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Channel: SerialDiver – Tutto il mare possibile
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I MIGLIORI CACCIATORI FOTOSUB A CONFRONTO

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38° Campionato Italiano di Safari Fotografico Subacqueo Fipsas, Sorrento 9-14 ottobre 2018.Torna a Sorrento il Campionato Italiano di Safari Fotosub dopo sette anni in giro per l’Italia, in altre Aree Marine Protette dove questa disciplina sportiva della FIPSAS non solo è ben accetta, ma spesso richiesta

Torna a Sorrento il Campionato Italiano di Safari fotosub dopo sette anni in giro per l’Italia, in altre Aree Marine Protette dove questa disciplina sportiva della FIPSAS non solo è ben accetta, ma spesso richiesta.

Torna a Sorrento per volontà del Poseidon Team che, nella persona del Presidente Antonio Apuzzo, ne ha chiesto l’organizzazione assolvendo il compito con grande impegno e professionalità.

Torna a Sorrento anche per verificare se la quantità e variabilità di specie ittiche fotografate nel 2011 fosse in qualche modo cambiata.

Un tempo splendido e mare calmo hanno contribuito al regolare svolgimento della competizione ed hanno regalato una piacevole sorpresa, i fondali dell’AMP Punta Campanella, nei due campi gara di Mitigliano e Cala di Puolo, hanno permesso di superare ogni record fin qui raggiunto con oltre 90 specie ittiche diverse fotografate in tre giorni di gara da 41 concorrenti e ben 72 da un solo atleta, il vincitore assoluto Nicola Alaimo.

Nel campo gara di Mitigliano si è disputato il Campionato Italiano per Società e la prima giornata del Campionato Individuale, mentre a Cala di Puolo si è conclusa la seconda giornata del Campionato.

Ciò ha permesso ai concorrenti di setacciare attentamente due tipologie diverse di fondali dell’AMP consentendo un notevole numero di catture comprese alcune specie poco comuni o rare.

Fra le prime la Cernia nera (Epinephelus canunis) e la Cernia bianca (Epinephelus aeneus), mentre per la prima volta nelle gare di safari fotosub sono stati fotografati il Ghiozzo di Ferrer (Pseudophya ferreri) e la Saucia mora (Arnoglossus thori).

E dopo le dissertazioni pseudoscientifiche, veniamo alle classifiche.

Sul podio del Campionato per Società il Dugongo Team di Milazzo con Ruvolo e Torre, secondi di stretta misura Alaimo e Gaudino del Centro Sub Alto Tirreno, terzi Crimaldi e Liguori del Poseidon Team di Sorrento che si aggiudica anche il premio per la foto più bella realizzata dalla seconda squadra composta da Mario e Tritto.

Nel Campionato Individuale netta affermazione del pluricampione Nicola Alaimo del Centro Sub Alto Tirreno, categoria Apnea master, vincitore del premio per il maggior numero di catture con 72 specie! Nella stessa categoria medaglia d’argento a Giancarlo Crimaldi del Poseidon Team e terzo classificato Francesco Chiaromonte della LNI di Pozzuoli.

Nella categoria Apnea compatte conferma di Massimilano Principato del GRO Sub Catania, già campione nel 2017, al quale è andata anche la menzione per la foto più bella della sua categoria, secondo Giuseppe Pagliuso del C.S. Sestri Levante e terzo Giancarlo Torre del Dugongo Team di Milazzo.

Il podio della categoria ARA master vede al primo posto Davide Lombroso, Ci.Ca.Sub Bogliasco, seguito da Santo Tirnetta, Sciacca Full Immersion, al quale viene assegnato il premio per la foto più bella e per il maggior numero di catture con ARA, terzo il campione uscente Gianpiero Liguori sempre del Poseidon Team di Sorrento e quindi notevolmente impegnato nell’organizzazione.

Infine sul podio della categoria ARA compatte medaglia d’oro a Vincenzo Bono dell’Apedis di Palermo e premio per la foto più bella, con appena quattro punti di distacco la piazza d’onore va ad Antonio Mario, Poseidon Team ed il bronzo ad Alessandro Raho del Ci.Ca.Sub Bogliasco.

La classifica del Trofeo delle Regioni vede al primo posto la Sicilia seguita da Toscana e Campania.

La Giuria è stata da presieduta dal ligure Massimo Corradi e composta dai noti fotografi David Salvatori e Pasquale Vassallo.

La cerimonia di premiazione si è svolta nel teatro del Palazzo comunale di Sorrento alla presenza dell’Assessore allo sport Federico Cuomo, del Direttore dell’AMP Punta Campanella Antonino Miccio, del Presidente del settore AS e NP della FIPSAS Carlo Allegrini e del responsabile del Safari fotosub Filippo Massari.

Il prossimo Campionato italiano tornerà in Liguria nel 40° anniversario del Pre Campionato del 1979 e si svolgerà a Sestri Levante dall’1 al 6 ottobre 2019.


Il Corsaro, lo Squalo & altre storie

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Un omaggio appassionato a un diving center, a un Re del Mare e al suo mondo unico. Che – pur senza nulla voler togliere agli altri – ha fatto buona parte della storia delle immersioni. Attraverso i subacquei famosi e meno noti che son transitati di qui. Lasciandoci ognuno tracce di cuore.

Di Romano Barluzzi. Foto Marco Puccini, Amedeo Carminati, Dario Gazzi

Una volta chiesi al Corsaro – al secolo Alfredo Guglielmi, titolare storico del “Centro Sub Il Corsaro” in località Pareti, comune di Capoliveri, all’Isola d’Elba – cosa ci facessero sulla sua scrivania tutti quei coupon omaggio per viaggi subacquei intorno al mondo evidentemente mai sfruttati. “Che ci faccio io, in giro per il mondo, quando è tutto il mondo che passa di qui? E se quando vengono poi non mi ci trovano?”
La voglia di prendere – e prendersi – in giro sempre a fior di pelle, quella predisposizione genetica dei toscani che tutti “amano e odiano” e pochi gustano in ogni sfumatura quanto solo i toscani veri sanno fare… L’intima certezza di sentirsi davvero bene solo qui, nella “sua isola”, quella stessa Elba che Jacques Mayol ebbe a definire “l’isola perfetta”. E poi gli occhi spesso persi sul mare, sul “suo mare” – di cui riprendono colori e umori – e un piede a terra e l’altro sulla sua amatissima barca…dove per molti anni ha vissuto forse più che tra le mura di casa. Questo – ma anche molto, molto altro – è il Corsaro. Un autentico “Re del Mare” come pochissimi ce ne sono rimasti. Forse l’ultimo. Però meglio andare con ordine, che un po’ di storia non guasta mai…

La storia del diving: primo in tutto
Il primo vero e proprio diving center italiano all’Isola d’Elba, creato nel 1970-1971, dove ce n’era stato uno di tedeschi. Il primo con licenza all’accompagnamento in immersione delle autorità marittime di zona, dal 1973-74. Il primo ad aver organizzato i più strabilianti record d’immersione in apnea dell’epoca, dal 1973 al 1983, giusto per limitarci all’esempio di quelli con Jacques Mayol. Il primo ad aver ospitato gli esami istruttori in mare della nuova era FIPSAS (quella post-Marcante) già nel 1985. Il primo ad aver appoggiato rilevamenti scientifici sull’apnea profonda, specie nel citato decennio Mayol 73-83, con nomi come i professori Giancarlo Oggioni Tiepolo, Piergiorgio Data, Alessandro Marroni… Il primo ad aver assistito una donna – Angela Bandini, 1989, “Operazione Sirena” (con “I Ragazzi del Lago”) – fino a quel suo vertiginoso exploit a 107 metri di profondità, nell’apnea profonda che si sarebbe poi chiamata “no-limit”. Il primo dove nel 1996 si tenne il primigenio corso istruttori di Apnea Academy, didattica nata e cresciuta dalle esperienze di record fatte qui con Umberto Pelizzari (con il “coach” Massimo Giudicelli) a partire dal 1991-92 fin sulla soglia degli anni 2000, fondata dallo stesso “Pelo” insieme a Renzo Mazzarri (altro grande dell’apnea, elbano doc, 3 volte consecutive campione del mondo di pesca in apnea), Marco Mardollo (attuale direttore tecnico di Y-40) e Angelo Azzinari (“educatore” di apnea ante litteram). L’elenco sarebbe con ogni probabilità ancora lungo (come per esempio il primo ad aver varato procedure di decompressione poi confermate e approvate anche dalla scienza medica ufficiale…) ma vogliamo fermarci qui.
Una cosa è certa: l’esperienza di mare di questo centro immersioni – oggi magistralmente condotto insieme a Marco Puccini (nipote di Alfredo) e modernamente dotato di ogni servizio, equipaggiamento e confort – nonché dei suoi operatori, la loro professionalità, ha fatto la formazione di generazioni di istruttori di attività subacquee, di ogni didattica e grado. Perché niente istruisce e addestra al mare quanto il mare stesso! E questo è mare autentico. Mare duro. Di libeccio, ponente e maestrale in faccia. Capace di passare dalla piatta più assoluta – con visibilità subacquea anche di 40 m in stagione propizia, che qui ha la sua apoteosi proprio in autunno inoltrato – alla burrasca più insidiosa. Al centro del parco marino e terrestre più vasto d’Europa, quello dell’Arcipelago Toscano, che proprio all’Elba ha sede. Una natura dalla bellezza strepitosa e selvaggia, in grado di regalare tutte le visioni del blu salato: dal passo dei maestosi cetacei e dei grandi pelagici all’infinitamente piccolo dei nudibranchi e dei polipi corallini. Punti d’immersione i cui nomi sono diventati leggendari: le Coralline di Fonza; Capo Stella; Remaiolo; Costa dei Gabbiani; le Forbici; punta dei Ripalti… Per non dire di quelli nelle isole dell’arcipelago, tutte raggiungibili, a cominciare dalla misteriosa Montecristo, sempre in vista quanto proibita allo sbarco e all’ancoraggio; o la più recentemente frequentabile Pianosa; o Capraia…e via con le altre.

