sulle novità e gli eventi organizzati.

“My name is Charlie”, altro film di punta a Eudi Cinema

Restiamo sul tema di questa nuova sezione dell’Eudi dedicata alla cinematografia di settore per anticiparvi un’altra perla. Tutti ricorderete i ragazzi thailandesi rimasti imprigionati in una grotta nel giugno 2018, una storia drammatica conclusasi fortunatamente bene grazie all’intervento di tecnici e soprattutto di subacquei straordinariamente capaci e addestrati. Ciò che quasi tutti ignoravamo, invece, è che un episodio simile avvenne nel 1907 in Australia! E sarà merito di Eudi Show se potrà tornare di attualità permettendo ai visitatori della fiera di Bologna che vorranno vedere il filmato di rivivere quell’avventura quasi dimenticata.

“My name is Charlie”, questo è il titolo del video, è un documentario italiano di Valeria Messina e Daniele Gastoldi ed è stato prodotto nel 2014. Ha visto anche la collaborazione di Fabio Vitale, istruttore subacqueo, consigliere della The Historical Diving Society Italia e ben noto collezionista ed esperto di attrezzature storiche da palombaro. In questa sua veste, Vitale ha avuto un ruolo importante nella ricostruzione fedele della vicenda narrata, avendo fornito le attrezzature d’epoca da palombaro, procurato i palombari e dato la consulenza durante la ripresa delle scene dove erano protagonisti i palombari. Inoltre ha partecipato di persona al documentario come storico intervistato e, sempre come storico, ha poi permesso a Mauro Francesconi, deus ex machina del settore video di Eudi Show, di ritrovare il video e di organizzarne la proiezione nella nuova sala Eudi Cinema realizzata appositamente per Eudi Show 2020.

Greenpeace…basta la parola!

Questa edizione dell’Eudi nasce all’insegna della salvaguardia dell’ambiente mettendo in campo una serie di iniziative eco che ne faranno la fiera della subacquea più verde di sempre. Concorsi legati alla protezione dell’ambiente e alla sensibilizzazione dei subacquei nei confronti degli ecosistemi marini, utilizzo di materiali riciclabili, risparmio d’acqua, promozione delle attività green messe in atto da diving e subacquei faranno da cornice agli stand e agli eventi che vedranno appunto la partecipazione di Greenpeace, certamente una delle associazioni ambientaliste più attive, note e rispettate per le sue campagne a 360 gradi in difesa dell’ambiente e del nostro pianeta.

Come molti avranno avuto modo di conoscere, Greenpeace da sempre lavora a campagne per la tutela del mare. In particolare negli ultimi anni ha sviluppato la campagna contro l’inquinamento da plastica in mare, che si è composta di tante iniziative internazionali e italiane, tra cui il tour Mayday Sos Plastica o l’iniziativa Plastic Radar. Ma la sfida più importante che Greenpeace ha deciso di affrontare è certamente quella dei cambiamenti climatici. Ecco perché Greenpeace ha deciso di lavorare insieme alla comunità scientifica per lanciare “Operazione Mare Caldo”, un progetto per focalizzare l’attenzione sulle mutazioni climatiche dal punto di vista di chi s’immerge, che vuole cioè monitorare gli impatti dei cambiamenti climatici in mare e per farlo propone di coinvolgere anche la comunità dei subacquei, cioè coloro che il mare più vivono e amano.

Per questo motivo, ma non solo, Greenpeace sarà presente all’Eudi con un proprio spazio dove i visitatori potranno avere notizie direttamente dagli attivisti e dagli esperti dell’associazione e sarà protagonista di due interventi sul palco Assosub per parlare delle tematiche sopra ricordate.

Sabato 29 febbraio, dalle 17:00 alle 17:30, Giuseppe Ungherese, responsabile Campagna Inquinamento Greenpeace Italia, parlerà di mare e plastica, in particolare della situazione relativa alla concentrazione di plastiche nel mar Tirreno centrale, con nuovi risultati sui dati più recenti acquisiti. Domenica 1° marzo, nuovo appuntamento alle ore 12:30 sul palco Assosub dove Giorgia Monti, responsabile Campagna Mare Greenpeace Italia, e alcuni studiosi, illustreranno scopi e finalità dell’Operazione Mare Caldo che Greenpeace ha lanciato insieme ai ricercatori del DiSTAV dell’Università di Genova. Il progetto si propone di studiare cosa stia succedendo nei nostri mari dove l’aumento delle temperature marine sta dimostrando di avere gravi conseguenze sulla biodiversità del Mediterraneo, un fenomeno che i subacquei hanno continuamente davanti alla maschera. Una ragione in più a ulteriore conferma di quanto sostenuto in passato anche da Assosub e EudiShow, e cioè che la subacquea può essere coinvolta, come intende fare anche Greenpeace in questo progetto, per monitorare la salute dei nostri mari.

“A pelo d’acqua”, la mostra fotografica per eccellenza

Cristian Umili, fotografo professionista pubblicitario, istruttore fotosub e guida subacquea, è un nome che non ha certo bisogno di molte ulteriori presentazioni.

Amante della biologia marina, cui ha dedicato moltissimi scatti nel corso della sua lunga carriera, Cristian al prossimo EudiShow racconterà in 10 (dieci) splendide immagini, scattate – appunto – “a pelo d’acqua”, il suo affascinante incontro con una foca monaca nelle acque dell’isola greca di Alonissos (Sporadi settentrionali), uno dei luoghi più emblematici per questo straordinario mammifero marino che qui ha trovato da tempo un suo rifugio grazie al lavoro che, da decenni, vi viene condotto dalla MMo Mediterranean Monk seal, la società ellenica per lo studio e la protezione della foca monaca.

Trovatosi per lavoro sulle coste e nelle acque dell’isola greca, Cristian Umili ha vissuto il fortunato incontro con un esemplare del pinnipede che, per nulla intimorito e anzi molto curioso, gli ha nuotato intorno a lungo. Dagli scatti realizzati sull’animale all’artista fotografo è venuta l’ispirazione di un accostamento di movenze con quelle altrettanto fluide e sinuose di modelle subacquee. E sulla grazia estetica di questo binomio tra il mammifero acquatico e l’essere umano si gioca il messaggio della mostra: il rilancio della possibile convivenza tra i due esseri e i loro mondi.

La mostra è visibile in tutte e tre le giornate dell’Eudi, perciò non perdetevi un momento d’intimità con voi stessi, meditando sulle splendide immagini ritratte.

La grande apnea della pesca in apnea

Ex-campioni, campioni moderni e campioni di domani, sul palco Maiorca di EudiShow, sabato 29 febbraio alle ore 17:00, per l’incontro dal titolo “Nuove glorie della Pesca in Apnea, come cambiano i tempi”. L’incontro offrirà a tutti gli appassionati di apnea e in particolare del mondo delle competizioni apneistiche di carattere venatorio, l’occasione per un contatto diretto e personale con atleti, dirigenti sportivi, allenatori ecc, che faranno il punto sullo stato attuale delle discipline agonistiche che, tramite la FIPSAS, rappresentano il top del gesto atletico e psicomotorio nelle rispettive branche, tutte accomunate appunto da ciò che da sempre – e oggi ancor di più – è definibile come “l’arte di trattenere il respiro” sott’acqua. L’evento, di cui sarà moderatore Marco Bardi nelle sue vesti di Direttore Tecnico della Squadra Nazionale di pesca in apnea, vedrà riuniti sul palco molti atleti del Club Azzurro, tra cui anche Luigi Puretti che è l’attuale Campione Italiano in carica.

La donna che sussurrava alle murene

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«Perché l’apnea è più d’una abilità. È l’arte del respiro trattenuto, del tempo sospeso sussurrato alla vita. Il mare lo sa, è la sua natura. E ce la insegna. Noi che abbiamo avuto il privilegio d’impararlo possiamo così riscoprirlo a ogni tuffo.» Parola di Elena Mancini!

Di Elena Mancini

“Ognuno è un genio. Ma se si giudica un pesce dalla sua abilità di arrampicarsi sugli alberi, lui passerà tutta la sua vita a credersi stupido.”

Mi frullava in mente questa citazione – che credo attribuita ad Albert Einstein – quando mi son messa a comporre la breve serie di considerazioni che seguono e che avrei anche potuto intitolare «Abilità – la storia di chi alla fine ha capito cosa sono».

Quando hai 18 anni, ti senti abile in tutto anche se poi alla fine sei capace a fare poco o niente; la mancanza di paura e l’attitudine alla sfida ti fa fanno fare si tante brutte figure, ma ti fanno anche iniziare quel cammino che un giorno (ancora lontano) ti porterà ad essere abile in qualcosa.

Conosco molte persone che passano la vita ad ammirare le abilità degli altri seduti su un divano davanti a una tv, a uno stadio o in qualche tribuna di qualche palestra. Persone che vivono tutta la vita nel corpo e nelle abilità di qualcun altro. Però vi posso dire che conosco anche persone che hanno veramente delle abilità, incredibili e ammirabili, ma sono tutte persone che raramente stanno sedute su un divano.

Con gli occhi si può catturare molto, è vero, ma sta di fatto che se vuoi che il tuo corpo sappia un giorno fare qualcosa di veramente incredibile, lo dovrai stressare fino alla disperazione. Ti dovrai torturare la mente, saltare pasti, piangere e sentirti spesso incapace e questo accadrà per moltissime volte. E se poi davvero vuoi imparare bene, dovrai avere anche il coraggio di stare con chi lo sa fare molto meglio di te perché nel confronto riuscirai a vedere i tuoi difetti o i tuoi limiti per poi ricominciare a lavorarci su e migliorarti. E sarà proprio la tua capacità a metterti in discussione che ti renderà tanto più o tanto meno abile in quella cosa che stai cercando di imparare.
Questo è in breve la storia di tutti quelli che oggi possono dire di saper fare bene qualcosa e anche se non lo dicono direttamente, poi tanto sono gli altri a riconoscerglielo, ed è anche un po’ la mia storia. Tornando indietro nel tempo, ai famosi 18 anni, quando mi avvicinai al mare, capii che avevo preso una strada di dolori e che molte volte le cose mi sarebbero andate storte. E così è stato… non so ancora perché non ho mollato tutto per andare a fare i balli latini o qualsiasi altra cosa che sembrava enormemente più facile.

Chi pratica l’apnea e lo fa abbastanza seriamente lo sa cosa voglio dire quando parlo di sputare sangue, piangere dal freddo e guardarsi quel segno sulla fronte che ti lascia sempre la maschera, in ricordo di quello che c’è stato quel giorno tra te e lui e che nessuno degli altri potrà mai capire neanche se si sforza. Quelle delusioni infinite di sfide andate a vuoto, sogni volatilizzati nel nulla eccetera eccetera… Ma il mare è mare e vuole gente tenace che accetta la sconfitta; che si tiene pronta, pensa veloce ma conosce l’attesa; e che ricomincia da capo con lo stesso entusiasmo di sempre, con la stessa voglia di riprovare e con la stessa luce negli occhi.

Nel mio caso, per esempio, volevo fotografare i pesci e lo volevo fare in apnea. Il primo corso, poi il secondo e poi il terzo e molti altri ancora. E nel frattempo l’evoluzione fotografica. Ripenso a quella macchinetta analogica (la mia prima) in quello scafandro giallo. La amavo e la detestavo contemporaneamente. Non avete idea di quante centinaia di migliaia di foto sviluppate ma senza avere un soggetto che fosse rimasto nell’obbiettivo. Uno piccolo giusto per tirarmi su di morale? Niente da fare, sempre e solo sassi e alghe. Gli anni passavano, io miglioravo le mie prestazioni ma per fortuna la tecnologia faceva altrettanto e col sopraggiungere del digitale piano piano iniziavano ad arrivare le soddisfazioni. Fu pazzesca la soddisfazione di quella volta che riuscii a individuare il pesce pietra (Synanceia verrucosa) perché il difficile non è fotografarlo, il difficile è vederlo e il segreto è non avere paura. Del resto lui lo sa di essere mortale (credo) e resterà imperterrito, impassibile e immobile, statuario come una pietra, tanto se lo sfiori sei tu ad avere la peggio… definito e accertato pesce mortale ma affatto bellicoso e grande osservatore sicuro di sé.

Bella foto riuscii a scattare, ma c’era ancora tanto su cui lavorare. Vestiti da sera e tacchi a spillo? Borsette di pelle e lustrini? Macché! I miei risparmi finivano tutti lì, nella mia attrezzatura.

D’altra parte mi dava molta più soddisfazione guardare una bella foto che riuscivo a scattare a qualche strepitosa creatura piuttosto che farmi guardare dagli altri su un paio di tacchi. Poi ogni foto è come una cattura: ha una sua storia, la storia di tutta una giornata e a volte di tutta una settimana. Cogliere nel pesce la perfezione di uno sguardo, di un ordine in cui madre natura ha messo insieme i colori, o nella perfezione sincronizzata del muoversi di un banco di pesci, o addirittura di un fascio di luce che penetra potentemente quei trenta o quaranta metri di acqua portando con sé la gioia della luce… succede che quando torni a casa con quella perfezione che per tutto il giorno ti si è infilata negli occhi, piano piano ti accorgi che ti si trasferisce tutta nel cuore per renderlo dipendente.

Tornando all’incipit di questo articolo, caro lettore ti dico che essere abili è quindi il destino di chi è stato coraggioso, umile e paziente per tutta una vita, ma ho capito anche un’altra cosa: avere la capacità di scegliere di fare cosa ti piace e lasciare tutto il resto è un’altra grande abilità che tra l’altro possiedono davvero in pochi perché la maggior parte delle persone (ho notato) si lamentano di quello che fanno e si lamentano di quello che avrebbero potuto fare… che dici non è vero?

Gli insoliti ignoti

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Il nostro tributo spassionato per tutti i relitti di navi civili e mercantili, di solito snobbati in favore di quelli militari. Ingiustamente

Testo di Romano Barluzzi. Foto di Marco Mori.

Ci sono quelli che hanno guerreggiato e sono affondati in combattimento. Gloriosamente. Tragicamente. Il loro nome risuona celebre nel persempre. E sono nomi al maschile, come si conviene solo ai vascelli militari. Poi ci sono i bastimenti, che trasportano cose e persone. Battezzati con nomi di donna. Il femminino dei piroscafi naviganti, simbolo di pace. Per far nascere, costruire, avvicinare sponde. Quando scompaiono sott’acqua entrano in una invisibilità non solo fisica: diventano ignoti. E in terraferma si dice “era solo una nave civile”, poi diventata “il solito relitto mercantile”.

Difficile trovarne interessante o attraente la storia e, come non ne avessero una, ci si dimentica perfino del loro nome. L’onta peggiore, per una nave. Eppure una storia l’hanno avuta anche loro ed è stata una storia unica: è risuonata nelle merci che trasportavano in stiva, negli incontri avvenuti nelle loro cabine, nella musica che si ballò in quei saloni, nella bandiera che battevano, nelle tempeste che hanno affrontato per assicurare il carico dei loro sogni al porto di arrivo.

Dall’altra parte del mare. Dove – che vi siano giunte o meno – hanno comunque determinato chissà quanti altri destini. Semplicemente per il fatto di essere esistite, di essere partite. Solo quando queste navi diventano relitti e ai subacquei soltanto è concesso d’ispezionarli volandovi in immersione si scopre la loro nuova e così insolita natura. Un inno alla vita e al Creato, in ogni loro pertugio, originale manufatto o esito del precipitare nell’abisso.

Così le immagini che i visitatori dei fondali raccolgono narrano al mondo ciò che sono diventate ed è allora che quelle navi, come per magia, escono dall’occultamento e dall’anonimato, trasmettendo tutto il fascino che non poterono avere, tutti i segreti che non dovettero custodire, tutta la gigantesca colonia vivente che pur così inermi difendono. Non si sono mai arrese. Un diverso e rinato navigare. Il solo modo che la loro anima ha per candidarsi all’eternità. Voi che scendete laggiù…ricambiatele del privilegio che vi offrono nel lasciarsi osservare, restituitele voce, dicano a tutti chi sono. Tutti dobbiamo loro qualcosa: essere qui.

La “maschera sub” contro COVID-19

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L’iconica maschera gran-facciale Decathlon dedicata allo snorkeling sta trovando un impiego inconsueto ma tale da far sentire orgogliosi tutti i subacquei. A prescindere da come andrà

Di Romano Barluzzi

Ammettiamolo: come maschera sub le sue fortune sono sempre state altalenanti. In qualche modo attraente da vedersi e anche da maneggiare, non ha mai incontrato granché tra i sub, ma a mio avviso ingiustamente. Perché se la si fosse considerata sempre e soltanto per ciò per cui è stata ideata, cioè lo snorkeling puro, quello condotto esclusivamente in galleggiamento, senza mettere mai la testa sott’acqua neppure di mezzo metro, e dunque la si fosse destinata esclusivamente a neofiti e per la sola perlustrazione a pelo d’acqua, se ne sarebbero potuti apprezzare gli indubbi vantaggi: per un neofita è intuitiva da indossare e semplice, elementare, con una sola mossa; la respirazione appare meno “strana” (attenzione, non riferiamoci allo sforzo respiratorio, bensì alle sole sensazioni soggettive di chi non ha mai messo nulla sul viso: sono persone che solitamente tendono a una miglior tolleranza dell’oggetto in sé rispetto alla consueta abbinata maschera + snorkel); è facile prevenirne tutti i problemi, basta non immergere tutta la testa sott’acqua… cosa che tra l’altro nel neofita non verrebbe comunque spontanea.

Ma i subacquei, si sa, tendono ancora a considerare chi fa immersioni come il solo depositario dei segreti dell’acqua e del mare; mentre chi fa snorkeling … un non-subacqueo. Dimenticandosi che nel 90% dei casi è proprio con lo snorkeling che è iniziata l’avventura esistenziale di chi poi è diventato “effettivamente subacqueo”. Ma tant’è…

Questa era la “mascherona Decathlon”…fino a ieri. Però poi è arrivato il Microscopico Bastardo che sta trasformando i sogni di molti di noi in incubi. E molti di noi, nell’aver a che fare contro di lui in virtù della vita di tutti i giorni, della famiglia, del proprio lavoro o del proprio volontariato o sport, si sono chiesti quale nesso avrebbe potuto mai esserci tra una pandemia e le attività subacquee.

Ebbene, la cosa finora più impensabile, o comunque meno immaginabile, è venuta in mente a una serie di persone che proprio dalla subacquea sono partite per considerare che, se questa maschera serviva per respirare meglio a un neofita di snorkeling che tiene la faccia nell’acqua, poteva forse dare un vantaggio respiratorio anche a malati di COVID-19.

Com’era possibile? E più precisamente in quali circostanze? In che genere di insufficienza respiratoria? Ecco: è accaduto che, malgrado queste e probabilmente molte altre domande non abbiano ancora a oggi una risposta certa, qualcuno s’è fatto venire anche l’idea di modificare la maschera, togliendole l’originario “snorkel” e innestando al suo posto un raccordo completo per l’ossigeno terapeutico. E siccome questo andava realizzato ex-novo ed è fatto di due pezzi componenti, bisognava realizzarli. Qui la svolta: con la tecnologia della stampante in 3D e le giuste mescole dei polimeri necessari il gioco poteva essere fatto. Ed è stato fatto realmente.

Ebbene, anche se già mentre andiamo in pubblicazione con questo articolo sono diventate svariate le realtà in grado di approntare sia la maschera suddetta sia il raccordo per l’ossigeno, quella che voglio raccontare io è la storia – breve– che ho potuto conoscere di persona: credo infatti che resti abbastanza indicativa di quali possano essere anche le molte altre che stanno intrecciandosi in questi giorni.

È accaduto (a me) d’aver interessato il primario della rianimazione dell’ospedale centrale della mia città, amico di lunga data, il quale alle sommarie spiegazioni che con estrema cautela gli prospettavo la settimana scorsa taglia corto così: “Senti, vorrei proprio provarla! Tanto non c’è omologa o specifica tecnica che tengano, a me interessa di vedere se funziona. Perciò, se hai modo di farmene avere una, la metto alla prova e vediamo”.

E così, grazie all’amico Leonardo d’Imporzano e all’associazione 5Terre Academy che presiede, ricevo via corriere farmaceutico due esemplari della famosa maschera, un po’ diversificati nelle dimensioni in modo da potersi adattare a visi differenti. L’azienda che produce il raccordo per l’ossigeno tramite la stampa in 3D è la “Superfici Scrl” di La Spezia; lo fa sul progetto originario della Isinnova di Brescia. Le due maschere mi arrivano complete e pronte all’uso: le guardo come un bimbo quando scarta i regali di Natale.

Mentre vado a portarle – a mia volta tramite un’associazione di volontariato socio-sanitario – alla Rianimazione dell’ospedale avverto un’insolita euforia. E penso che, se appena sei mesi fa qualcuno mi avesse pronosticato che un giorno mi sarei detto “oggi la cosa più bella che sento d’aver fatto è stata consegnare due maschere da sub al mio primario della Rianimazione per far respirare meglio l’ammalato di una pandemia da coronavirus” gli avrei chiesto cosa si fosse fumato di tanto allucinogeno!

La cosa ulteriormente strana è che al contempo cerco di immaginarmi questa impalpabile ma concreta filiera creatasi dal nulla, e che forse era la prima, come ora probabilmente ce ne sono già svariate: da un ideatore originario – e magari anche di questi ce n’è stato più di uno – che, vengo a sapere pur senza conoscerlo, essere stato un medico di Brescia con la passione per la subacquea; la “sua/loro” idea applicata sulla maschera gran-facciale di un’arcinota catena di articoli sportivi finora un po’ snobbata dai sedicenti “subacquei veri”; passando per un amico e collega giornalista subacqueo e per l’azienda di una città di mare; per arrivare infine tramite il volontariato alle terapie intensive di un’altra cittadina dell’entroterra, in prima linea contro la COVID19.

Mi chiedo cosa importi che ancora non si sappia se e quando un equipaggiamento del genere avrà un impiego sanitario standardizzabile e standardizzato; cosa importi se, malgrado si sappia che è stata provata probabilmente già in molti ospedali, mancano ancora report circostanziati; mi chiedo, ancora, che significhi sapere quante altre storie simili ci siano già state o ci saranno ancora.

La risposta è sempre la stessa: “Niente!”

Riesco a pensare solo alla quantità e alla qualità dell’inventiva, del coraggio e della solidarietà che ogni storia del genere si porta appresso. E al senso di gratitudine verso la vita che ti lascia dentro per averne fatto parte. Anche una minima parte.

E infine mi piace poter pensare che proprio il curioso universo della subacquea abbia ancora una volta, pure in questo periodo, saputo esprimere i propri valori più profondi, pur in un modo tanto singolare.

Semmai sono altre le considerazioni meno edificanti che mi sovvengono: per esempio la constatazione giornaliera dell’abisso che intercorre tra tanta buona volontà individuale di singole persone e il nulla che sanno esprimere certi nostri governanti regionali; com’è che, tra disorganizzazioni, burocrazia, lentezze pachidermiche e smisurate irresponsabilità si finisca a dimostrare solo di non avere alcuna strategia, né di averne mai avuta una, neppure come Paese; si preferisca preoccuparsi dell’emergenza solo giorno per giorno, mentre capita già, evitando di darsi abbastanza da fare per mettere a sistema in tempo utile le enormi capacità che i singoli hanno e tutti assiemesaprebbero esprimere; e sia stato per tanti esperti, perfino consulenti governativi, troppo più semplice limitarsi a osservare che “era complicato fare più tamponi”, o “mancavano i reagenti per i test”, o “erano troppo pochi i laboratori per le analisi” (così come “mancavano le mascherine”, o “ce le rubavano”, o era “difficile” produrne di più, distribuirle a tutti…e così via).

Idem per il fatto che solo in questi ultimissimi giorni si parla sempre più insistentemente di test mirati su ampia scala (anche agli asintomatici), di “contact-tracing” (tracciatura dei contatti), insomma di “sorveglianza attiva”, modello Sudcoreano – o da noi Veneto – ecc; ma quanti non si sono accorti o han già dimenticato che l’OMS Organizzazione Mondiale della Sanità predica questa linea di condotta da oltre un mese a tutti i Paesi? Quanto tempo si è perso e quanto vale, in vite umane, in questo periodo? Di quanti test e mascherine si sarebbe potuto disporre già da settimane, se ne fosse stata avviata subito – quand’era il momento – la produzione? Se fossero bastati qualche timbro, qualche funzionario e qualche carta bollata in meno? Se. Se. Se…

“Ma questa è un’altra storia”, dovrei limitarmi a dire adesso, in quanto al timone di un organo d’informazione dedicato al settore subacqueo.

E invece no!

Perché la storia che ho raccontato della “mascherona da snorkeling che si trasformò in ausilio respiratorio per ammalati” è per me un parallelo calzante con quanto ci sta succedendo su tutto il fronte di questa tristissima sporca guerra che inciderà per sempre nelle vite di noi tutti.

Perché conosco molti colleghi che si occupano in prima linea di divulgazione scientifica e, dato il periodo, stanno tutti – fin dall’inizio di questa crisi – sostenendo la battaglia sul fronte delle corrette informazioni circa quel che accade, anche allo scopo di sensibilizzare i decisori a scelte e soluzioni più razionali, strategiche e “scientificamente” fondate. Inascoltati!

Come la lettera aperta che 290 (duecentonovanta) studiosi firmatari hanno inoltrato a livello nazionale. Inascoltati pure loro.

E così ho trovato anche questo un modo per far sentire la voce dei valori e dell’esempio ancora una volta provenienti dalle attività subacquee. O da queste ispirati. A prescindere che tutto sia – per quelle sorde orecchie – davvero poca cosa, in fondo più piccola di tante altre.

Dovevo farlo, ecco; come consegnare il prezioso regalo di quelle due “mascherone”. A prescindere da come andrà.

Spero non me ne vorrete. E comunque GRAZIE se avete avuto pazienza di leggere fino a qui.