Le barche del Centro.
All’inizio fu l’Elbano 1°, poi un potentissimo gommone superveloce “Caribe”, quindi il “Corsaro” dal 1977 (tutt’ora in attività) col soprannome di Corsarino, per distinguerlo nel parlare dal grande “Squalo” che è sopraggiunto buon ultimo (ma già da 1992), un magnifico ex-peschereccio completamente riattrezzato e riconfigurato a charter per subacquei dal maggio 1993. Un sogno di barca lavorativa da 24 metri, con un pozzetto che quando ti ci trovi sopra ti pare d’essere in piazza d’armi e con una poppa dalla linea unica e inconfondibile anche da lontano per quanto è a sbalzo, slanciata sull’acqua. Il posto a bordo non è mai troppo scarso, nemmeno con 20 sub tutti attrezzati, considerando che ha imbarcato pure l’impianto di ricarica nonché gruppi ARA a sufficienza per tutti. Mentre spiccano anche le grandi e alte bombole di stoccaggio dell’ossigeno puro per respirare da narghilè in certe decompressioni sulla verticale della barca… Una cucina molto marinaresca ma in cui non manca assolutamente nulla fa mostra di sé con discrezione mentre l’attigua “dinette” rapisce la scena, in particolare con un grande tavolo circondato da panchette che gli occupanti battezzano subito “il quadrato ufficiali” per quanto invita a sedersi. Due bagni, in comune ma ciascuno con doccetta, però non certo per concessione al lusso: guai a chi fa una doccia più lunga di venti secondi! Il vero “oggetto del desiderio” si trova lì accanto: una enorme “ghiacciaia” (di contadina memoria, la chiamavano così una volta, almeno in Toscana, la zona più adatta della cantina dove stipare il ghiaccio invernale, quando non esistevano ancora i frigoriferi), cioè una sorta di vascone cubico dalle pareti spesse e coibentate, apribile dall’alto con uno sportello che pare più una pesante botola. Il volume interno viene letteralmente colmato di ghiaccio subito prima della partenza. Ghiaccio che si conserva benissimo per molti giorni, durante i quali assicura temperatura ideale e costante a ciò che nasconde. Già, perché lì dentro si sa che c’è di tutto e di più, da mangiare ma soprattutto da bere! E non mi soffermo sulle conseguenze di quell’attrazione fatale che innesca… credo saranno immaginabili al lettore. Il giro a bordo si completa con comode per quanto spartane cuccette per tutti, ben riparate, sottocoperta. Per i sonni e i sogni più cullati cui potersi abbandonare (se nessuno russa). Sotto i cieli più stellati che immaginazione possa desiderare.

La storia dello Squalo.
È appunto per lanciare l’allora nuovo tipo di turismo subacqueo – la mini crociera in giro per l’Arcipelago Toscano – che nacque l’idea dello Squalo e la sua configurazione così specializzata e funzionale. E da allora ne ha visti e ne ha portati, di gruppi, a zonzo per questo mare, anche per un’intera settimana alla volta. Ma già un weekend lungo, dal venerdì sera, appare quanto di meglio ci si possa concedere per assaporare appieno un’esperienza che si rivela indimenticabile. Come ben sanno quelli che l’hanno fatta e che prima o poi – quasi tutti – cercano l’occasione di rifare una seconda e magari una terza volta. Fino all’ennesima. A dispetto del fatto che oggi si registri un certo cambio di moda tra gli utenti sub, tendenti a prediligere la minivacanza in costa, così da farvi rientrare anche altre attività o sport oltre all’immersione, magari per parenti, amici o accompagnatori non subacquei. Però qui a bordo si respira il mare in tutte le sue forme e chi vuole immergersi a qualsiasi ora del giorno e della notte, chi accetta il salmastro sulla pelle, chi gusta le attese quanto l’azione, chi non si sente frastornato dal vento, anzi lo cerca, chi non si cruccia di coricarsi al tramonto per alzarsi all’alba – e che albe e che tramonti, signori miei!… – scoprirà che sopra questo legno in giro per il mare la felicità può tornare a essere un’idea semplice.

Il Tempio – e la storia – dell’Apnea.
Entri in quella stanza – crocevia di passaggio dalle altre quattro del diving – alla cui parete principale sono attaccate migliaia di foto, in bianco e nero e a colori. E sono molte anche quelle dal color seppia che il tempo incolla loro addosso. Ciascuna narra un pezzo di storia, come le molte facce note e meno note che vi sono ritratte. Inquadrature tutte bellissime, in cui perdersi. L’irripetibilità e al contempo l’eternità di tutti quei momenti. E in alcuni di quegli scatti, lì da qualche parte, probabilmente ci sei ritratto anche tu. O vorresti esserci. Ma di colpo lo sguardo ti si posa sulle macchine metalliche che recavano la zavorra mobile per portare apneisti famosissimi fin nelle profondità del mare lì davanti, in vista di Montecristo. Chi erano? Chi sono? I nomi soprattutto di Jacques Mayol, Angela Bandini, Umberto Pelizzari, Gianluca Genoni – ma anche molti altri, tra cui una parentesi con Stefano Makula – riecheggiano pronunciati sommessamente da chi li indica in quelle foto e ne riconosce i marchingegni di discesa che utilizzavano… Allora il respiro ti si rallenta e abbassi istintivamente la voce anche tu, come tutti, come per ascoltare meglio il silenzio del tempo di un’apnea. Sei in un vero e proprio “tempio” di questa attività, forse il solo che abbia percepibili in sé queste caratteristiche di sacralità e possa donare al visitatore queste emozioni. Soprattutto riguardo alla storia dell’assistenza ai record, costellata di gesti e tecniche non meno mirabolanti dei record stessi.

Un weekend senza tempo (oggi).
E dunque siamo in sedici a bordo dello Squalo, per un weekend d’autunno in barca: abbiamo deciso di concedercelo, io e una coppia di amici, per ricordare che il precedente fu troppi anni fa…così eviteremo di contare quanti siano diventati. Perché nel frattempo c’è chi s’è sposato, chi s’è lasciato, chi se l’è cavata, chi ancora cerca. I realizzati e gli irrisolti. Quelli che ironizzano se potersi definire attempati giovanili o diversamente vintage. Uniti, qui a bordo, da quel pizzico di leggerezza che non ti fa sentire più così necessario conoscere e controllare tutto. Pantaloncini, magliette, piedi scalzi e sorrisi dell’essere al posto delle convenzionali, seriose divise dell’apparire che la vita d’ogni giorno impone. E finalmente riscopri come facciano gli animi a identificarsi o riconoscersi da uno sguardo. Riconsideri le inflessioni di una voce. La perfetta necessità d’un silenzio. L’importanza d’un gesto. “Autenticità”, questo è il suo nome. E non la trovi sullo smartphone. Dopo – ma solo dopo – saremo i “Tipi da Squalo” nel gruppo WhatsApp.
Intanto è gioco, passatempo, la natura tutto attorno. Ci sei immerso. Momenti d’ogni tipo. Respirare un senso di libertà assoluto e improvviso, appena l’ombra della barca si separa da quella dell’ormeggio, non importa per dove. Che l’arte dell’avventura è nel percorso, non nella meta. Che ogni viaggio è ricerca e ogni ricerca un incontro. E perfino il ritorno avrà una bellezza tutta sua, quando tornando ti scoprirai un po’ più ricco di prima.
Ma questa notte siamo ancora a bordo, sono ormai le 2:00 del mattino. E mentre ancora ci raccontiamo la vita insieme a un amico di “quelli nuovi” e uno di “quelli vecchi”, buttando lo sguardo verso il largo come per voler indovinare una linea d’orizzonte altrimenti indefinita, distinguo una luce rossastra nel cielo. Si sta abbassando sul mare a specchio e vi proietta una lunga striscia dello stesso color rosso. È una tinta inconfondibile e determinata a voler attirare l’attenzione, differente com’è tra tutti gli astri di quell’incredibile volta stellata. Stiamo assistendo niente di meno che a un tramonto del pianeta Marte! Cosa posso desiderare di meglio?
Un giorno, forse, tutto questo non sarà più così. Ma di certo oggi non è quel giorno. “…’Guanta duro, Corsaro!”