“Home working” sub

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ASBI per prima ha scelto un modo costruttivo e in linea con i propri ideali per affrontare la “vita al tempo del coronavirus” senza perdersi d’animo: una serie di specialità sub in incontri virtuali a distanza, offerti dai suoi istruttori per tutti i propri iscritti. Esempio subito seguito da tanti

I primi, ancora una volta, sono stati proprio loro, quelli di “ASBI Albatros – progettoPaoloPinto – Scuba Blind International”, i membri della nota associazione per subacquei non vedenti.

Hanno lanciato – già il mese scorso, appena scattata la chiusura totale degli spostamenti con tutte le restrizioni connesse causa COVID-19 – una metodica di “lezioni” didattiche teoriche legate a varie tecniche d’immersione.

Così i subacquei di ASBI hanno potuto mettersi a seguire tutta la parte teorica di una gamma di ben 10 (dieci) specializzazioni subacquee, in videoconferenza Skype con i rispettivi istruttori, gratuitamente.

E stanno ancora continuando a farlo, anche adesso che nel frattempo il loro esempio è stato seguito da un numero sempre maggiore di realtà didattiche e/o singoli istruttori o esperti, un po’ in tutte le branche delle immersioni.

È stato anche il movente per riscoprire (o in certi casi scoprire per la prima volta) un miglior utilizzo dei mezzi informativi e di comunicazione oggi alla nostra portata, specie nel caso della comunità dei subacquei che da sempre sono tra i componenti di un pubblico percentualmente molto digitalizzato, ma non per questo e non sempre il più virtuoso.

Agli incontri di ASBI stanno prendendo parte anche personaggi noti e d’eccellenza nel campo delle attività subacquee, con grande ed evidente soddisfazione reciproca per tutte le parti in gioco.

“Il miglior augurio per ritrovarci prima possibile tutti quanti nuovamente immersi davvero, anche fisicamente, nell’amato mare.”, ha sintetizzato la presidente dell’associazione Angela Costantino Pinto.

Blue Dolphin Underwater Photography

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È stato questo il 1° Open Internazionale di fotografia subacquea di Aqaba, in Giordania, tenutosi dal 5 al 9 febbraio 2020. Ed eccone l’intero svolgimento

Testo di Isabella Furfaro

In un’atmosfera surreale, dovuta al drammatico momento che il nostro Paese ed il mondo intero stanno vivendo a causa della pandemia, riesco fortunatamente ad “immergermi” nel ricordo di un bellissimo momento sportivo vissuto poco prima dell’inizio dell’isolamento globale, il Blue Dolphin Underwater Photography.

Organizzato dalla Royal Jordanian Marine Sports Federation e dalla CMAS (Confederazione Mondiale delle Attività Subacquee), il I° Open Blue Dolphin Underwater Photography, Contest Internazionale di Fotografia Subacquea si è svolto ad Aqaba, in Giordania, dal 5 al 9 febbraio 2020.

Come accaduto in trascorse occasioni, la squadra italiana di fotografia subacquea, che rappresentava la FIPSAS, si è distinta, grazie agli ottimi risultati ottenuti dal fotografo Stefano Proakis e dalla modella/assistente Isabella Furfaro, conquistando ben due primi posti in una delle due categorie previste nella competizione, la “Wide Angle”. Infatti, due delle tre foto presentate hanno guadagnato, con il medesimo punteggio, il gradino più alto del podio. Il primo posto nella categoria “Macro” è stato invece conquistato dal giordano Samer Bitar.

Il Contest prevedeva la presentazione, da parte dei dodici fotografi partecipanti, di tre immagini relative alle categorie Wide Angle e Macro (close up). Due le giornate di gara e quattro le immersioni previste in differenti siti. Gli atleti di nazionalità Giordana, Canadese, Egiziana, Libanese, Palestinese, Statunitense e Italiana, si sono sfidati “a colpi di click” negli splendidi fondali di Aqaba.

Atterriamo all’aeroporto di Aqaba leggermente intorpiditi, con quella tipologia di stordimento dovuto a un precoce risveglio notturno per via di una partenza nelle primissime ore del mattino. Sappiamo trattarsi di uno stordimento piacevole in quanto preludio alla conoscenza di un nuovo Paese, di una nuova avventura e di una sempre eccitante nuova esperienza subacquea.

È un sole tiepido e ristoratore quello che ci accoglie; la squadra italiana è accompagnata e amichevolmente supportata da Iwona, Antonietta e Giulio.

Siamo tutti soavemente sorpresi dall’atmosfera del posto, ben differente da quella che si avvertiva, solo poche ore prima, in Italia.

Il nostro gruppo è cordialmente accolto da Ayman Jabr, manager responsabile dell’organizzazione della competizione.

Da subito Ayman si rivela prezioso. Come spesso accade ai fotografi subacquei in viaggio negli aeroporti internazionali, nel momento in cui si trovano ad affrontare gli accurati controlli nella fase di ritiro del bagaglio, le complesse attrezzature subacquee destano dubbi e preoccupazioni anche se, nella generalità dei casi, le prime perplessità dei vigilanti si trasformano ben presto in curiosità e in amichevoli dialoghi con gli atleti.

L’intervento di Ayman rasserena l’iniziale tensione e velocizza il processo di controllo, rivelandosi sin da subito il nostro “Aladin”, sempre presente e disponibile durante l’intero soggiorno ad Aqaba.

L’hotel Captain, situato nel centro della città, ospita noi e una buona parte degli atleti.

A poche centinaia di metri dall’hotel è situato l’accogliente centro di immersioni “Aqaba International Diving Center” diretto da Mohammad Qatawhneh.

Mohammad è uno dei fotografi partecipanti alla competizione e, con spirito collaborativo ci conduce, insieme ad Alain, sul sito della nostra prima escursione subacquea, il bellissimo percorso del Japanese Garden.

In serata si svolge il briefing esplicativo alla presenza, fra gli altri, del Presidente della giuria, l’atleta libanese, membro CMAS, Annette Khoury, e di Simon Khoury, membro del Consiglio CMAS. Durante il briefing vengono fornite utili informazioni in merito ai regolamenti della gara, nonché chiarimenti alle domande degli atleti.

Ci predisponiamo così alla giornata successiva che prevede sia la cosiddetta immersione di “adattamento” che il primo momento di incontro ufficiale con lo staff operativo dell’organizzazione. L’incontro è previsto presso il Sinai Divers diving che è collocato all’interno dello splendido Möwenpick Hotel, situato in direzione sud della costa verso il confine con l’Arabia Saudita. Siamo accolti da Rajai Joury e dal suo staff in una attrezzata e confortevole struttura posta di fronte la spiaggia, a pochi passi dal mare. Anche Rajai parteciperà alla competizione.

L’immersione inizia praticamente di fronte al diving, nell’esteso Kiwi reef.

Si decide la durata di circa 50 minuti di immersione per sfruttare al meglio le nostre bombole da 12 litri, dovendo, per motivi di sicurezza, terminare il tuffo con 50 atm di aria, a ridosso della spiaggia da cui si parte. Kiwi reef ci accoglierà per ben due volte durante la gara.

Nel primo giorno di gara la partenza è prevista dal porto turistico di Aqaba e concorrenti, giuria e assistenti sono ospitati nella splendida imbarcazione Harmtan, alla volta del sito dove giace il relitto del Cedar Pride. Si tratta di un cargo libanese che, come molti relitti, è ricco di vita, a tratti ricoperto di incrostazioni e organismi marini. Il Cedar Pride, a seguito di un grave incendio avvenuto nel 1982, fu successivamente affondato divenendo una delle più belle attrazioni subacquee del posto.

La prima giornata di gara è stata purtroppo caratterizzata da uno dei rarissimi eventi atmosferici avversi che si verificano in questa parte del Mar Rosso con un mare decisamente mosso! Gli ormeggi della grande barca e le delicate attrezzature subacquee sono messe a rischio e la prima giornata, per motivi di sicurezza, si conclude dopo la prima immersione. Si rientra in porto con la speranza di avere in macchina già dei buoni scatti e con l’augurio, condiviso da tutti, che la giornata successiva porti migliori condizioni metereologiche!

Ed invece, proprio a causa del persistere delle cattive condizioni atmosferiche, le immersioni della seconda giornata di gara partono “da terra”. Ci si immerge tutti una prima volta su Kiwi reef mentre la seconda immersione si potrà effettuare, in alternativa a Kiwi Reef, anche nel vicino sito dell’Airplane C 130. Si tratta di un Hercules appositamente affondato per creare un nuovo habitat a favore della vita sottomarina e dei subacquei che possono ammirarla. L’aereo è facilmente visionabile grazie ai suoi 16 metri di profondità.

La visibilità, le guide del luogo, ci confermano che anche la seconda giornata di gara non vedrà migliori condizioni.

Concluse le giornate di gara si attendono i risultati elaborati dalla giuria composta da Ms. Annette Khoury (Lebanon), Mr. Simon Khoury (Jordan) Mr. Mohammad Sergi (Lebanon) e Mr. Ahmad Qatawneh (Jordan).

La cerimonia conclusiva dell’evento si svolge presso le eleganti sale del Mövenpick con la proiezione delle immagini presentate dai concorrenti, alla presenza delle Autorità giordane, fra cui il Chief Commissioner of tourism, Mr. Sharhabeel Madi.

Come sempre, forte è l’emozione durante il momento della proiezione a cui fa seguito la presentazione dei risultati finali e la proclamazione dei vincitori.

Entusiasmo e commozione seguono la proclamazione della vittoria da parte dalla coppia italiana Proakis/Furfaro in una delle due specialità, addirittura ben 2 delle 3 immagini presentate nella categoria “Wide Angle” raggiungono, in ex aequo, la prima posizione!

Se pur non sul podio, anche le 3 immagini presentate dagli Italiani nella categoria “Macro”, ricevono grandi apprezzamenti sia da parte dei giurati che dal pubblico presente in sala.

Le nostre congratulazioni vanno a tutti i partecipanti che hanno svolto ottime prestazioni nonostante le avverse condizioni meteo!

A conclusione della cerimonia di premiazione Ayman invita l’intero Team italiano a partecipare al 2° Open previsto entro la fine del 2020.

Non possiamo che augurarci che ciò si realizzerà perché vorrà dire che il mondo sarà “guarito” dal maledetto virus della Covid-19.

 

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Aqaba e la Giordania, un’oasi mediorientale 

La Giordania è un piccolo Stato che prende il nome dal fiume che la attraversa, il Giordano, che conclude il suo percorso nelle acque del Mar Morto, un grande “lago salato” situato ad oltre 400 metri sotto il livello del mare. In esso la quantità di acqua che evapora è maggiore di quella che vi affluisce e ciò determina, al suo interno, la più alta concentrazione salina del mondo. L’elevata salinità rende facile il galleggiamento dei corpi – buffe le persone che provano a nuotarvi – e difficile lo sviluppo di forme di vita al suo interno. I sali che da esso si estraggono vengono utilizzati per scopi terapeutici e cosmetici. 

Il territorio giordano è in gran parte costituito da deserti e altopiani.

La capitale è Amman e lo Stato è una monarchia costituzionale. L’attuale Re è Abd Allāh II, marito di Rania di Giordaniaappassionato subacqueo e promotore di alcuni progetti intesi a promuovere il turismo subacqueo. 

La città di Aqaba rappresenta l’unico porto di accesso al mare per la Giordania, all’interno del golfo omonimo.

Dal mare, di sera, si possono ammirare le luci provenienti dalle coste della vicina città israeliana di Eilat e, più a sud, quelle delle coste egiziane. Aqaba dista poche ore di auto dall’antica città di Petra e dalla splendida località desertica del Wadi Rum. 

Aqaba può ritenersi un posto ideale da suggerire a chi volesse intraprendere l’attività subacquea in modo graduale. Molte immersioni partono dalla spiaggia e i fondali degradano lentamente e dove, sin dai primissimi metri di profondità, si possono ammirare scogli ricchi di spugne e coralli e pesci dai colori più disparati. La bellezza dei fondali, la grande biodiversità, la scarsa presenza di forti correnti, l’eccellente visibilità, la temperatura dell’acqua mai troppo fredda rendono molte delle immersioni semplici e piacevoli. L’acqua è più salata che nei nostri mari e, quindi, è necessario aggiungere qualche kg in cintura per poter immergersi e raggiungere un buon assetto.

Elenco dei partecipanti:

  1. Mr. Yazan Saad – Jordan
  2. Mr. Mohammad Qatawneh – Jordan
  3. Mr. Rajai Joury – Jordan
  4. Mr. Samer Bitar – Jordan
  5. Mr. Abdullah Alryati – Jordan
  6. Mr. Luay Rayyan – Palestine
  7. Mr. Stefano Proakis – Italy
  8. Mr. Brett Hoelzer – USA
  9. Ms. Tara Artner – Canada

10.Mr. Sameh Mesharafa – Egypt

11.Mr. Samer Halawani – Lebanon

12.Mr. Mario Lahhoud – Lebanon

Final Result – podium

 

Wide Angel Photo                                                   Macro (Close Up)

1 Stefano Proakis – Italy                                            1 Samer Bitar – Jordan

2 Samer Bitar – Jordan                                              2 Yazan Alsaad – Jordan

3 Samer Halawani – Lebanon                                    3 Mohammad Qatawneh – Jordan

“Blue Dolphin Underwater Photography”

1st International Underwater Photography Contest

Aqaba, Jordan, 5 – 9 February 2020

 

by Isabella Furfaro

 

Waiting for the world to come out of the forced isolation due to the coronavirus pandemic, waiting for a revival of society, we take a short step back in time to the first days of February, when the Blue Dolphin Underwater Photography took place. Here is a short story.

In an almost unreal atmosphere and the dramatic moments that our country and the whole world has been experiencing, I find myself, for few minutes, immersed in the memory of one of the beautiful sporting moments experienced just before the worldwide lockdown: the Blue Dolphin Underwater Photography.

Organized by the Aquamarina Sport Club, by Royal Jordanian Marine Sports Federation and CMAS (World Confederation of Underwater Activities), the 1st International Underwater Photography Contest took place in Aqaba, Jordan, from 5 to 9 February 2020.

As in previous occasions, the Italian National team of underwater photography that represented the FIPSAS – the Italian Federation of Sport Fishing and Underwater Activities – has distinguished itself thanks to the excellent results obtained by the photographer Stefano Proakis and his model/assistant, Isabella Furfaro. In the wide angle category – one of the two specialties of the competition – they reached two first places. Two of the three photos presented had the same score on the top step of the podium. The first place in the “Macro” category was instead won by Jordanian Samer Bitar.

The contest consisted of the presentation by the 12 participating of three images relating to the wide angle and macro (close up) categories. Two competition days and four dives were scheduled in different sites. The athletes of Jordanian, Canadian, Egyptian, Lebanese, Palestinian, American and Italian nationalities competed in the splendid backdrops of Aqaba.

 

It is a warm and restorative sun that welcomes the Italian team upon arrival. The team is amicably accompanied and supported by Iwona, Antonietta and Giulio.

Arriving at the airport we feel a slight dizziness caused by a very early awakening due to the take-off from Rome in the early hours of the morning, but it becomes almost pleasant as it is a prelude to the discovery of a new country, to face a new adventure and a new underwater experience. The atmosphere we feel is different from that which we felt in Italy only a few hours before. The new context gives thoughts, about what would later become a health emergency that would soon hit the whole world, even the most distant places.

We are welcomed by Ayman Jabr, the manager who oversees the organization of the competition together with his staff.

As it often happens to underwater photographers traveling, we are faced with careful controls entering the country due to the complex underwater equipment, which – to inexperienced eyes – may seem unusual instruments as they inspire doubts and distrust. The first perplexities of the vigilantes change later into curiosity, and the initial concern of the equipment owner – at the sight of handling it – turns into a friendly dialogue between us and the vigilantes, a dialogue supported also by Mr. Ayman Jabr. He was immediately hospitable with each of us and will be the main contact person in Aqaba, our “Aladdin” who will answer our many questions.

The Captain hotel, located in the city center, hosts us and part of the athletes.

A few hundred meters from the Hotel is the nice diving center of Mohammad Qatawhneh, the Aqaba International Diving Center. Mohammad is one of the photographers participating in the competition and, with a collaborative spirit, he takes us together with Alain to the site of our first underwater excursion: the beautiful path of the Japanese Garden.

In the evening, the technical briefing takes place in the presence, among others, of the jury President and CMAS representative: the Lebanese athlete Annette Khoury and Simon Khoury, member of the CMAS Council. During the briefing, specific useful informations are provided regarding the competition while any further needs of the athletes are also discussed.

So we prepare ourselves for the next day which includes both the so-called “adaptation” dive and the first official meeting with the operational staff of the organization.

The organization related to the dives is carefully supervised by the Sinai Divers. The Sinai Divers are hosted inside the splendid premises of the Möwenpick Hotel, located south of the coast near the border with Saudi Arabia. We are warmly welcomed by Rajai Joury in a well-equipped and comfortable structure located in front of the beach, a few steps from the sea. Rajai will also participate in the competition.

We start to dive, therefore, leaving from the beach of the hotel on the extensive and beautiful Kiwi reef, probably one of the competition site. A diving time of 50 minutes is established, during this time we have to make the best use of our 12-liter cylinders; we have to, for safety reasons, finish the dive with 50 atm of air in the tank, as well as finish diving close to the beach from which we started. Kiwi reef will welcome us twice during the race.

During the first day of the competition, the departure is scheduled from the Aqaba marina. Competitors, jury and assistants are hosted in the splendid Harmtan boat near the site where the Cedar Pride wreck lies. This wreck is a Lebanese cargo ship and as many wrecks it is full of living marine organisms. After a serious fire in 1982, the Cedar Pride was subsequently sunk to become one of the most beautiful underwater attractions against the backdrop of Aqaba.

Unfortunately, the first day of competition was the protagonist of one of the very rare adverse weather events that occur in this part of the Red Sea!

The moorings of the large boat and the delicate diving equipment are put at risk by the rough sea and so, the first day ends after the first dive for safety reasons. We return to the port with the hope of having good shots in the camera and with the wish shared by all that the weather will improve the following day!

Due to the persistence of bad weather conditions, the second day of competition takes place from the beach of the Sinai Divers. We first dive on Kiwi reef while the second dive takes place, at the choice of the competitors, on Kiwi reef or on the nearby site of Airplane C 130, the Hercules sunk to create a new habitat for underwater life. The plane is easily viewed thanks to its 16 meters of depth.

After the competition days, we await the results issued by the jury that is composed of: Ms. Annette Khoury (Lebanon) and Mr. Simon Khoury (Jordan) Mr. Mohammad Sergi (Lebanon), Mr. Ahmad Qatawneh (Jordan).

The projection of the images presented by the competitors takes place during the ceremony that concludes the event in the elegant halls of the Mövenpick Hotel – Aqaba (downtown) in the presence of the Jordanian authorities, including his Excellency Mr. Sharhabeel Madi.

It is the emotion that usually characterizes the moment of the showing, which coincides with the presentation of the final results and the announcement of the winners.

The italians Stefano Proakis and Isabella Furfaro are filled with enthusiasm and emotion after the proclamation of victory in one of the two specialties: even 2 of the 3 images presented, as we said, in the wide angle category reach the first position, while the first place in the macro category was taken by Jordanian Samer Bitar.

Our congratulations go to all the participants who performed very well despite the adverse weather conditions.

The 3 images presented by the Italians in the macro category, even if not on the podium, receive great appreciation both from the jurors and from the people present in the room.

At the end of the event, Ayman invites the entire Italian team to participate in the 2nd edition of the competition, scheduled for the end of 2020.

We hope that this will be possible as it would mean that the world will be safe from the terrible virus Covid 19.

Final Result – podium

Wide Angel Photo                                                                                 Macro (Close Up)

1 Stefano Proakis – Italy                                                                       1 Samer Bitar – Jordan

2 Samer Bitar – Jordan                                                                          2 Yazan Alsaad – Jordan

3 Samer Halawani – Lebanon                                                            3 Mohammad Qatawneh – Jordan

 

Participants:

  1. Mr. Yazan Saad – Jordan
  2. Mr. Mohammad Qatawneh – Jordan
  3. Mr. Rajai Joury – Jordan
  4. Mr. Samer Bitar – Jordan
  5. Mr. Abdullah Alryati – Jordan
  6. Mr. Luay Rayyan – Palestine
  7. Mr. Stefano Proakis – Italy
  8. Mr. Brett Hoelzer – USA
  9. Ms. Tara Artner – Canada

10.Mr. Sameh Mesharafa – Egypt

11.Mr. Samer Halawani – Lebanon

12.Mr. Mario Lahhoud – Lebanon

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Aqaba and Jordan, a Middle Eastern oasis

Jordan is a small state that takes its name from the river that crosses it, the Jordan, that ends its journey in the waters of the Dead Sea, a large salt lake located over 400 meters below sea level. In the Dead Sea the amount of water that evaporates is greater than that which flows into it and this determines, inside, the highest salt concentration in the world. The high salinity makes it easy for the bodies to float – and the people who try to swim are funny – and the development of life forms inside is very difficult. The salts that are extracted from it are used for therapeutic and cosmetic purposes.

The Jordanian territory is largely made up of deserts and plateaus.

The capital is Amman and the state is a constitutional monarchy. The current king is Abd Allāh II, husband of Rania of Jordan, passionate diver and promoter of some projects aimed at promoting underwater tourism.

The city of Aqaba represents the only port of access to the sea for Jordan within the gulf that bears the same name. In the evening you can admire the lights coming from the coasts of the nearby Israeli city of Eilat and, further south, those of the Egyptian coasts.

Aqaba is also a few hours’ drive from the ancient charming city of Petra and the beautiful desert location of Wadi Rum.

Aqaba can be also considered an ideal place to suggest to those wishing to undertake diving activities. Many dives start from the beach where the seabed gradually degrades and where, from the very first meters of depth, you can admire rocks rich in sponges and corals and fish with many different colors. The beauty of the seabed, the great biodiversity, the low presence of strong currents, the excellent visibility, the water temperature (never too cold) make many of the dives simple and pleasant.

The water is more salty than in the Mediterranean sea and, therefore, it is necessary to add a few kg on the belt in order to dive and reach a good balance.

 

 

Come ti affogo il coronavirus

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Cosa può legare tra loro Apnea, Covid19 e Sicurezza? Sentiamo che ne pensa “uno che ha visto cose che voi umani…”. E quali siano idee e proposte per nuove buone pratiche di comportamento nell’immersione in apnea. Ancora tutte da scrivere!

Di Romano Barluzzi su intervista a Marco Mardollo. Foto: Yi Zhang, Stefano Borghi, Marco Mancini

Qualche ora fa mi sono ritrovato a parlare – a “debita distanza”, ci mancherebbe – con il direttore tecnico di Y-40, Marco Mardollo, in vista della ripresa delle attività presso la “sua” piscina più profonda del mondo, particolarmente cara a tanti apneisti.

Stavamo facendo della fin troppo facile ironia su alcune recenti amenità che come al solito, anche quando non ci infliggiamo del male da soli come “categoria sub”, in qualche modo riescono sempre a coinvolgerci: e in questi giorni il campionario è già ampio.
Una su tutte la constatazione che, nonostante la quantità delle nuove prescrizioni in ogni campo, sembrano essersi dimenticati tutti dell’Apnea! Non è così, direttore?
«Guarda…qui ce ne siamo accorti subito e è da un po’ che penso al da farsi. In effetti possiamo dire che non si siano lette da nessuna parte contromisure specifiche per gli apneisti riguardo alla possibilità di continuare la loro pratica applicando modalità di bio-sicurezza che siano anche in funzione anti-contagio contro il coronavirus!…»

Quindi?…

«Ci sarebbe in effetti molto su cui lavorare di specifico per l’apnea… se vuoi cominciare, scrivi?»

Son qui apposta!

«Ok. Allora, partiamo dall’inquadramento del problema: l’apneista è una fonte incredibilmente intensa delle famose droplets (quelle goccioline di saliva e secrezioni varie dalle vie respiratorie che emettiamo praticamente sempre, anche solo parlando, masticando, sorridendo ecc, tantopiù starnutendo o tossendo…ndr) che potrebbero contenere e veicolare importanti cariche virali. Immagina un po’ cosa succede appena l’apneista buca la superficie di ritorno da un’apnea, in un ribollio d’acqua che si spruzza ovunque, mente lui soffia, sbuffa, magari tossisce, comunque espelle di tutto. E poi respira forte, ventila, con o senza snorkel ecc. Non visualizzi mentalmente una sorta di enorme “nuvola” tutto intorno a lui?»

Altroché! Ma allora come la mettiamo?

«La mettiamo che… hai presente la “manovra globale di risalita” che qualche tempo fa Gabriele Del Bene promuoveva, battezzandola proprio così? Se ti ricordi, tra i tanti accorgimenti tecnici che aveva previsto come metodica di efficacia e sicurezza per la gestione di tuffi profondi in apnea c’era contemplato anche il fatto che si dovesse espirare modicamente subito prima di riemergere…»

Certo, si… e la modica espirazione in prossimità della superficie aveva avuto anche in precedenza sostenitori illustri: ne ricordo uno su tutti, Jacques Mayol…

«Infatti… lui emetteva una sorta di nota prolungata, che gli permetteva di dosare la giusta quantità d’aria di cui liberarsi senza che diventasse una espirazione eccessiva e perciò rischiosa, e in modo che il tutto non avvenisse troppo in profondità ma sempre a poca distanza dalla superficie. Anche oggi moltissimi forti apneisti fanno qualcosa del genere, comunque riassumibile nel “cominciare l’espirazione ancora sott’acqua, quando stanno per emergere”.

Per non parlare del fatto che perfino la PADI, da quando è entrata a regime nella didattica dell’apnea, raccomanda lo standard di “espirare poco prima di bucare la superficie” per emergere.

Anzi, ti leggo la traduzione letterale della raccomandazione PADI: “Tu puoi espirare delicatamente appena prima di rompere la superficie, così puoi inspirare prima!”