Quel colore emerso dal mare

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Il “Living Coral” sarà il colore dell’anno 2019. Molteplici significati si celano dietro la scelta annunciata pochi giorni fa dall’americana Pantone. In primis, proprio quella linea ideale di valori che fa da ponte con il mondo sottomarino. Per tutelarlo e preservarlo.

Di Chiara Scrigner.

Si sente sempre più spesso sottolineare come il mare – l’oceano – costituisca il 70% della superficie del nostro pianeta. Ma ancora poco ci si rende conto di quanto sia profondo il rapporto tra il mare e la specie umana. E non solo perché la maggior parte dell’ossigeno che ci fa respirare proviene da quel mare: perfino nelle nostre scelte più immateriali c’è – e per fortuna sempre più – qualcosa del mondo marino.

E così, dopo l’Ultra Violet dello scorso anno, intenso e provocante, veniamo catapultati nel luminoso e coinvolgente Living Coral, a cura dell’azienda Pantone, che potremmo ridefinire idealmente come “la fonte dei colori”. O perlomeno la matrice delle definizioni delle loro tonalità più adatte alla contemporaneità.

Ma come e perché viene scelto il colore dell’anno?

La ricerca che poi porterà alla scelta del colore dell’anno dura circa 9 mesi e coinvolge 20 persone specializzate. Guardano modelli e colori ricorrenti in diversi campi, si spazia dal design, alla moda, alla sociologia ecc.; in seguito poi il team sceglie facendo riferimento allo scenario attuale della situazione mondiale e cerca di dare al mondo quello di cui ha bisogno tramite il linguaggio dei colori.

Il Living Coral, una tonalità di colore tra il rosso e il rosa, comunica umanità, autenticità e familiarità, che, secondo Pantone, sono tutte caratteristiche necessarie in «un’epoca dove la tecnologia digitale e i social media si integrano sempre più nella vita quotidiana, disumanizzandola».

Leatrice Eiseman, direttrice del Pantone Color Institute, spiega che non è casuale il riferimento al tema “Corallo” (come si deduce anche dai mini video pubblicati sui vari account social dell’azienda leader nella catalogazione delle tonalità cromatiche): «Ogni volta che il corallo vive nel mare, i pesci si nutrono. È imperativo conservare le nostre barriere coralline come parte dell’ecosistema. Ciò ha sicuramente influenzato la nostra scelta».

L’attenzione globale va indirizzata verso le risorse dell’ecosistema; e quale modo migliore se non usare il prezioso corallo come simbolo? Il mare, e tutto ciò che lo compone, va tutelato e preservato per poter apprezzare tutte le meraviglie che offre.

IL TEVFIK KAPTAN I

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Inizia come tante altre la seconda vita di questo cargo Turco. Un relitto tecnicamente piuttosto facile ma non per questo meno ricco di emozioni. E con qualche inaspettata sorpresa…

A cura di Claudio Budrio Butteroni

Salpato dal porto di Ortona alla volta delle coste algerine con un carico di matasse di filo di ferro, giunge in prossimità di Torre Vado dove, a causa di uno spostamento del carico, comincia a inclinarsi. A nulla sono valsi i tentativi del personale di bordo di ripristinare i corretti assetti nelle stive. Nelle prime ore del pomeriggio la nave si inclina ulteriormente iniziando a imbarcare acqua. Affonderà dopo poche ore. Erano le 21:30 del 28 giugno 2007.

La nave si adagiò su un fondale di circa venti metri in assetto di navigazione. Le procedure di emergenza, prontamente attivate, riuscirono a scongiurare un gravissimo danno ecologico, recuperando – nel corso dei giorni successivi – circa 20.000 litri di gasolio e circa  7 tonnellate di olio.

La scarsa profondità del sito, se per un verso ha reso il relitto largamente accessibile, per un altro l’ha lasciato esposto alla forza del mare. Le ripetute burrasche invernali hanno agito sulla struttura della nave spezzandola in due. La prua, stabilmente adagiata sul fondale per via delle oltre 1.000 tonnellate di carico, è rimasta in assetto di navigazione, mentre la poppa è ruotata di circa 90 gradi e inclinata di circa 40.

Torre Vado è una località marina nel comune di Morciano di Leuca, nella la propaggine meridionale della costa ionica salentina (Puglia), a poca distanza da Santa Maria di Leuca. Percorrendo la litoranea verso sud è impossibile non far caso al cartello che indica la sede del Diving Service di Marcello Ferrari. La struttura, che occupa l’intero piano terra di una palazzina, offre confort di ogni genere. L’entrata del locale è presidiata dalla scrivania di Marcello che mi accoglie con il suo sorriso. Non ho preavvisato del mio arrivo ma l’accoglienza è comunque calorosa. Dopo le presentazioni di rito, scarico la mia attrezzatura nel grande patio che si distribuisce attorno al centro e mi lascio istruire da Marcello sui migliori posti per alloggiare e cenare nei giorni a seguire.

L’appuntamento per l’immersione è per il giorno successivo, alle 15:30; il relitto è a poche centinaia di metri dal porto di Torre Vado, distanza che percorriamo in pochi minuti di navigazione sull’imbarcazione del diving.

Finito il briefing, scendo in acqua per primo e prendo il contatto con il relitto a pochi metri di profondità, in prossimità della struttura che sostiene i bighi di carico. Mi fermo per attendere il resto del gruppo e già mi accoglie un branco di barracuda che ruota attorno alla struttura.  Il mio rebreather mi consente di passare quasi inosservato e di godermi lo spettacolo fin quando l’arrivo dei miei compagni pone fine alla giostra.

Una volta ricompattato il gruppo scendiamo fino al ponte e percorriamo il camminatoio del lato di sinistra sino alla prua. Qui ci spostiamo sul fondo e, seguendo la catena dell’ancora di sinistra, ci allontaniamo di qualche metro per poter godere di una visione di insieme; la prua della grande nave ci sovrasta dall’alto del suo imponente sviluppo verticale. E, sebbene la visibilità oggi non sia certo delle migliori, ciò non disturba più di tanto, anzi: l’intera ambientazione e il senso di mistero che emana ne risultano avvantaggiati.

Ci dirigiamo nuovamente verso il relitto e giunti in prossimità dell’ancora di dritta, ancora al suo posto nell’occhio di cubia, anziché costeggiare il lato di destra, tagliamo per 45 gradi nella sabbia. Bastano poche pinneggiate per intravedere il troncone di poppa, adagiato a pochi metri di distanza sul lato di sinistra. Costeggiamo la chiglia dello scafo nella parte più profonda fino a scorgere l’elica, parzialmente insabbiata, e la pala del timone. Completato il periplo ci dirigiamo nuovamente verso il troncone di prua.

Strada facendo ci imbattiamo in uno dei tanti spettacoli della natura. Distesa sulla sabbia scorgiamo una ovatura di Tonna galea (Linnaeus, 1758), uno dei fantastici ospiti dei nostri mari noto anche con lo pseudonimo di “elmo”  o “doglio”; mollusco dalle dimensioni inusualmente grandi – la conchiglia degli esemplari adulti può superare anche i 20 cm di diametro! –, la sua deposizione di uova non è meno spettacolare, prendendo l’aspetto d’una specie di larga fascia trinata e ondulata, lunga anche 1 metro!

Raggiungiamo infine la sezione prodiera in prossimità della grande stiva a centro nave, là dove la nave si è spezzata. Riusciamo quindi a gironzolare senza alcuna difficoltà tra le matasse di filo di ferro che ora sono sparse al difuori della stiva, senza necessità di addentrarsi in spazi angusti. I minuti a nostra disposizione si stanno esaurendo; risaliamo lungo la torre di centro nave e raggiungiamo la cima di ormeggio che ci guida alla nostra imbarcazione.

Il tempo è sempre tiranno e quello scandito dalla curva di sicurezza a maggior ragione. Mentre rientriamo in porto il sole è ancora alto sull’orizzonte a testimoniare la voglia di tornare che già sento crescere in me.

IL LAGO DEI PRESEPI

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Si chiama così la manifestazione che s’è tenuta il 16 dicembre scorso nell’incanto del lago di Posta Fibreno, promossa dall’associazione Assoscuba di Sora. Ed è anche la cronaca con cui vi auguriamo il Buon Natale 2018 e uno splendido Nuovo Anno 2019

A cura di Claudio Budrio Butteroni. Foto di Carlo Ravenna

L’evento è stato accolto dalla splendida cornice del lago di Posta Fibreno, all’interno dell’omonima riserva naturale.