Ed è proprio questo il punto: la manovra non soltanto predispone a riprendere precocemente il respiro perché evita di dover espellere prima tutta l’aria con cui abbiamo fatto l’apnea (e così ci fa trovare più “pronti” alla prima inspirazione del recupero all’aria aperta) ma al contempo evita o riduce drasticamente lo sbuffo, il nebulizzato, in quanto fa in modo che almeno in buona parte sia già avvenuto sotto il pelo dell’acqua! Così che le droplets vengano emesse nell’acqua e restino confinate nell’emulsione liquida.»

Ok, dunque prima nuova regola: cominciare l’espirazione di poco sotto la superficie, subito prima di riemergere!

«Si, esatto. E, siccome è bene dare riferimenti più precisi possibile, aggiungerei “tra i 20 e i 50 cm” sotto il pelo dell’acqua.»

Ma immagino avrai altro ancora da proporre…

«Infatti. Un altro comportamento secondo me molto importante è quello di cui si fa protagonista l’assistente, o comunque colui che all’interno della coppia – perché sempre in coppia bisogna continuare a praticare l’apnea – in quel momento si incarica di ricoprire tale ruolo. Ebbene, chi assiste il discesista deve riemergere sfalsato da lui, cioè subito dopo; e non di fronte, bensì dietro o di lato. L’apneista che è appena risalito, dal canto suo, dimostrerà il proprio stato di coscienza vigile mantenendo sempre le vie aeree fuori dall’acqua… una cosa che l’assistente è in grado di verificare anche da dietro

Dunque…riemergere subito dopo e mai davanti rispetto all’apneista. Ma sul mantenimento delle distanze che si può fare?

«Ecco, ci stavo arrivando… A parte il fatto che può aiutare una stima al volo della reciproca distanza allungare le braccia aperte sull’acqua ad angolo retto rispetto al busto e osservare che quando si sfiorano le punte delle dita con quelle del compagno che avrà assunto la stessa posizione di fianco a noi, sommando in pratica l’estensione delle rispettive braccia, potremmo già esserci. Ma ammettiamo che stando in acqua in superficie questa sia una distanza davvero minima e che sia meglio maggiorarla. Ebbene, se si assume di dover utilizzare quelle boette segnasub allungate care ai pescatori in apnea, oppure con la forma che ricorda quella dei galleggianti dei bagnini alla BayWhatch – dunque sempre affusolata da entrambe le punte – si può convenire di stare in superficie sempre posizionati alle rispettive estremità dell’attrezzo. Dal momento che questo tipo di galleggianti sono lunghi circa un metro, avremo una giusta maggiorazione della distanza interpersonale rispetto a quella risultante dalla somma di ogni braccio tenuto disteso per appoggiarsi alla boa. In pratica, così facendo, la distanza tra le teste dei due compagni d’apnea sarà sempre superiore a 2 metri. Che è quanto di meglio si può ottenere durante lo stazionamento all’aria aperta senza indossare mascherine.»

Altre aggiunte?

«Nelle fasi di stazionamento in superficie occorre respirare preferibilmente con il boccaglio in bocca, fissato obbligatoriamente al cinghiolo. Ma per ora mi fermerei qui perché, a dir la verità, entreremmo in tutta una serie di accorgimenti che saranno al centro di un imminente nostro briefing per trarne normativa specifica di comportamento interna all’impianto di Y-40. È ovvio che, in ambiente così controllato e delimitato, si potranno stabilire tutta una serie di regole – come il tracciamento di posizioni sul bordo, di percorsi d’accesso e uscita, di boe fisse per le verticali delle apnee, l’obbligo di espellere secrezioni solo nelle canaline di scolmamento al bordo vasca ecc – che non sono sempre trasferibili in ambiente naturale aperto. Ma la possibilità di studiarci sopra in maniera continuamente verificabile ci permette di elaborare anche procedure perfettamente mutuabili pure nell’attività out-door, cioè in mare o lago. Come quelle che ti ho anticipato prima.»

A proposito dell’out-door…

A questo punto, per restare in tema di amenità che ci colpiscono in fatto di disinformazione, ci viene spontaneo proseguire ripercorrendo la diatriba scoppiata sui media per la disposizione che inizialmente avrebbe imposto agli Assistenti di Salvamento – alias “bagnini” – di non fare più le insufflazioni bocca-a-bocca sul pericolante per il ripristino della respirazione… e il fatto che nessuno dei super-consulenti delle task-forces governative evidentemente fosse informato che la ventilazione forzata è passata in secondo piano rispetto alle compressioni toraciche del massaggio cardiaco esterno (com’è riportato già da almeno un paio d’anni nei protocolli di formazione dei soccorritori a norma IRC Italian Resuscitation Council).

Dunque il fatto che queste compressioni vadano praticate in via prioritaria “saltando” le ventilazioni non ha dovuto certo attendere l’avvento della COVID19; in altre parole, il soccorritore casuale, se da solo e con soltanto le proprie mani a disposizione (il cosiddetto “laico”, o “non-sanitario”, proprio come succede a un passante, a un bagnino in spiaggia o anche al compagno d’acqua tra due apneisti…), è tenuto a saper fare e a privilegiare il massaggio cardiaco esterno e non per motivi di bio-sicurezza anti coronavirus ma a prescindere, perché l’efficacia delle insufflazioni è ritenuta secondaria rispetto all’importanza preminente delle compressioni toraciche.

Poi va da se che: 1-è un assunto che l’esecuzione delle compressioni toraciche diventi efficace solo su piano rigido, quindi non certo con il pericolante ancora in acqua, ma pure questo come si sapeva già in precedenza; 2- contano anche i motivi igienico-sanitari per cui – soprattutto oggi ma anche da prima – è implicitamente vantaggioso per l’autoprotezione del soccorritore che egli non debba necessariamente apporre la propria bocca su quella dell’infortunato (ci sono da sempre molte altre possibili infezioni trasmissibili per via aerea…).

Insomma, una polemica tale da aver tirato in ballo perfino considerazioni etiche sull’operato di chi presta soccorso e sul dubbio che possa o meno astenersi da una delle manovre ritenute salvavita, ma in realtà una polemica montata a sproposito e sul nulla più assoluto!

«Beh, è proprio così – conferma infatti Marco Mardollo – anche se devo dirti che, per quante ne ho viste succedere, quando mi trovo con uno che torna su che ha prolungato troppo l’apnea e mi perde conoscenza mentre affiora o solo poco prima, io in qualche modo “so” che, insufflandolo subito, bastano un paio di volte e mi si riprende al volo! Perché ha appena avuto solo un arresto respiratorio, il suo cuore batte ancora, perciò risulta più pratico e immediato fare così…»

Si tratta però di situazioni controllate, in cui sei certo di come si sia svolta ogni fase precedente, di quanti secondi siano passati realmente, di chi sia l’infortunato ecc…

«Si, certo. Tutto va sempre in base alla valutazione della situazione e del livello di rischio connesso. In mare o all’asciutto sarebbe diverso. In barca o in spiaggia sarebbe un’altra cosa ancora. E comunque ora mi riguarderei di più a farlo!… Dopotutto, l’autoprotezione è la base di ogni soccorso: non devi mai mettere troppo in pericolo te stesso per essere davvero d’aiuto ad altri! Ma anche questo era così ben prima della COVID19…è sempre stato così. Saper adottare certe decisioni è una capacità implicita nella professionalità del ruolo.»


Un DPI per il soccorso acquatico

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Ancora in epoca di Coronavirus, dalle maschere sub deriva uno speciale Dispositivo di Protezione Individuale per tutti coloro che sono impegnati nel soccorso in ambiente acquatico

La Redazione. Foto di Leonardo D’Imporzano

L’idea è venuta al Comando dei Vigili del Fuoco di Torino che durante le prime concitate settimane di emergenza “Covid-19” hanno dovuto affrontare alcuni interventi lungo le rive del Po interrogandosi su come meglio operare in questa difficile situazione.

È nata quindi una collaborazione, promossa dal Nucleo Sommozzatori VVFF di Torino che ha contattato Leonardo D’Imporzano, membro dell’Accademia Internazionale di Scienze e Tecniche Subacquee e presidente dell’Associazione “5 Terre Academy”. Associazione che da anni, attraverso le sue divisioni “Underwater Research” e “Team Rescue”, opera nel settore della ricerca scientifica in ambiente subacqueo ed iperbarico.

Un Team che si è subito allargato con l’ing. Guido Zannoni, co-fondatore e direttore tecnico dell’azienda di stampa 3D “Superfici” della Spezia e con Carlos Godoy, progettista dell’azienda genovese “Cressi Sub”, che ha messo subito a disposizione i disegni della maschera “Duke”, già utilizzata nell’esperienza nata nel savonese con l’ASL1.

Questa maschera, simile ad altre sul mercato, presenta una caratteristica però unica: la presenza dello “snorkel” in posizione laterale che permette quindi di indossare il caschetto protettivo in dotazione.

D’Imporzano e Superfici hanno lavorato incessantemente alla messa a punto della maschera che vede l’inserimento di un filtro “FFP3” tra la valvola di uscita e il resto del boccaglio modificato.

Nasce così la valvola e lo snorkel “NOA”, che ha superato una prima fase di test anche in ambiente acquatico e che adesso vedrà una seconda fase di ulteriori test anche con i team dei Vigili del Fuoco di Torino, in attesa delle necessarie certificazioni per renderla effettivamente un “DPI” come da normative nazionali e internazionali.

“Non sono mancate le difficoltà”, ci tiene a sottolineare D’Imporzano, che così prosegue: “la necessità era quella di mantenere il gioco dei flussi in entrata e in uscita, per garantire gli ottimali livelli di ossigenazione e soprattutto realizzare un supporto per cercare di rendere il più impermeabile possibile il sistema. Ringrazio l’ing. Zannoni e tutto lo staff di Superfici che in queste settimane hanno riconvertito le loro stampanti 3D alla realizzazione di questo ma anche di altri progetti per la protezione contro la COVID-19”.

L’iniziativa e il progetto sono stati sviluppati senza scopo di lucro. La valvola e il boccaglio hanno iniziato l’iter per l’ottenimento di un brevetto. “5 Terre Academy” con il supporto di “Superfici Scrl” sono pronti a fornirle a tutte le forze di polizia e di Protezione Civile impegnati nel soccorso acquatico intenzionate alla loro dotazione per il proprio personale.

https://drive.google.com/drive/folders/1Vb7QiUgzocSPHCHctm4u7DWtH9QD3lLN?usp=sharing

Mare Nordest 2020 Virtual, una sorpresa per tutti

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Si è svolta con successo il 29, il 30 e il 31 maggio 2020 l’edizione virtuale di MNE sotto forma di “aperitivo di mare”: tre giornate di webinar con relatori dal mondo della scienza, dello sport e della cultura. Un’esperienza piena di sorprese, rivelatasi esaltante

A cura della Redazione

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Venerdì 29 maggio con i Saluti istituzionali e le Relazioni Scientifiche, sabato 30 maggio con l’attenzione concentrata sul mondo dello Sport out-door e infine domenica 31 maggio con le Conclusioni e uno sguardo alle prospettive, il tutto nell’ottica di un solo filo conduttore comune basato sull’asse scienza-sport-ambiente. Ed è balzato subito agli occhi il riscontro di un seguito di pubblico giudicato già all’inizio lusinghiero e fattosi con estrema rapidità entusiasmante, sotto tutti i profili dei conteggi praticabili in questi casi in termini di contatti, visualizzazioni, commenti ecc. Ma andiamo con ordine.

Dopo il successo della passata edizione, caratterizzata in particolare dalla spettacolare esibizione di Tuffi dalle Grandi Altezze dal pontone gru Ursus, la manifestazione che da nove anni si occupa dell’universo mare a 360° per l’intero Nordest, prevedeva quest’anno tre giornate di webinar con relatori del mondo della scienza, dello sport e della cultura. A coordinare gli appuntamenti, che si potevano seguire liberamente online ogni giorno, dalle 18:00 alle 19:30 collegandosi sul sito web dell’evento – https://www.marenordest.it/ – e si possono rivedere integralmente sui canali social facebook (https://www.facebook.com/Mare-Nordest-Trieste-694493867279347/) e youtube /(https://www.youtube.com/channel/UCHi8VKAP_1_5PWFAIElfysg) è stato il giornalista e direttore responsabile di Serial Diver (testata giornalistica registrata al tribunale di Prato), Romano Barluzzi, introdotto dal giornalista e direttore di Carta vetrata (altra testata giornalistica, registrata al tribunale di Trieste), Gianfranco Terzoli.

L’idea dell’esperienza a distanza è seguita alla non facile decisione da parte degli organizzatori di annullare l’edizione in presenza: una scelta, annunciata come “definitiva e irrevocabile”, che è stata presa con coraggio e consapevolezza, orientandosi quindi al valore della tutela della salute pubblica e tenendo in considerazione il carattere di internazionalità della manifestazione che vede la partecipazione di atleti, operatori e ospiti provenienti da diverse parti del mondo.

Ricca di spunti e testimonianze, la versione virtuale di MNE ha permesso tra le altre cose di fare anche il punto su iniziative attivate e prospettive future e gettato uno sguardo sull’attualità attraverso l’illustrazione di iniziative di sostegno e salvaguardia ambientale, quanto mai importanti anche alla luce delle nuove emergenze pandemiche.