Motore dell’iniziativa, giunta alla sua 5^ (quinta) edizione, è stata Maria Gigliozzi che ha fortemente contribuito al successo dell’evento.

L’elevato coinvolgimento del tessuto associativo locale ottenuto da Maria – narratrice provetta che già ci affidò su queste pagine la sua cronaca a proposito di una altrettanto celebrata Befana Subacquea svoltasi nelle stesse acque ormai note per la straordinaria limpidezza naturale – servendosi di ogni mezzo e tecnologia, ha fatto sì che siano stati stavolta ben 17 (diciassette) i Presepi artigianali realizzati dai vari gruppi subacquei intervenuti.

I rappresentanti delle associazioni partecipanti, provenienti da Lazio, Campania e Puglia, hanno ricevuto una targa commemorativa dal Comune di Posta Fibreno, rappresentato dal Vice Sindaco Dr. Alessandra Farina.

Le opere, benedette dal Parroco di Posta Fibreno, sono state poi posizionate su piattaforme sospese a mezz’acqua e ancorate al fondale del lago, creando cornici scenografiche tali che in alcuni casi sono sembrate sfidare e vincere le leggi della fisica.

La giornata si è poi conclusa con un conviviale presso il Ristorante Lago Chiaro Chalet di Posta Fibreno, dove i partecipanti hanno avuto modo di assistere anche al commovente e commosso intervento di Pino Bonavenia a cui si deve la realizzazione dello storico crocefisso del lago di Posta Fibreno. La sua opera, realizzata e immersa nel lago nel lontano anno 1977, è protagonista della Festa del Crocifisso, commemorazione ideata oltre 25 anni or sono da Antonio Faiola che prevede ogni anno – nel mese di agosto – il recupero della Croce ad opera dei subacquei dell’Assoscuba di Sora per l’ostensione e l’adorazione, nonché il successivo riposizionamento.

Le opere rimarranno esposte fino al 27 gennaio, data in cui saranno poi rimosse.

Affidiamo alle immagini di Carlo Ravenna la rappresentazione delle emozioni di questa giornata, specialmente di quelle che non possono essere descritte con le parole.

CURIOSEATY

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Tuffati con noi nelle migliori curiosità sul mondo marino! Pronto a salpare?

La Redazione

Siamo quasi al nastro di partenza di una nuova fase per la crescita di questa rivista.
Dalla prossima settimana, ogni venerdì, posteremo sull’intera nostra area social una “notizia” sull’ambiente mare.
Avrà caratteristiche di particolare curiosità divulgativa e di rilevante interesse scientifico o tecnico sul mondo marino – specie quello sommerso –, con una sottolineatura sul suo rapporto e la sua influenza nei confronti del mondo emerso.
Un legame profondo e sempre più frequente quanto troppo spesso ancora ignorato.
Un periscopio che getta il suo sguardo sul mondo osservandolo dal punto di vista di ciò che accade sott’acqua.
Perciò abbiamo giocato un po’ sul nome e la sua pronuncia, battezzando questo nuovo, moderno flusso informativo come si sarebbe fatto con una rubrica dedicata sulle classiche riviste illustrate di un tempo: “curioseaty”.
Ci auguriamo d’interessarvi e intrattenervi così ancora di più.
Contiamo anche vogliate dirci voi stessi se ci saremo riusciti, partecipando – ove possibile – con i vostri commenti, suggerimenti, segni di gradimento ecc.
Come si conclude oggi in questi casi: “stay tuned!”

E buon divertimento.

SUPER MEETING DI FOTOSUB INDOOR Faenza 15/17 febbraio 2019

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La fotografia creativa in piscina ieri e oggi, interviste a Riccardo Cioni e Max Giorgetta

di Mario Genovesi

Sono passati quasi vent’anni dalle ultime gare di fotografia subacquea in piscina da quando i nostri fotografi facevano incetta di medaglie e di trofei in tutta Europa con incredibili e complesse scenografie subacquee. Era il periodo della foto creativa anche in mare e tanti grandi fotografi hanno preso spunti da questa particolare specialità trasportandoli nei fondali marini con grandissimi risultati. Ma quest’anno una società di Faenza, il Centro Sub Nuoto Club 2000, con il patrocinio della Fipsas, Federazione Italiana Pesca Sportiva e Attività Subacquee, della Cmas e del Comune di Faenza, ha riproposto alla grande attenzione questo tipo di fotografia organizzando un Meeting Internazionale di Fotografia Subacquea Indoor che si svolgerà nelle piscine del centro sportivo comunale di piazzale Pancrazi. Dodici i team in gara, ognuno composto da un fotografo, una modella e un assistente, provenienti da tutta Europa. Infatti, oltre a sette italiani, parteciperanno due spagnoli, un tedesco e due bulgari tra cui la famosa fotografa Plamena Milena autrice di pregevoli scatti anche in questa particolare disciplina.
Ma facciamo un passo indietro nel tempo con una breve intervista a Riccardo Cioni uno dei più grandi fotografi di questa specialità negli anni a cavallo tra la fine del 1900 e l’inizio del 2000.

Riccardo, oggi, che ricordo ti è rimasto della tua splendida esperienza nella fotografia subacquea in piscina?
“L’ultima gara a cui ho partecipato è stato il Campionato Mondiale di foto creativa nel 2001 a Copenaghen in Danimarca dove ho conquistato il secondo posto e vinto per la migliore foto umoristica con Vanni Fedducci come assistente e Franca Lenzi come modella.
Ho iniziato nel 1990 con una vittoria alla selettiva a Subiano (Ar) e un 4° posto nella finale di quell’anno. Poi, dopo un altro identico piazzamento e dopo un 2° posto, è giunto il primo titolo di campione italiano riconfermato consecutivamente per 4 volte, 2 titoli mondiali ed un secondo posto. Fra i successi nei vari concorsi vorrei ricordare su tutti quello internazionale dei “50 Giudici” e dei Giochi del Mare.”
Che tipologia di foto avevi in mente?
“Avevo fatto tesoro dei consigli di fotografi già affermati quali Mario Bartoli, Riccardo Giuridinetti e Franco Negrin con il quale ho condiviso le esperienze azzurre di Parigi e Copenaghen. Non è mai stato mio intento imitarli ma darmi uno stile sia in ordine ai soggetti che alla tecnica capendo che, se volevo emergere, dovevo produrre un portfolio, anche se peggiore o non compreso, ma diverso. Da qui un accurato studio delle esposizioni multiple e dell’illuminazione che doveva essere morbida e non invadente. Ricordo le maschere dì plexiglas bianco che mettevo sui flash e i coni dei filati che erano necessari per delimitarne il raggio di luce tipo occhio di bue.
Una menzione particolare, una volta entrato a far parte del club azzurro comunque la devo a due maestri della fotografia a livello internazionale: Pierfranco Dilenge e Domenico Russo e a chi mi ha accompagnato in questa splendida carriera, Stefania Reggioli, Silvia Bernardo, Barbara Lupi, Massimo Puglisi e Vanni Fredducci tutti meritevoli dei successi raggiunti.”
Come ti venivano le idee?
“Il mondo che ci circonda è una fonte inesauribile di idee, l’importante è esserci in sintonia. Ricordo che Vanni e io avevamo un taccuino su cui annotare i soggetti e le situazioni. In Vanni ho avuto un validissimo “macchinista teatrale” che ha realizzato tutte le strutture (prima fra tutte un tubo del gas bucato e collegato ad una bombola d’aria, per creare pareti di bolle) che necessitavano per uno scatto che ripetevamo tantissime volte registrando su una lavagnetta di plastica le potenze, le distanze e l’esposizione per scegliere la combinazione migliore.”
Come vedi oggi la fotografia in piscina con le nuove fotocamere digitali?
“Il progresso tecnologico rispetto al mio passato ha fatto passi da gigante e vedo sicuramente per questo tipo di immagini un grande futuro. Le digitali rispetto alle analogiche hanno la possibilità di maggiore scelta grazie al numero di scatti che la pellicola tradizionale permetteva e il grosso vantaggio di vedere subito l’immagine scattata. Comunque Il foto sub creativo è un architetto dell’immagine, prima la vede nella sua testa poi la realizza.”
Consigli da dare?
“Allenamento, passione uniti alla curiosità nella ricerca. Quest’ultima, su un piano prettamente agonistico, può tornare utile. La creatività sorprende ogni giuria.”
Attrezzature utilizzate:
Fotocamere: Nikonos 5, Nikon FM (custodia Nimar), Nikon 801 e Nikon 801 S, custodia Ikelite. Flash Isotta K50, Isotta K 33, Ikelite. Obiettivi: Nikon e Signa 24 mm.

E ora qualche domanda a un grande fotografo di oggi Max Giorgetta che da qualche anno si è dedicato anche alla fotografia creativa in piscina, con ottimi risultati.
Chi è Max Giorgetta fotografo subacqueo..
“Ho raccolto la passione di mio padre fotografo e all’età di 10 anni ho iniziato già a scattare con una fotocamera analogica. Poi dopo circa sei anni sono passato ad utilizzare la reflex Nikon FM, marchio che non cambierò più. Sono passato al digitale i primi anni del 2000. Nella fotografia terrestre ho acquisito nel 1994 il titolo di Master di fotografia glamour e nudeart, mentre essendo istruttore Sub già dal 1992, ho incominciato nello stesso anno a fare fotografia subacquea naturalista con la Nikonos IV e poi la Nikonos V, con il solo scopo di portare dei ricordi dai viaggi nei paesi tropicali e dai fondali marini.
Nel 2009 incomincio misurarmi nei contest nazionali e a ottenere i primi risultati importanti. Poi nel 2013 sono passato a scattare con la reflex in acqua e arrivano i primi risultati a livello internazionale nella fotografia naturalistica dal Worlshootout del 2014 con un 2° posto in esordienti e un 3° in wide. Da qui inizia l’escalation nei più importanti contest.”
Come nasce la passione per la foto creativa in piscina..
“Nel 2014 inizia la sfida con fotografia subacquea di moda (Underwater fashion photography) e, dopo 2 anni di prove e studi seguendo i più famosi fotografi del genere, come Aaron Wong e Killer Kostantin, ottengo i primi riconoscimenti negli USA ad Ocean Art, e poi a Zagabria al UWPhotoMarathon. Poi la vittoria a Venezia ad Abyssi e in molti altri concorsi fino ad arrivare nel 2018 a Dusseldorf al WorldShootout, il più prestigioso contest del genere, dove arrivo 2° dietro un gurù americano.“
Come ti vengono le idee..
“Principalmente tramite la ricerca di qualcosa che possa essere interessante nell’ambiente dei riflessi, in quanto sottacqua il riflesso che l’acqua produce rende l’idea che la foto sia fatta sotto l’acqua. Anche attraverso lo scambio di idee con colleghi del settore e, molte volte, prendo spunto da qualcosa che noto nella vita di tutti i giorni.”
Metodo di lavoro, team..
“Il team è composto da un paio di aiutanti, uno in acqua e uno fuori, una brava makeup artist e dalla disponibilità della piscina con le caratteristiche giuste.”
Attrezzatura fotografica e flash.
“Utilizzo una Nikon D800E scafandrata Seacam, obiettivo 17/35 mm Nikon. 2 flash Subtronic Pro 160 sulla fotocamera e altri 4 flash con sensore slave.”

Tutte e immagini di Riccardo Cioni e Max Giorgetta sono coperte da copyright ed è assolutamente vietata la riproduzione.

http://www.maxgiorgetta.it

Ma ritorniamo alla gara, tre sono i temi che i concorrenti dovranno svolgere e presentare al giudizio della giuria:
– Foto Dinamica- Le immagini di questo tema devono presentare un’azione dinamica, sport, velocità, etc. La sceneggiatura di sport non subacquei è consentita, purché le immagini rappresentino un’azione dinamica in corso. È consentito la presenza di una o due modelle/i.
– Foto Teatrale – Le immagini di questo tema devono mostrare dramma, commedia, aggressività, risate, dolore, etc. È consentito la presenza di una o due modelle/i.
– Foto Art Model – Le immagini di questo tema devono includere un modello, che può essere uno o entrambi gli assistenti/modelle.
A documentare tutta la manifestazione, sia sopra che sott’acqua, ci penserà Enzo Cicognani, fotografo e documentarista di provata competenza, le cui immagini verranno proiettate su un maxi schermo così che il pubblico in tribuna potrà seguire comodamente tutte le fasi della gara. Un breve filmato di Cicognani sarà proiettato anche durante la cerimonia conclusiva della manifestazione che si terrà all’Hotel Cavallino sabato 17 alle ore 12,15 circa.

GoPro inonda l’Eudi

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Al prossimo EUDI Show 2019 arrivano workshop gratuiti, esperienze e sorprese targate GoCamera. Una messe d’iniziative, anche su nuovi modelli. Una presenza massiccia in grado di fare la gioia dei moltissimi appassionati che interverranno. Ci sarete anche voi? Noi si!


Come ai più sarà già noto, dall’1 al 3 Marzo torna a Bologna EUDI Show, la più grande fiera d’Italia sulla subacquea.
Ma forse non tutti ancora sanno che GoCamera – tra l’altro Main Sponsor dell’evento – nell’occasione renderà possibile tuffarsi in un mare di attività con GoPro e DJI.
Proprio grazie al fatto che anche quest’anno l’EUDI Show riunirà appassionati di subacquea da tutta Italia e non solo, da venerdì 1 a domenica 3 Marzo, al Padiglione 30 di Bologna Fiere, per questa nuova edizione GoCamera – il punto di riferimento e community italiana per i brand GoPro e DJI – torna nel regno dell’underwater con tante attività. Attesissime così anche nuove sorprese, a base di workshop gratuiti, giveaway, anteprime, due stand e addirittura l’Arena Droni in posizione F9.

WorkShop gratuiti dalla GoCamera Academy
L’Academy di GoCamera sbarca nel Videosub Café per tre appuntamenti imperdibili e gratuiti!

Venerdì 01/03 – h 16.00
Cattura il mare dal cielo con i droni DJI: tecniche di ripresa e sicurezza

Un workshop veramente speciale, a cura di DroneZine, il magazine più autorevole e aggiornato del mondo droni! In questo intervento dedicato alla ripresa, alla fotografia e ai consigli di sicurezza per droni, partendo dal regolamento, i relatori illustreranno le possibilità di utilizzo dei quadricotteri in prossimità del mare e degli specchi d’acqua.

Sabato 02/03 – h 17.00
Riprese subacquee con GoPro, da vero Pro! – Segreti e tecniche di ripresa

Protagonista assoluta del panorama action, GoPro HERO7 Black sarà al centro del secondo workshop gratuito. L’intervento tratterà tutti i temi legati all’utilizzo underwater della nuova top di gamma GoPro, dai supporti, agli accessori, alle tecniche di ripresa. GoCamera ti aspetta anche allo stand 9, con tutte le anteprime sul nuovo catalogo subacquea, per toccare con mano le ultime novità, la promo fiera e con gli esperti di GoPro per le tue domande e le tue curiosità.

Domenica 03/03 – h 16.00
Come montare un video in 5 minuti con GoPro Quik App

In questo ultimo appuntamento andiamo nel vivo dell’editing. Grazie all’app gratuita GoPro Quik App scopriremo uno strumento per poter lavorare le nostre clip, montarle e condividerle in punta di dita.
In più, con un focus incentrato sulla subacquea, scopriremo anche come impostare la videocamera in acqua per prepararsi all’editing veloce da smartphone.

Due stand per toccare con mano e volare davvero
Con una doppia area espositiva, GoCamera ti permetterà di immergerti nel mondo della videoripresa, aerea e subacquea, completamente! Una tappa obbligatoria per tutti gli appassionati che potranno approfittare sia per GoPro che DJI di un’imperdibile promo fiera.
Negli stand dedicati, infatti, GoCamera metterà a disposizione tutto il catalogo GoPro dedicato alla subacquea, da toccare con mano, e il suo staff per poter chiedere un parere, consigli e aiuto a tecnici esperti e preparati!
In più, nell’area dedicata alla action cam più amata al mondo, trovi anche in anteprima mondiale la soluzione più innovativa per la ripresa in immersione con GoPro, firmata dal brand leader CarbonArm.
Per DJI, invece, sarà messa a tua disposizione la mitica Arena Droni DJI, uno spazio protetto proprio nella fiera nella quale poter provare il brivido del pilotaggio droni! In totale sicurezza, con la guida di piloti esperti, potrai metterti in gioco, radiocomando alla mano.
Con GoCamera l’edizione 2019 dell’EUDI Show – ne siamo certi – sarà un’esperienza ancor più entusiasmante del solito. L’appuntamento allo stand 9 è per partecipare anche ai giveaway del Rivenditore Autorizzato! Diversi appuntamenti nei tre giorni per provare ad aggiudicarsi gadget introvabili.

Una doppia fiera per le tue passioni
Ti serve ancora un motivo per venire all’EUDI? La fiera della subacquea si svolgerà in concomitanza con Outdoor Expo, la fiera degli sport outdoor, ossia all’aria aperta. Con un solo biglietto potrai avere accesso a entrambi gli eventi!
GoCamera ti aspetta allo stand 9 con GoPro e DJI tutti e tre i giorni di fiera; e al Video Sub Café con i tre appuntamenti imperdibili citati sopra in dettaglio! Hai preso nota di tutto? Ci vediamo lì!

About Gocamera.it
Dalla viva voce dei responsabili del brand GoCamera: “Nel DNA di GoCamera c’è la passione per lo sport, la fotografia, i video e la condivisione, maturata con l’esperienza nel mondo delle action cam GoPro e droni DJI dei quali siamo Rivenditori Autorizzati per l’Italia. Chi sceglie di entrare nella community GoCamera e di acquistare sullo shop, lo fa perché siamo gli unici a offrire un supporto continuo, veloce ed efficiente con tecnici esperti che parlano italiano. Una vera esperienza da vivere insieme, con noi al tuo fianco, per imparare a sfruttare al meglio i tuoi acquisti, a condividere la tua storia. Grazie a tutto questo e a una costante ricerca, possiamo vantare il 100% di clienti soddisfatti, che hanno trovato finalmente il loro punto di riferimento online.”