Tra le novità di spicco emerse nel corso della tre giorni, proprio a MNE l’Assessore regionale alla difesa dell’ambiente, all’energia e sviluppo sostenibile del FVG, Fabio Scoccimarro, appassionato di subacquea, ha anticipato contenuti e obiettivi del Progetto per trasformare la Regione in laboratorio della sostenibilità attraverso la candidatura del Friuli Venezia Giulia al ruolo di Regione pilota nel campo della sperimentazione verso un’economia a emissioni zero di gas a effetto serra, che – ha anticipato l’esponente della Giunta Fedriga – dal nome della località dov’è stato promosso prenderà la denominazione di “Carta di Trieste”. Dovrà però essere un documento non vuoto o privo di una effettiva ricaduta, come accaduto per altri precedenti accordi (ad esempio il Protocollo di Kyoto, non ratificato da alcune delle superpotenze maggiormente inquinanti), ha confermato Scoccimarro rispondendo a una precisa domanda del GM dell’ASD Mare Nordest, Edoardo Nattelli.

“Il Friuli Venezia Giulia – ha spiegato l’assessore e subacqueo – si candiderà a diventare Regione pilota per la sperimentazione della strategia europea che mira a raggiungere un’economia con emissioni zero di gas a effetto serra entro il 2050, obiettivo al centro del Green Deal europeo”.

“La proposta è di suggerire all’Ue – ha rivelato Scoccimarro – l’individuazione della nostra regione per la sperimentazione della strategia anche in considerazione della superficie e della morfologia del territorio, sufficientemente piccolo rispetto al continente europeo, ma sufficientemente grande e diversificato, per testare e valutare le ricadute delle politiche ed eventualmente riprodurle a livello comunitario”.

Un obiettivo, quello auspicato da Scoccimarro, che è legato al grande progetto del Green Deal europeo, insieme di iniziative politiche portate avanti dalla Commissione europea per raggiungere la neutralità climatica in Europa entro il 2050. “Giungere alla neutralità dal punto di vista delle emissioni, entro un orizzonte temporale di 25 anni – ha concluso Scoccimarro – vuol dire adoperarsi per la diminuzione delle emissioni per una media annua almeno pari al 4% rispetto alle emissioni che oggi si registrano in Friuli Venezia Giulia”.

PRIMA SERATA

Nell’ambito della prima delle tre serate, precisamente quella del 29 maggio, che è possibile riguardarsi integralmente collegandosi a questo link: https://www.facebook.com/watch/live/?v=645157152746324 , dopo l’introduzione d’apertura a cura dello Staff di Mare Nordest e i saluti istituzionali da parte del vicesindaco di Trieste, Paolo Polidori, che ha assicurato la vicinanza e il sostegno delle istituzioni anche per le edizioni future, è intervenuto l’Ammiraglio Luca Sancilio, direttore marittimo del Friuli Venezia Giulia e Comandante del Porto di Trieste, che ha illustrato l’attività delle Capitanerie di Porto in tema di sicurezza e reciproche influenze tra uomo e ambiente-mare, tracciando in tal senso anche un lusinghiero bilancio delle attività tecniche svolte nel golfo e rivolgendo al contempo un commosso saluto di commiato. Sancilio, che si è detto innamorato di Trieste, è stato infatti trasferito a Roma per assumere un alto incarico al V reparto dello Stato maggiore della Difesa e il suo mandato a Trieste prevedeva di giungere a termine pochissimi giorni dopo questa edizione “Virtual” di MNE-2020, cioè il 4 di giugno. Insomma un degno arrivederci reciproco quale miglior augurio di “buon vento e buon mare” all’Ammiraglio, ricambiato nell’affetto e nella stima da parte dell’intera cittadinanza, in una maniera davvero corale.

Diciamo poi subito che il primo tra i più attesi contributi propriamente scientifici dell’incontro è stato l’intervento della dr.ssa Paola Del Negro, direttrice dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale – OGS, che in un focus sulle attività della prestigiosa struttura triestina e la concentrazione dei virus in mare ha escluso nello specifico la presenza di SARS-Cov-2 – l’agente patogeno virale della purtroppo celeberrima COVID19 – nella acque del golfo di Trieste. L’intera sua relazione è stata tanto interessante quanto appassionante, diventando un mirabile esempio anche di divulgazione scientifica, per la ricchezza delle infografiche portate in visione e per l’empatia con cui ha saputo trasmettere concetti anche molto complessi con tanta estrema semplicità, alla portata di tutti, e nonostante trattasse specialmente del mondo dell’invisibile, cioè dell’infinitamente piccolo, ovvero dell’universo acquatico composto dagli organismi microbici, monocellulari ecc.

Sono stati presentati poi gli aggiornamenti sul Progetto Scuttling-Parco Navale di Trieste con il Contrammiraglio Francesco Chionna, già al comando del COMSUBIN, il reparto d’élite della Marina Militare comprendente le unità delle forze speciali italiane (incursori e subacquei) e con Paolo Ferraro, direttore dell’Accademia Internazionale di Scienze e Tecniche Subacquee che riunisce coloro che hanno ricevuto il Tridente d’Oro, premio creato nel 1960 e considerato il “Nobel delle attività subacquee”. Con la presenza di Ferraro, che è anche istruttore della scuola di Duilio Marcante, il padre della didattica subacquea italiana, e membro CD della CMAS, la Confederazione mondiale delle attività subacquee fondata del 1959 da Jacques-Yves Cousteau e con la sua emerita presenza si è voluto omaggiare l’intero mondo della subacquea promuovendo a largo spettro la cultura del Mare “con la M maiuscola”.

Chionna si è soffermato sulle opportunità socio-economiche per l’Italia derivanti dagli affondamenti volontari di vecchie navi e in particolare sulle possibilità offerte alla città di Trieste di ospitare un parco tematico sottomarino (il progetto del Parco Navale di Trieste) che fungerebbe da interessante richiamo per il turismo subacqueo escursionistico con relative ricadute economiche positive per tutto il territorio.

Ha quindi illustrato gli interventi da eseguire su uno scafo prima di affondarlo deliberatamente, per metterlo in sicurezza e renderlo fruibile, senza rischio, a subacquei anche di limitata esperienza, valutando inoltre l’opportunità che anche l’Italia si doti al più presto di strumenti legislativi affinché lo scuttling  divenga possibile come in altri Paesi – situati talvolta perfino a due passi da noi, come la Croazia – e possa godere dei vantaggi economici che ne deriverebbero.

Il Parco Navale, progetto sostenuto con forza da anni dall’Associazione sportiva dilettantistica Mare Nordest, costituirebbe il primo esempio italiano di affondamento controllato di navi per scopi di rivalorizzazione degli habitat sommersi e avrebbe importanti ripercussioni turistiche ed economiche in positivo per la città nonché benefici per l’ambiente marino stesso, come la fruizione subacquea controllata e contingentata ma al contempo condivisa e collegiale; l’azione di laboratorio ambientale naturale per il monitoraggio scientifico; l’edutainment (educazione/divulgazione e intrattenimento) naturalistico, anche tramite la produzione documentaristica; la sorveglianza attiva costiera sulla sostenibilità di ogni azione di sviluppo, anche terrestre (per esempio, mediante indicatori biologici sottomarini); l’opera automatica e continua di dissuasione da sistemi di pesca illegali e/o troppo impattanti.

Trieste sarebbe infatti la prima città italiana a dotarsi di un Parco tematico dove lo Scuttling, cioè l’affondamento controllato di navi in aree particolari, come previsto da normative Europee, possa costituire – oltre che un importante richiamo per il mondo subacqueo internazionale – anche un innovativo universo per la salvaguardia delle biodiversità marine come autentico patrimonio in grado di influire in positivo su tutta la nostra vita.

Il presidente Ferraro, associato nel proprio intervento alla tematica dell’affondamento guidato sviscerata dall’ex Comandante Comsubin, non solo ha rimarcato una completa identità di vedute su tutti i punti analizzati da Chionna in fatto di scuttling ma ne ha anche ripercorse le alterne vicissitudini che si sono affermate nel tempo da parte di pareri invece di volta in volta differenti, o diversamente articolati, dimostrando tuttavia quanto le eventuali contrarietà di alcuni fossero del tutto infondate o frutto di convinzioni personali poi rivelatesi illogiche. E purtuttavia permangono difficoltà ostative verso un progetto del genere nel nostro Paese, sostanzialmente di carattere interpretativo e politico delle norme, che non lascerebbero presagire granché di buono circa una risoluzione positiva nel breve-medio periodo. E tutto ciò nonostante l’Italia sia diventata ormai un’anomalia assoluta rispetto a una miriade di altri paesi, anche mediterranei, come ben evidenziato da Chionna. Non resta quindi che continuare intanto ad agire in termini di informazione del pubblico – anche extra al movimento dei subacquei, ormai largamente concorde – in tutte le occasioni e le circostanze che si possano presentare, e anche organizzandone ad hoc, specialmente in area scientifico-ambientalista. In questo Ferraro ha esplicitamente assicurato ogni appoggio, proprio e della prestigiosissima Accademia che presiede, nei confronti di Mare Nordest, riconoscendo all’organizzazione triestina il ruolo leader nel movimento d’opinione che in oltre 15 anni di lavoro divulgativo continuo ha saputo costruire su questo delicato, promettente e avveniristico orizzonte dello scuttling.

SECONDA GIORNATA

Rivederla anche per intero, questa seconda serata del 30 maggio, è possibile direttamente a questo link: https://www.facebook.com/694493867279347/videos/525479951664356/

Alessandro De Rose, campione di tuffi da grandi altezze vincitore nel 2017 a Polignano a Mare della tappa del Red Bull Cliff Diving World Series e medaglia di bronzo ai Mondiali di Nuoto a Budapest, la prima di un italiano in questa specialità, assieme alla moglie allenatrice, Nicole Belsasso, ha riferito delle proprie innovative metodologie di allenamento che prevedono l’esecuzione e la correzione dei salti sotto forma di “immaginazione” – imaging, tecniche di visualizzazione mentale ecc – grazie a una particolare capacità di concentrazione e loro prospettive.

Massimiliano “Max” Vidoni, apneista già detentore del record italiano di apnea dinamica lineare senza attrezzature, ha raccontato come un primatista si mantenga in allenamento durante il lockdown e riferito delle conseguenze della quarantena sugli allenamenti, evidenziando le contromisure nel metodo adottate e le prospettive per gli atleti professionisti.

Omar Fanciullo, presidente dell’ASD Trieste Atletica, da tempo impegnata nell’organizzazione di manifestazioni sportive “plastic free” ha sottolineato l’importanza della lotta all’inquinamento da plastiche e riferito di come la propria associazione abbia potuto ricominciare a far allenare singolarmente i giovanissimi atleti.

Marco Mardollo, direttore tecnico di Y-40, la piscina più profonda al mondo, patria e palestra di tanti apneisti – lui stesso pluri-istruttore e allenatore di apnea e subacquea – è stato autore di un focus su nuove proposte di tecnica d’immersione in apnea in funzione di bio-sicurezza anti-COVID19.

Ma l’intera serie di interventi è andata oltre sé stessa: sulla scia dell’attrattiva suscitata da Alex e sua moglie circa le tecniche di visualizzazione mentale del gesto atletico – che nel caso di tuffi da 27 m d’altezza in cui tutto avviene in una manciata di istanti si fa davvero fatica anche solo a concepire, pur subendone inconsciamente tutto il fascino – si è creato uno spontaneo e simpaticissimo siparietto tra grandi esperti di sport out-door, in cui lo stesso patron di MNE Roberto Bolelli, allenatore e titolare di una prestigiosa palestra triestina, il direttore tecnico di Y-40 Marco Mardollo e i due supercampioni Alex (De Rose) e Max (Vidoni) si sono reciprocamente invitati nei rispettivi impianti per uno stage di allenamenti a tecniche miste e interscambiate. Che naturalmente seguiremo, quando avverrà, dato il grande interesse divulgativo. E tutto è nato dall’interessantissima constatazione emersa proprio durante le testimonianze dell’incontro virtuale in cui si è evidenziato come l’aver dovuto rielaborare tecniche di allenamento completamente differenti dal solito per tamponare lo stop forzato del periodo di lock-down abbia non soltanto evitato quelle cadute di performance che si erano temute ma, addirittura, abbia viceversa innescato evidenti miglioramenti nel rendimento tecnico di entrambe gli atleti. E ciò per due discipline così diverse da sembrare (e per buona parte da essere) agli antipodi l’una rispetto all’altra. Un meccanismo non sconosciuto, tra gli addetti ai lavori degli sport di vertice, anche nell’out-door, ma sempre di estremo interesse per le prospettive di sviluppo che lascia intravedere.

TERZA GIORNATA

Questa serata conclusiva del 31 maggio si può riguardare integralmente al link: https://www.facebook.com/694493867279347/videos/255676005525006/

Sara Andreotti, biologa marina che da anni studia in particolare lo squalo bianco, nel suo intervento ha fatto il punto sulle attività di ricerca in Sudafrica, ribadendo non soltanto che la pericolosità dell’animale per l’uomo è in realtà al centro di un falso mito – in buona parte alimentato anche dalla cinematografia – ma che viceversa è lo squalo in pericolo da parte delle azioni umane di sovrappesca indiscriminata. Se infatti da un lato le aggressioni dei bagnanti sono in percentuale risibile rispetto alle morti a causa di altri animali (perfino alle punture di zanzara), per un altro sono milioni gli squali uccisi dall’uomo ogni anno. E moderne tecniche d’indagine identificativa genomica sulle popolazioni di questi animali dimostrano che perfino quella dei grandi squali bianchi in Sudafrica è in ulteriore diminuzione (si parla ormai di pochissime centinaia di esemplari). La studiosa ha anche presentato gli ottimi risultati di una ricerca tendente a “isolare” in modo poco impattante porzioni di mare per renderle sicure alla frequentazione umana rispetto agli squali bianchi: prendendo come esempio i leoni marini, che per ripararsi dagli assalti dello squalo bianco usano rifugiarsi con successo dentro le foreste di Kelp, sono state create artificialmente delle alte siepi subacquee di recinzione a base di finte Kelp, in realtà contenenti magneti capaci di respingere anche gli esemplari più intraprendenti. In nessuna delle prove effettuate, anche in altre zone e con altre specie di squali potenzialmente pericolosi, queste false foreste di Kelp hanno mai fallito. Si cerca insomma di orientare ogni sforzo a far cessare l’assurda guerra uomo/animale, in cui ancora una volta sono solo questi splendidi predatori naturali a rimetterci.

L’intervento di Patrizia Maiorca, apneista Stella d’oro al merito sportivo del CONI nonché figlia di Enzo Maiorca, il più volte detentore del record mondiale di immersione in apnea, era incentrato su ambiente mare e subacquea. La madrina dell’edizione 2014 di Mare Nordest ha illustrato l’attività dell’AMP del Plemmirio di Siracusa di cui è presidente, sottolineando l’importanza della salvaguardia ambientale e in particolare dell’elemento blu anche alla luce delle nuove minacce, rappresentate nello specifico dalla dispersione in mare di plastiche e recentemente anche di Dpi (guanti e mascherine chirurgiche monouso anti-Covid19). Patrizia nel suo intervento ha mirabilmente narrato il mare del Plemmirio com’era nei suoi ricordi di bambina, l’ha confrontato con lo stato di impoverimento che aveva toccato nel periodo di fine anni ’90 e poi con come risulta oggi quando, dopo l’avvento e la gestione da parte dell’AMP – che ha ricordato essere tra l’altro anche una “ASPIM Area di speciale protezione d’interesse Mediterraneo”, cioè un esempio e un termometro per la bio-diversità marina dell’interno bacino del Mare nostrum – questo mare sia tornato agli antichi splendori, recuperati evidentemente proprio grazie alle politiche di protezione attuate dall’AMP. “Una banca della biodiversità mediterranea” l’ha definita Patrizia Maiorca.

Il tema ambiente e sport del mare è stato al centro anche della relazione di Leonardo D’Imporzano, giornalista scientifico, responsabile 5TerreAcademy (di cui ha portato le esperienze), giovanissimo Tridente d’Oro dell’Accademia di scienze e tecniche subacquee. Citando nello specifico alcuni dei lavori fatti tramite 5TerreAcademy in ambito infantile ha evidenziato tra le altre cose come “manchi sempre il collegamento con il mondo degli adulti!” Cioè come sia sempre difficile e faticoso trasferire anche solo alcuni dei valori educativi nei confronti dei quali i più giovani si mostrano tanto ricettivi e malleabili verso la dimensione degli adulti, anche se si tratta delle rispettive figure di riferimento, come genitori, nonni o perfino insegnanti, guide, tutori ecc.

Eleonora de Sabata, giornalista scientifica e fotografa, ha evidenziato il progetto europeo Clean Sea Life di cui è ideatrice e managing director e che, in collaborazione con le istituzioni, opera per stimolare normative in grado di limitare i rifiuti in mare. In una battuta – come lei stessa ha detto – “per passare dalla denuncia all’azione”. Giusto per fare un solo esempio: se da un lato il progetto ha posto all’attenzione pubblica il dato secondo cui “sono molte di più di quanto non s’immagini le specie animali marine impattabili dalle plastiche”, per altro verso il progetto stesso ha portato a poter contattare qualcosa come “oltre 5mila giovani alunni delle scuole presso le quali è stato presentato”, determinando così un effetto educativo diretto sulle “buone pratiche di comportamento” nel considerare l’ambiente mare in maniera completamente diversa dal passato.

Si è parlato anche del Batiscafo Trieste e dell’impresa, risalente a 60 anni fa, della discesa nella Fossa delle Marianne nonché dei suoi legami con il capoluogo giuliano con l’editore Alberto Gaffi e l’autore del libro “Il Trieste” (Italo Svevo-Germogli), Enrico Halupca. Gaffi ha rammentato un aneddoto legato alle prove della discesa record compiute a Ponza e riferite da Isidoro Feola (il cui albergo di famiglia ospitò Piccard nell’anno dei primi record d’immersione del batiscafo)…

Il libro rappresenta un’inchiesta storica sulla nascita, nel secondo dopoguerra, del progetto italo-svizzero del batiscafo Trieste e, attraverso documenti inediti, svela il ruolo fondamentale di Diego de Henriquez. Il pacifista visionario triestino convinse i due scienziati svizzeri Jacques e Auguste Piccard a puntare sulla città adriatica per realizzare un progetto scientifico senza precedenti: la prima discesa dell’Uomo nel punto più profondo del Mare, l’ultima frontiera inesplorata del pianeta terra. (E proprio in chiusura sarà Edoardo Nattelli, uno dei patron di MNE, a ripercorrere i contatti intrattenuti nel frattempo con il pilota dell’impresa, Don Walsh, che aveva aderito all’invito di MNE per essere presente a Trieste a raccontare di persona quell’evento… prima che COVID-19 costringesse al rinvio dell’edizione dal vivo di quest’anno.)

Ma su questo preferiamo non svelarvi di più, rimandandovi a un prossimo articolo che abbiamo in programma per dedicarlo completamente all’approfondimento dello stato dei lavori circa la rivisitazione storica della leggendaria impresa del batiscafo Trieste… con ulteriori sorprese e prospettive.

A curare la regia della diretta è stato lo staff del format Carta vetrata (www.carta-vetrata.it), rubrica giornalistica interattiva dedicata al mondo del libro e della letteratura, con in cabina di regia – oltre al conduttore il giornalista Gianfranco Terzoli – il webmaster Martin Vremec e il regista Andrea La Mura .

Gli organizzatori hanno dato appuntamento a un’edizione 2021 che si vorrà fare in presenza. Ma, proprio secondo gli insperati e sorprendenti riscontri di successo ottenuti con l’esperienza virtuale di quest’anno, se ne raccoglie il suggerimento di studiare modalità che permettano in futuro di mantenere i collegamenti a distanza – “remotati”, come si usa dire in gergo – in parallelo o in associazione alle presenze fisiche dal vivo. Nel frattempo – hanno riferito – “Cercheremo di renderci utili alla comunità nei modi che più ci sono propri e, appena sarà possibile, ci organizzeremo per poter offrire una nuova manifestazione ancor più sorprendete di sempre entro la primavera del 2021”.

Per informazioni: info@marenordest.it

“Il Trieste” riemergerà a Trieste

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Ci sono sottomarini che appartengono alla Storia al punto da diventare autentiche macchine del tempo. Il Trieste ne rappresenta probabilmente il caso più emblematico. E allora ecco intanto cosa accadrà il 27 agosto prossimo nell’incantata città del vento. Non perdetevi lo spettacolo!

di Romano Barluzzi

La foto d’apertura evoca uno scenario immaginifico ma non poi così fantasioso né inverosimile. Cos’è che lo rende in qualche modo “possibile”? Se non letteralmente – al di là del bell’effetto ottico delle pozzanghere di pioggia, piazza dell’Unità d’Italia (una delle più belle piazze nazionali ed europee) non è certo “navigabile” – almeno simbolicamente?

Già, perché vedete, si dà il caso, a quanto pare, che prima o dopo possa davvero accadere l’incredibile, e cioè che il batiscafo Trieste o ciò che di più autentico ne rimane faccia ritorno in patria! Quel che è certo è che c’è già chi si sta dando un gran da fare per compiere quest’impresa.

Ma torniamo un attimo all’ultima edizione della manifestazione MareNordest che, com’è noto, dovette svolgersi esclusivamente in via telematica, dato il periodo ancora definibile “COVID” – vedete bene dal nostro articolo a tema precedente che si trattò della fine di maggio, mentre le ultime riaperture complete dopo la fase COVID più acuta furono nella prima metà di giugno – e vigevano ancora tutti i divieti circa gli eventi “in presenza”.

Nell’ultima parte di tale evento, proprio come il classico “dolce in fondo”, furono fatti dagli organizzatori protagonisti di MareNordest Virtual, unitamente all’autore del libro “Il Trieste”, Enrico Halupca, e al suo editore Alberto Gaffi di Italo Svevo-Germogli Edizioni, una serie di interventi che realizzarono una sorta di sintesi della situazione.

Per delinearne i contorni in breve, ripartiamo un attimo proprio dal libro: perché le sue pagine rievocano con dovizia di informazioni documentali i precedenti e il retropensiero che portarono nell’immediato ultimo dopoguerra – tra il 1948 e il 1955 – a maturare quelle condizioni di risorse materiali, logistica, tecnologia e rapporti umani tali da costruire le basi per un’impresa leggendaria: la discesa dell’uomo nel punto più profondo dell’Oceano, nella Fossa delle Marianne.

Cosa che in realtà avvenne poi nel 1960, quando l’appartenenza del Trieste era passata alla marina USA; ma il celeberrimo batiscafo, nato in mani italo-svizzere, aveva compiuto prima di quella altre due imprese storiche sotto bandiera italiana, e cioè le due discese record in Mediterraneo, il 26 agosto del ’53 a – 1.080 m di profondità a Sud di Capri; e poco più d’un mese dopo, il 30 settembre, con addirittura i – 3.150 m di discesa nella Fossa Tirrenica, al largo dell’isola di Ponza.

Tanto che è lo stesso editore Alberto Gaffi ad aver rievocato già nell’ultimo MNE un aneddoto legato proprio alle prove della discesa record compiute a Ponza e riferite da Isidoro Feola (il cui albergo di famiglia ospitò Piccard nell’anno dei primi record d’immersione del batiscafo, appunto).

Il libro dal titolo “Il Trieste” ha del resto riportato alla luce informazioni contenute nei documenti riservati – e rintracciati dall’autore Enrico Halupca – del visionario pacifista triestino Diego De Henriquez che convinse i due scienziati svizzeri Jacques e Auguste Piccard a puntare sulla città adriatica per realizzare quel progetto scientifico senza precedenti di far scendere l’Uomo nel punto più lontano dalla superficie del Mare, una sorta di ultima frontiera inesplorata del pianeta Terra.

Tutto ciò mentre lo Staff di Mare Nordest – i suoi dirigenti Roberto Bolelli e Edoardo Nattelli – ha ricordato per l’occasione l’impegno di portare a Trieste il batiscafo, conservato nell’U.S. Navy Museum di Washington del quale rappresenta la principale attrazione; e Don Walsh, della U.S. Navy, il pilota che condusse a bordo del batiscafo assieme a Jaques Piccard l’indimenticata immersione del record (rimasto insuperato addirittura fino all’agosto dello scorso anno, per la bellezza dunque di quasi 60 anni, e quest’anno sarebbe stato proprio il 60°).

Gli organizzatori di MNE hanno raccontato al pubblico di come, dopo la precedente edizione 2019 della manifestazione – quella per intenderci dei tuffi dalle grandi altezze – si fossero messi in contatto con il suddetto Museo americano, dal quale avevano ricevuto risposta grande disponibilità all’idea ma al contempo un gentile diniego per impossibilità tecniche e logistiche insormontabili.

In sostanza, la direzione del museo spiegava ai nostri – con dovizia di particolari – come il museo stesso fosse stato praticamente “costruito attorno” al batiscafo; al punto che per farlo uscire dall’edificio si sarebbe dovuto “aprire” l’edificio stesso! (Il che, detto inter nos, fa riflettere non poco su quanta propensione abbiano in più di noi negli USA per la conservazione, la cura d’immagine e la fruizione mirata dei loro beni storici!…).

Diversamente era andata per l’invito rivolto al pilota dell’impresa, Don Walsh, di presenziare all’edizione 2020 di MNE, che egli aveva accolto con disponibilità ed entusiasmo, tanto da arrivare a pianificare con i nostri anche i termini del viaggio e il resto: dopodiché, come purtroppo sappiamo, ci ha pensato COVID-19 a far saltare il tutto.

Quei contatti sono tuttavia sopravvissuti anche al coronavirus SARS-Cov-2 e c’è da scommettere che troveranno il modo d farci sognare ancora il prossimo giovedì 27 agosto allorché, nell’ambito della rassegna partita il 5 luglio scorso e che proseguirà per tutto autunno, denominata “Science in the City Festival”, alle ore 17:30 con proseguimento fino alle ore 20:00, avrà luogo la conferenza spettacolo dal titolo “L’avventura del batiscafo Trieste” presso l’Auditorium del Museo Revoltella – Via Armando Diaz 27, Trieste.