“Safety”, (non) basta la parola

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Proprio perché non resti solo una parola nel cercare di soddisfare la necessità di una figura del genere, viene lanciato per la prima volta questo corso ultra-specialistico. Per ricavarne un operatore esperto nel soccorso in apnea, in grado di compiere recuperi e salvataggi subacquei su apneisti anche a grande profondità

A cura di Romano Barluzzi – Foto di Alex St. Jean

Diventare Safety Freediver Pro oggi si può grazie a un corso ultra-specialistico che sta per essere lanciato al prossimo EUDI-Show e inizierà nei giorni di poco successivi.
Si chiamerà Safety Freediver Pro – percorso formativo innovativo per la qualificazione di professionisti nella gestione della sicurezza in apnea”. In inglese “Safety Freediver Pro – a holistic approach for the qualification of professionals in the freediving safety domain”.
E dove si sarebbe mai potuto tenere un corso del genere se non a Y-40, l’ormai celeberrima piscina più profonda al mondo, che dall’imponenza dei suoi 42 metri della colonna d’acqua termale limpidissima che la caratterizza è diventata la patria indiscussa di tutti gli apneisti?
Così ci facciamo dire qualcosa di più dal suo direttore tecnico, Marco Mardollo.

Direttore, chi c’è dietro questa nuovissima proposta formativa?
«Marco Cosentino, già lui stesso safety di caratura internazionale, mi ha chiesto – e io ho accettato con entusiasmo – di metter su finalmente un corso nuovo e di altissimo profilo! Lo stesso Marco Cosentino ne sarà quindi il direttore, in quanto Safety Freediver professionista con più di 10 anni di esperienza nella gestione della sicurezza in competizioni internazionali di apnea profonda e Capo del Safety Team del Vertical Blue (la competizione di apnea profonda più importante al mondo). Lo supporterà la Dott.ssa Barbara Volpe – Responsabile del Servizio di Anestesia e Terapia Intensiva Villa Stuart Roma. È inoltre parte integrante del programma un workshop dedicato all’utilizzo del kit ossigeno di emergenza DAN tenuto da Jacopo Guarino – DAN European Training Coordinator.»

Di cosa si tratta?
«È un corso concepito per apneisti già forti, per imparare le tecniche di soccorso e recupero di atleti in gara, con requisiti di accesso molto elevati, come per esempio la discesa a – 42 m, 5 atti respiratori e immediata ridiscesa a – 25 m, il soccorso a una persona priva di sensi da – 42 m con lo scooter, il recupero a pinne da – 30 m … e altre abilità utili al bagaglio di preparazione indispensabile per il ruolo.»

Beh, dove lo svolgerete l’abbiamo già capito… giusto?
«Infatti, a Y-40! Dopotutto in che altro posto puoi programmare una cosa del genere, avendo la garanzia di poterla portare a termine senza incertezze climatiche, in assoluta sicurezza e con tutti i servizi d’assistenza e supporto del caso?»

Quando si svolgerà?
«Dal 22 al 24 marzo 2019. Ma lo anticiperemo presentandolo anche all’EUDI Show , sul Palco Maiorca , tra le 15:30 e le 16:00 di sabato 2 marzo . Tieni presente che già in fase di promozione abbiamo ricevuto il sostegno di William Trubridge , Umberto Pelizzari e dell’uso del logo di Molchanov e del Vertical Limits …»

Perché, in ultima analisi, si è voluto un corso così?
«Perché nelle gare c’è bisogno di gente che abbia una formazione seria , con nella mente e nel fisico la capacità di raggiungere e gestire profondità impegnative certificate. Basta vedere quel che è successo a Kas, durante i più recenti campionati mondiali CMAS , dove per la scarsa preparazione di un safety, un atleta è ridisceso da – 35 m a – 60 prima di poter essere davvero recuperato e per puro miracolo non ci la lasciato la vita. Voi stessi avete pubblicato un articolo in merito e anche lì era possibile riguardarsi il video – da brividi – dell’incidente, no? Una realtà oggettiva è finalmente balzata agli occhi di tutti… Uno degli scopi primari del programma del corso per com’è stato sviluppato è del resto anche quello di armonizzare gli standard di sicurezza nelle competizioni di apnea di livello internazionale.»

Servirà solo ai futuri safety?
«Al contrario, potrà rivelarsi quanto mai utile anche a semplici istruttori o allenatori di apnea, per dare più sicurezza ai loro allievi durante le uscite in acqua libera. Si dà il caso che con la diffusione dell’apnea le profondità operative medie degli apneisti siano aumentate in maniera esponenziale . Adesso i – 50 m sono davvero una profondità alla portata di tantissimi atleti. Questo è quanto accade nella realtà … ma le didattiche non se ne sono accorte!»

Salon International de la Plongée Sous-Marine

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XXI Edizione del Salone internazionale francese dedicato alle attività Subacquee
Parigi 11 – 14 gennaio 2019

di Isabella Furfaro

Nel cuore di una Parigi piovosa ma sempre ricca di fascino, in un’atmosfera ancora segnata dalle recenti manifestazioni di protesta dei “gilet gialli”, si è svolto il XXI Salon International de la Plongée Sous-Marine, l’importante meeting internazionale della subacquea francese.
Siamo presso il padiglione 5 del Parco delle Esposizioni Porte di Versaille dove, anche in questa edizione, Mari e Oceani sono sotto i riflettori, stavolta con lo slogan “Observer, trasmettre, partager” ovvero osservare e conoscere, trasmettere e condividereemozioni, idee, progetti legati al mondo marino.

Un bilancio più che positivo per questo Salone che, grazie anche all’attenta organizzazione della Responsabile Hélène de Tayrac, registra un incremento del 4% dei visitatori rispetto alle passate edizioni – oltre 60.000 in totale – e la presenza di oltre 500 espositori di cui il 34% di origine straniera, tra i quali numerosi rappresentanti del mercato italiano.
Molteplici le personalità del mondo subacqueo e gli eventi, dalla famosa coppia di apneisti Guillaume Néry e Julie Gautier che ha presentato la prima del film “One Breath Around The World”, alla originale mostra interattiva dedicata agli “Hippocampes”, a cura del biologo, subacqueo e fotografo, Patrick Louisy. Presenze di valore e iniziative originali tutte protese a sensibilizzare il pubblico al rispetto e alla preservazione dell’ambiente marino.

Il Salon ricorda molto l’Expo italiano di Bologna, non solo per la dislocazione delle aree e degli spazi ma soprattutto per l’atmosfera che si “respira” attraversando gli stand, una sorta di viaggio nella condivisione della passione per il mare, alla scoperta delle ultime proposte del mercato subacqueo e alla ricerca di mete subacquee adeguate alle diverse esigenze di ciascuno.

Come di consueto notevole rilievo è stato dato al tema dell’image sous-marine, in particolare con la spettacolare mostra video fotografica dedicata alla spedizione Gombessa, di Laurent Ballesta. Da sottolineare, altresì, il concorso fotografico promosso dal Salon la cui giuria era presieduta dal giornalista, fotografo subacqueo e redattore della rivista Subaqua, Pierre Martin Razi.

La manifestazione parigina è stata anche l’occasione per annunciare e premiare, nell’ambito del prestigioso concorso WorldShootOut (WSO), il vincitore della categoria “French Photographer of the year 2018” con giuria a cura della Rivista “Plongez magazine”. Alla categoria “Photographer of the year” partecipano automaticamente i fotografi che hanno presentato le loro immagini nell’ambito del WSO, il concorso ideato e promosso dal noto fotografo israeliano David Pilosof. Quest’anno il premio è stato assegnato a Patrice Privé. L’“Italian Photographer of the year 2018” sarà invece annunciato il prossimo marzo, in occasione dell’EUDI Show di Bologna.

Ampio spazio è stato riservato ai neofiti della subacquea grazie alla grande piscina che il Salon ha predisposto in collaborazione con la FFESM, la Fédération Française d’études et de Sports Sous-Marins che ha consentito a bambini e adulti il “baptême de plongée”, un primo approccio con l’attività subacquea, affiancati da guide e istruttori federali.

Con la gradita e consueta goliardia, i nostri cugini francesi hanno lasciato spazio, tra gli stand, a momenti di convivialità con amichevoli incontri di “apéritif” in compagnia di amici e clienti.
La bella atmosfera del Salon, sollecita alla condivisione della suggestione derivante dal ricordo di personaggi che hanno contribuito a fare la storia della subacquea francese, attraverso un breve estratto della “Charte internationale du plongeur responsable” (Carta internazionale del subacqueo responsabile) di Albert Falco, ex Capitano della Calypso e di Francois Sarano, ex consigliere scientifico del Comandante Cousteau.
La Charte è indirizzata ad un generico “Ami plongeur” (Amico subacqueo).

“ … Sous l’eau, vous allez visiter un monde vivant, magnifique mais fragile. Les frottements, les chocs broient et tuent les animaux fixés qui enchantent les paysages que vous êtes venus admirer.
Le dérangement peut effrayer les poissons qui protègent leur ponte, livrant les progénitures aux prédateurs. Le nourrissage perturbe l’équilibre entre les espèces et pervertit le comportement des poissons.
Vous souhaitez retrouver, demain, un univers marin sauvage aussi riche que celui que vous visitez aujourd’hui. Vous souhaitez avoir la joie de partager ces merveilles avec vos amis et vos enfants, alors soyez curieux de tout, mais restez discret, attentif et léger..! Par votre comportement d’aujourd’hui, offrez aux futures générations de plongeurs l’émerveillement d’un monde intact, l’émotion d’une rencontre avec les requins et les baleines, une aventure sous-marine aussi riche que la vôtre. …»

(Sott’acqua, visiterai un mondo vivente, bello ma fragile. Gli shock possono uccidere gli animali che vivono nel paesaggio che hai ammirato o possono alterare l’equilibrio che protegge la prole, consegnandola ai predatori. … Se vuoi avere la gioia di condividere queste meraviglie con i tuoi amici e i tuoi figli, sii curioso di tutto, ma sii discreto e attento! Attraverso il tuo corretto comportamento di oggi, offri, alle future generazioni di subacquei la meraviglia di un mondo incontaminato, il brivido di incontrare squali e balene, di vivere un’avventura subacquea ricca quanto la tua. … “.

www.salon-de-la-plongee.com

La via dell’apnea per gli altri sport

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L’arte del respiro trattenuto sott’acqua può essere allenante per molte altre discipline sportive, anche al livello delle massime prestazioni agonistiche. E perfino in sport che con l’elemento liquido sembrano entrarci poco o nulla. C’è un “perché”?

A cura di Romano Barluzzi. Collaborazione: Iris Rocca. Foto: Y-40® e AA.VV. in didascalie. La foto sub b/n in mare: Emanuele Vitale

Nel leggendario libro “Homo Delphinus”, scritto dall’indimenticabile Jacques Mayol, si poteva trovare – se non altro nella sua prima edizione, all’interno di uno dei capitoli che tracciavano una storia dell’apnea dalle origini ai giorni nostri (almeno nell’esperienza dell’autore-personaggio) – la riproduzione di una stampa d’epoca risalente al medioevo giapponese.

Essa ritraeva lo spaccato di un enorme otre ricolmo d’acqua, qualcosa di simile ai dolia degli antichi romani, talmente grosso che al suo interno era raffigurato un samurai completamente sommerso, intento a brandeggiare sott’acqua la sua spada (katana). Un guerriero maestro del “Bushido” – la “via della spada”, nella spirituale accezione Zen di quel mondo – che si sta allenando al combattimento mantenendosi sott’acqua, collegato alla superficie da un semplice tubo di bambù (il nostro snorkel), giusto per non esser costretto a riemergere ogni volta che avesse dovuto respirare.

Oggi, dopo diversi anni di esperienze in sordina da parte di sempre più numerosi istruttori e allenatori, dopo il diffondersi di pratiche come il Watszu, il maternage in acqua e perfino il Tai chi ed elementi di Yoga o Training Autogeno con esecuzioni immersi completamente o in parte nell’elemento liquido, si fa sempre più strada l’ipotesi che quell’antica stampa fosse la prima testimonianza dell’equivalente di un vero e proprio “allenamento all’apnea finalizzato a un’altra attività…sportiva”!

Che certo sportiva e agonistica lo è diventata dopo, essendo all’epoca votata al duello.

Ma guarda caso tra i primi maggiori successi ottenuti in questa tipologia di “cross-training” (passateci il termine) tra l’apnea in immersione e svariati sport ce ne sono molti che possono essere ritenuti un retaggio di lontane tecniche di combattimento militare.

In primis, gli sport connessi alle arti marziali. Ma la piacevole sorpresa si estende ormai anche alla scherma moderna!

Facciamo qualche esempio? Bene, eccoli.

«Un bell’esempio di atleta che ci frequenta con assiduità – ci dicono a Y-40, impianto che presenta caratteristiche dell’acqua praticamente ideali per queste tecniche…come vedremo meglio più avanti – è Sara Cardin, campionessa del mondo di karate, che sta preparando qui la respirazione in vista delle Olimpiadi di Tokyo 2020 che per la prima volta vedranno anche il karate protagonista. Si allena con Mike Maric

E veniamo alla scherma.

«Circa un anno fa – continuano a Y-40 – venne lanciata la fotonotizia “Giornata di allenamento a Y-40® The Deep Joy, per i numeri uno della scherma italiana che sono scesi nella piscina più profonda del mondo per una lezione decisamente atipica.” E cioè Arianna Errigo (Frascati Scherma), Argento individuale e oro a squadre nel fioretto ai Giochi Olimpici di Londra 2012, campionessa del mondo 2013 e 2014 nella specialità fioretto; Daniele Garozzo (Frascati Scherma), Oro nel fioretto maschile ai giochi Olimpici di Rio 2016; Mara Navarria (Centro Sportivo Esercito), Migliore atleta del ranking della spada nel 2018; Luca Simoncelli, Maestro e atleta campione del mondo, si immersero nelle profonde acque termali di Montegrotto sotto la guida degli istruttori di Apnea Academy Alessandro Vergendo e Rosarita Gagliardi, in alcune lezioni di respirazione e compensazione dentro e fuori dall’acqua, nonché di allenamento e controllo mentale.

L’obiettivo era quello di dare risposte concrete e a supporto dei metodi di allenamento attraverso discipline completamente diverse; peraltro l’attività faceva anche parte del progetto intrapreso da DAN Europe dal titolo “Ski Scuba Space” di ricerca scientifica e tecnologica per sondare il comportamento del corpo umano in ambienti cosiddetti “estremi” come quello appunto della piscina iscritta nel Guinness World Record a Montegrotto Terme.

Ebbene, a un mese di distanza, tutti e tre i campioni hanno conquistato altre medaglie ai mondiali e proprio Mara Navarria, che da anni allena qui la respirazione con Alessandro Vergendo, è diventata Campionessa del mondo di spada!»

Ma la descrizione dei casi celebri da parte di Y-40 è appena iniziata e così continua: «Come lei – la campionessa di spada – anche il campione europeo di nuoto a stile libero Luca Dotto, che quando è in zona viene ad allenarsi qui in apnea. Ha toccato i – 42.15 metri a dicembre e il mese scorso ha conquistato la medaglia d’argento nella staffetta maschile agli europei di Glasgow.

Filippo Magnini, sempre per il nuoto, si è immerso in Y-40 con Mike Maric, fino ai – 30 m.

Rossano Galtarossa, 4 volte campione olimpico di canottaggio, ha fatto invece una lezione privata con Umberto Pelizzari»

 

Si potrebbe disquisire a lungo dei perché e per come già nei casi di similitudini e affinità evidenti tra sport, apnea e acqua, se si pensa ad accostamenti ideali tra discipline dell’apnea subacquea, come il tiro al bersaglio sub, e il tiro con l’arco. O, ancor meglio, nel caso dell’apnea lineare orizzontale rispetto al nuoto pinnato. Così come nei casi già sopra citati di atleti del nuoto di superficie. Per non dire del caso della campionessa di nuoto sincronizzato, la giovanissima Lucrezia DeMari, gareggiante con la società Plebiscito Padova, che ha ottenuto i suoi migliori piazzamenti negli ultimi due anni, dopo che frequentò un corso intensivo di apnea verticale in mare (in seguito al quale è già diventata anche una delle migliori modelle nel campo della fotografia subacquea). In fondo, sono tutti sport con in comune l’elemento liquido.

Ma il punto è che la cosa investe anche la sfera di sport apparentemente privi di qualsiasi reciproca parentela con l’acqua e in questi casi tutto si fa meno scontato, più misterioso.

 

«Eppure abbiamo avuto il caso di due membri della nazionale spagnola di sci che, insieme a tutta la squadra, si sono preparati qui per qualche giorno un paio di mesi prima delle Olimpiadi invernali 2018 (sempre con Alessandro Vergendo) – proseguono ancora da Y-40 –. E la cosa è tra l’altro nota da tempo, tanto che anche alcuni campioni del passato – sempre di sport non acquatici – si sono cimentati in una lezione di apnea nella nostra piscina: il caso più eclatante è forse quello di Igor Cassina, campione olimpico di ginnastica artistica (alla sbarra), con Mike Maric.