L’evento, curato da Italo Svevo Edizioni e dal suo stesso editore Alberto Gaffi, con anche il format Carta vetrata (www.carta-vetrata.it), rubrica giornalistica interattiva dedicata al mondo del libro e della letteratura a cura di Gianfranco Terzoli, comprenderà naturalmente una ripresentazione in grande stile del libro “Il Trieste” e del suo autore Enrico Halupca; in più, le news e le prospettive maggiormente avanzate circa il sogno tangibile di rivedere il Trieste proprio in questa magica città che ne tenne i natali.

Dopotutto è lo stesso autore Enrico Halupca, da noi raggiunto telefonicamente poco tempo addietro, ad averci rivelato personalmente alcune possibilità alternative, come quella che: «Se il batiscafo Trieste a Washington non è removibile, si potrebbe in alternativa spostare la cabina sferica forgiata alla Terni con cui venne fatto il record nella Fossa tirrenica e che ora giace accanto al Trieste, credo poco notata dai visitatori del museo di Washington. Quella sì che si può spostare e riportare in Italia!»

«La serata porterà alla ribalta – cita testualmente l’annuncio online – le invenzioni, i personaggi e le loro lungimiranti visioni, che hanno influenzato successive scoperte di rilevanza mondiale. Nello sfondo il grande tema dell’uso benefico e pacifico delle invenzioni scientifiche. Saranno proiettati filmati attinenti agli argomenti trattati e verrà proiettato il video promo che anticiperà il più ambizioso progetto di una docu-fiction sull’argomento del batiscafo Trieste. Come si può cogliere nel sito: https://events.scienceinthecity2020.eu/it/lavventura-del-batiscafo-trieste ».

«Il Museo del Mare di Trieste – conclude Enrico Halupca – sarebbe il luogo ideale per creare un allestimento permanente del Batiscafo Trieste, con una ricostruzione 1:1 del Batiscafo del 1953 e con la sfera originale della Terni gentilmente messa a disposizione da Washington… Chissà che qualcuno con buone possibilità contrattuali sia indotto ad abbracciare un’idea così bella che onorerebbe degnamente la memoria dei protagonisti di quell’impresa e la farebbe rivivere nella città dove è nata. Compito di chi si occupa di comunicazione è anche proporre sogni fattibili, capaci di evocare grandi energie, come del resto fece De Henriquez con Piccard.»

Archeologi a scuola di guida sub in ASBI

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Quattro archeologi sub impareranno in “ASBI – Albatros-Progetto Paolo Pinto-Scuba Blind International” le tecniche per guidare subacquei non vedenti all’esplorazione di siti archeologici e musei sommersi. Dall’8 al 12 settembre a Porto Cesareo

La Redazione

Indispensabile quanto breve premessa: l’Associazione “ASBI – Albatros progetto Paolo Pinto Scuba Blind International” è partner di Regione Puglia nella così definita «Attività realizzata nell’ambito dell’azione PUGLIA SEASCAPE S – Destinazione Puglia macro azione Archeologia Subacquea, progetto realizzato da Regione Puglia – Sezione Turismo e Teatro Pubblico Pugliese – Consorzio Regionale per le Arti e la Cultura, a valere sulle Risorse liberate del POR Puglia 2000 – 2006 OB.1 – FESR Misura 4.15 Attività di Promozione finalizzata all’allargamento dell’offerta turistica».

Significa che, in quanto scuola di eccellenza orientata a rendere accessibile l’attività subacquea a persone con disabilità, ASBI svolgerà un corso subacqueo rivolto ai quattro archeologi e sub Gianpaolo COLUCCI, Elisa CORVAGLIA, Federico FAZIO e Teresa SAITTA, per istruirli ad accompagnare sub non vedenti su percorsi, musei e siti archeologici sommersi.

Così anche i subacquei non vedenti potranno immergersi in sicurezza per esplorare e conoscere il mondo sommerso pure sotto il profilo archeologico, con il supporto degli speciali ausili didattici in Braille ideati da ASBI Albatros, con la collaborazione dell’Archeologa Prof.ssa Rita AURIEMMA docente dell’Università del Salento.

In ASBI, forti della propria consolidata metodologia procedurale di esplorazione naturalistica già riconosciuta CMAS, viene proposto in tal modo un ulteriore nuovo approccio che mira a codificare un metodo didattico specifico per l’archeologia subacquea onde sviluppare i contenuti tecnici dei relativi corsi a ogni livello (guide-allievi).

Tutto ciò in questo caso sarà realizzato anche attraverso l’applicazione avanzata di un kit didattico (riconoscitore archeologico sub, audio lettura manuali, lavagne subacquee ecc.) al fine di rilasciare specifico brevetto a ogni livello (brevetto archeologia subacquea ASBI – CMAS)

Se ne otterrà quindi la formazione di uno staff di archeologi operanti anche sui siti sommersi con il metodo ASBI Disability. L’attività in questione prevede:

  • Formazione sui contenuti della disabilità in generale e in particolare della non-vedenza così da far conoscere all’archeologo le tecniche e le metodologie necessarie per immergersi su un sito archeologico con un sub non-vedente.
  • Corso tenuto dal Trainer ASBI Manrico Volpi e dall’istruttore ASBI Nicola Fanelli insieme ai coadiutori (esperti sub non vedenti di ASBI) Elisabetta GRAVILI e Antonio TRAMACERE.
  • 5 giorni completi x 40 ore globali di corso, tra: BD (Bacino delimitato); Teoria; 6 immersioni in mare, con coadiutori non vedenti. Comprende: kit didattico; valutazione finale selettiva; diploma; brevetto ASBI – CMAS.

«Abbiamo lavorato scrupolosamente a questa iniziativa – hanno sottolineato Angela COSTANTINO PINTO, presidente dell’associazione ASBI, insieme a Manrico VOLPI, l’ideatore della didattica – e siamo felicissimi di vederla finalmente realizzata.

Vi aspettiamo tutti Sabato 12 Settembre alle ore 20:30 per la consegna dei brevetti alla presenza delle autorità presso l’Hotel Isola lo Scoglio – Porto Cesareo (LE)»

Come scorgete tra le foto, questa esperienza in fondo non è altro che un completamento dell’offerta formativa ASBI, che si avvale già di un’apposita specialità su relitti, per certi aspetti affine a questa dell’archeologia: un riconoscitore subacqueo, in Braille e in immagini, permette al sub non vedente e alla sua guida di condividere in tempo reale tutte le informazioni su molte decine di dettagli, particolari o parti componenti di relitti sommersi, sia navali sia aerei.

In entrambe i campi – relitti e archeologia – la metodica esplorativa si avvale delle particolari doti di visione tattile e memoria tattile proprie del non vedente, esaltate dalla possibilità che si ha sott’acqua di muoversi in tre dimensioni, come volando, cioè anche in altezza; e potendo così apprezzare tutta la tridimensionalità dei volumi, degli spazi e degli oggetti, anche senza vederli e indipendentemente da quanto siano grandi.

L’aereo sommerso delle foto è un celebre relitto di Junker JU 88, un bombardiere tedesco a medio raggio della seconda guerra mondiale, configurabile anche come caccia-bombardiere, ammarato in corrispondenza della località di Nardò – Santa Caterina (in pieno Salento) e affondato su un substrato chiaro intorno ai – 40 metri di profondità. Forse fu abbattuto di rientro dal bombardamento di Taranto dell’11 e 12 novembre 1940… e il sub non vedente che si aggira qui su di esso è il veterano di ASBI Antonio Tramacere.

Dal molto grande al molto piccolo, per quanto riguarda l’Archeologia delle acque, è riconosciuta ai sub non vedenti una particolare sensibilità tattile nell’ “osservare” da vicino anche dettagli e oggetti minuti e delicati, la cui – eventuale – manipolazione altrimenti presenta sempre notevoli complessità tecniche; inoltre, l’accidentale ma talvolta inevitabile intorbidamento dell’acqua durante il lavoro su un sito sommerso d’interesse archeologico non rappresenta ovviamente alcun problema per loro.

Sono solo alcuni degli spunti e delle considerazioni che vengono in mente immaginando la possibile estensione delle capacità esplorative dei sub non vedenti sia sui relitti di epoca contemporanea sia sui siti archeologici sommersi: ma vederli direttamente all’opera in questi contesti d’immersione resta qualcosa di unico e indescrivibile.

COME NASCON LE MEDUSE

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In che modo raccontereste a un bambino – o a un adulto che non ne sa nulla – come nascono le meduse e perché molte di loro sono così misteriosamente luminescenti nella notte?

A cura di Romano Barluzzi. Foto di Emanuele Vitale

Talvolta i meccanismi della biologia marina che ci riguardano di più come subacquei possono essere illustrati meglio con l’immaginazione propria solo dei bambini. Una dimensione che abbiamo attraversato tutti per poi dimenticarcene ma che sopravvive in fondo al nostro cuore. Non a caso può essere rievocata per focalizzare meglio l’attenzione sui fenomeni che accadono agli organismi viventi sotto le onde, sulle spiegazioni dei loro modi di funzionare e su come esercitino ancora in noi un fascino tanto impalpabile quanto irresistibile. Perfino ipnotico, talvolta.

E allora ecco a voi quella che potremmo liberamente intitolare “la leggenda di Narba”, oppure “Così nascon le meduse”. Come preferite. (Tra l’altro applicabile anche a molti altri organismi planctonici che manifestano proprietà simili, specie riguardo alla bioluminescenza…).

«In una costa da fiaba, lungo un mare incantato, su una spiaggia di luce assolata viveva una ragazza di nome Narba.

Aveva i lineamenti così tenui ed eterei e le vesti così candide e sfumate. La sua pelle era così chiara e delicata che non poteva mai esporsi direttamente al sole. Per questo non lo amava e se ne difendeva usando come riparo un piccolo ombrello bianco che teneva sempre stretto tra le mani. I raggi del sole avrebbero sennò potuto distruggere la sua bellezza e bruciare i suoi lineamenti dolci e delicati.

Amava invece intensamente la luna perché con il suo argenteo chiarore notturno non avrebbe mai potuto arrecarle alcun danno. E per questo ogni notte la guardava e la fissava e l’adorava.

Allora il Sole, invidioso, in un giorno qualunque, mentre la fanciulla passeggiava con il suo ombrellino, fece alzare Libeccio, vento improvviso e impetuoso, che la colse di sorpresa. Con una folata più forte le strappò di mano l’ombrellino spingendolo verso il mare. La ragazza, consapevole che quell’ombrellino era la sua unica difesa contro i cocenti raggi del sole, lo rincorse veloce per poterlo riprendere. Il vento, dispettoso, lo spinse invece verso il largo sulla cresta delle onde. Narba, senza pensarci due volte, si tuffò in mare per poterlo recuperare e cominciò a nuotare con foga e impeto per raggiungere l’ombrellino, sua unica ragione di vita. Ma ogni volta che era lì lì per prenderlo, il vento con una raffica improvvisa lo allontanava di più. Lei allora cercava di nuotare con ancor più vigore ma lo sforzo era così grande per una ragazza esile e delicata come lei che, quando riuscì finalmente a stringere di nuovo l’ombrellino tra le mani, venne meno e si abbandonò sott’acqua.

Con l’ombrellino bianco così desiderato ancora stretto tra le mani e con le vesti candide che danzavano intorno a lei giocando con l’acqua del mare, discese sul fondo. I movimenti ondulanti del suo corpo sembravano quelli … di una medusa. Mai s’era vista una tale bellezza.

Era talmente bella che la Luna, riconoscente e rispettosa dell’amore che la ragazza aveva nutrito per lei, le disse: “Ti dono un po’ del mio fulgore perché renda meno triste il Tuo destino di gelo. Con la Tua luce porterai negli abissi la nostalgia del firmamento. Se salirai troppo in superficie il vento Ti spingerà sulla spiaggia e lì Ti scioglierai come ghiaccio al sole. Ma nelle notti di primavera con i Tuoi speciali bagliori di luce riscalderai di tinte mai viste il cuore dei pescatori e dei marinai.”»

È una delle più struggenti leggende di mare, riportata in diversi libri e in molte fonti internet, con altrettante variabili narrative e interpretative, delle quali nessuna toglie nulla al fascino di fondo che ancora esercita nel lettore, tanto più se si accompagna – com’è venuto in mente a noi di fare – a magnifiche immagini del calibro di quelle del fotosub Emanuele Vitale, che vedete qui. E che ringraziamo di cuore.

È lui stesso infatti a dirci del suo progetto iconografico che: «…tecnicamente è stato realizzato a Otranto nel 2017, modella Lucrezia De Mari. Ho preso spunto dalla frase di Rossana (Maiorcan.d.r.): “la vollero come sorella”, per mettere in risalto questa scenografia così evocativa, tra le meduse e la figura umana femminile, che continuano a intrecciarsi in una danza sospesa… come se lei fosse una di loro».

Per approfondimenti fotografici: https://emanuelevitale.it/Ninfee , da https://www.emanuelevitale.it/

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