 

Ed ecco un altro caso di questo genere: una sessione di apnea, un mix tra team building e primi approcci con la respirazione è stato fatto di recente sia dal Petrarca Rugby (squadra che 10 giorni dopo ha conquistato lo scudetto!), sia di poco successivamente dall’under 18 degli Ospreys Rugby. In questi due casi la lezione è stata coordinata da Marco Mardollo con gli istruttori di Y-40.»

E che dire della squadra nazionale italiana di salto con l’asta FIDAL, durante il periodo di allenamento al Palaindoor di Padova, in cui i saltatori con l’asta azzurri Matteo Capello, Max Mandusic, Andrea Marin, Alessandro Sinno, nonché le atlete Roberta Bruni e Rebecca De Martin, sono stati in visita a Y-40, per immergervisi … con l’asta e tutto! Ed è impressionante leggere la trascrizione di quanto raccontano nei dettagli a proposito delle sensazioni provate nel ripercorrere in apnea subacquea tutte le fasi del salto in alto … opportunamente rallentato per arrivare con l’asta di 5 m a “saltare” il celebre tunnel sommerso a centro vasca.

 

Dunque, per provare a capacitarsi del fenomeno se non proprio a trovarne “la” spiegazione, bisogna probabilmente astrarsi del tutto dall’idea di similitudini evidenti; e spingersi a immaginare oltre.

 

Allora si finisce per intuire – immaginare, forse – che le motivazioni si annidano in un mix virtuoso di corporeità in acqua, percezioni cinestesiche, movimento lento, contatto con il mezzo liquido, stato del respiro (e/o del respiro sospeso). Aggiungi un pizzico di coordinamento oculo-manuale-posturale. Dosi generose di rilassamento e concentrazione. Metti che entri in gioco anche un meccanismo di visualizzazione rallentata o variata di ritmo di schemi psicomotori nuovi. E una conseguente nuova autoconsapevolezza. Immagina come ciò possa incidere nell’allenare la rapidità con cui passi da focus attentivi interni ristretti a quelli esterni ampliati e viceversa (cosa che ti serve di certo negli sport di combattimento, ma anche in molti altri) … e il gioco è fatto!

Va anche detto che molto dipende dalle qualità di quest’acqua, che si presentano ideali, anzitutto per la temperatura, prossima a quella corporea umana e uniforme su tutta la colonna liquida: altrimenti l’acqua fredda e anche il rimedio offerto da protezioni isotermiche altererebbero le percezioni restituite dallo scorrimento del fluido sulla cute, modificando il tono muscolare basale e confondendo la lettura che l’organismo fa del movimento rallentato e della posizione delle parti di sé rispetto allo spazio circostante. Inoltre, trattasi di acqua propriamente termale, cioè di particolare composizione chimico-fisica: un’acqua che non si esita a definire “viva” e di cui si può facilmente riscontrare il potere rilassante, ma mai stancante, nemmeno dopo ore di “ammollo”!

 

«La cosa curiosa – conclude lo stesso direttore tecnico di Y-40 Marco Mardollo – è che, mentre dall’esterno si potrebbe pensare a chissà quali ritrovati o segreti addestrativi (e ne abbiamo anche di soluzioni personalizzate per i casi più elaborati), in realtà di solito si somministra un semplicissimo corso base di apnea, o perfino i suoi soli preliminari legati al controllo del respiro, come lo faremmo a chiunque. Lo si fa specie nei neofiti dell’immersione in apnea e negli atleti il cui sport non pare aver nulla a che vedere con l’acqua; ebbene, è proprio con loro che si ottengono i risultati più sorprendenti!»

 

In ogni caso, ciò che avviene riguardo al potere allenante dell’immersione in apnea – specie in Y-40 – anche verso altri sport, se non è propriamente “magia”, talvolta sembra assomigliare tanto a qualcosa di prodigioso nei risultati. Infatti vien semmai da chiamarla “magia dell’acqua”. O “therapie douce”, per dirla alla francese. E non c’è trucco né inganno: tutto accade davvero.

 

Come recita un passaggio dal racconto di Eugen Herrigel dal titolo “Lo Zen e il tiro con l’arco”: «Mentre si trattiene il respiro avviene tutto ciò che è giusto».

Lo straordinario caso del 1° corso per Safety

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La prima esperienza didatticamente strutturata per formare Safety di apnea di elevata professionalità s’è conclusa con un successo “di pubblico e di critica” al di là di ogni più rosea aspettativa. Sentiamo perché dalla testimonianza diretta di alcuni tra i maggiori protagonisti. Tra cui gli “allievi” stessi

A cura di Romano Barluzzi. Immagini di Marco Cosentino, Antonio Mogavero, Marco Mardollo

Quanto avevamo preannunciato circa la prima edizione del corso per diventare Safety di Apnea professionista s’è puntualmente verificato. Anzi, si è andati oltre, e in meglio! Il primo Safety Freediver Pro– percorso formativo innovativo per la qualificazione di professionisti nella gestione della sicurezza in apnea”, in inglese Safety Freediver Pro– a holistic approach for the qualification of professionals in the freediving safety domain”, ha cioè mantenuto molto più di quanto avesse promesso!

 

Ed è Marco Cosentino, direttore dell’iniziativa– Safety di caratura internazionale, già capo del Safety Team del Vertical Blue – ad aprire la danza degli entusiasmi sugli esiti del singolare seminario con queste parole:

«Il primo Professional Safety Freediver Workshop s’è appena concluso: avrò bisogno di qualche giorno per metabolizzare le emozioni e i tanti feedbacks che abbiamo ricevuto da questo sorprendente gruppo composto da Istruttori di apnea di diverse didattiche, da professionisti del settore apnea e da Atleti di alto livello, tutti uniti dalla voglia di approfondire gli aspetti legati alla gestione della sicurezza in apnea che troppo spesso vengono trascurati o trattati in modo approssimativo e superficiale.

 

Negli ultimi anni abbiamo assistito, anche grazie alle nuove possibilità di allenamento offerte da Y-40, a un aumento incredibile delle quote operative di allievi e/o apneisti professionisti. Purtroppo però questo aumento di prestazioni, che ci espone a rischi ovviamente maggiori, non è stato seguito da una eguale crescita e sensibilizzazione nella gestione strutturata di eventuali incidenti che sempre più spesso si verificano.

Nei 3 giorni di workshop abbiamo lavorato su tutti gli aspetti della gestione della sicurezza che secondo me sono fondamentali e soprattutto trasversali rispetto ai diversi contesti in cui poi ci si può trovare a operare: sia che ci si trovi in competizioni di apnea profonda che in attività più “normali” che magari ciascun istruttore svolge con i propri allievi e con i propri compagni di allenamento.

Il programma di questo “corso pilota” era abbastanza vasto e ha coperto molti temi che sono stati sicuramente apprezzati dai partecipanti perché per loro nuovi e decisamente stimolanti. Tra questi temi ecco le maggiori focalizzazioni svolte:

-analisi approfondita di tutti gli aspetti legati alla logistica e all’organizzazione di piani di sicurezza applicabili sia a contesti agonistici che ricreativi;

-concetti di fisiopatologia respiratoria applicati alla definizione e al riconoscimento immediato di patologie e incidenti in apnea che, grazie alla Dott.ssa Barbara Volpe (Responsabile dell’unità di Anestesia e Terapia Intensiva della rinomata clinica Villa Stuart di Roma ed essa stessa istruttrice subacquea di apnea), hanno stimolato la curiosità e hanno evidenziato aspetti critici fino a ora sconosciuti a molti;

-metodologia di analisi e gestione dei rischi connessi alla nostra disciplina;

-attraverso la visualizzazione di video di incidenti reali ai quali ho assistito negli ultimi dieci anni di lavoro come Safety, abbiamo evidenziato tutti gli aspetti teorici e pratici per apprendere la corretta gestione degli incidenti in profondità operando sia da soli che in team;

gestione operativa dell’emergenza sia in acqua che fuori, con esercitazioni pratiche in cui tutti gli allievi hanno sperimentato il rescue e il trasporto di una vittima da – 30/ – 35 m di profondità fino in superficie, la gestione dei primi secondi dalla riemersione, che sono critici per capire la severità del black-out e quindi fornire gli opportuni supporti alla gestione delle vie aeree; la gestione avanzata delle vie aeree con i supporti medici che solitamente sono in uso sulle piattaforme in cui si svolgono competizioni di apnea; fino ad arrivare all’evacuazione e al trasporto della vittima verso il SME.

Abbiamo svolto un lavoro davvero intenso e faticoso ma con dei risultati e un livello di preparazione finale davvero eccellenti in tutti gli aspetti della gestione della sicurezza in apnea: sono certo che tutti i partecipanti a questo primo corso da oggi saranno in grado di gestire situazioni di emergenze in apnea con una nuova consapevolezza e con nuovi strumenti operativi semplici ed efficaci.

 

Speriamo di avere iniziato un percorso di educazione e sensibilizzazione su un aspetto estremamente critico del nostro sport e che molto spesso è stato (e viene purtroppo ancora) sottovalutato.»

 

Le impressioni più ricorrenti tra i partecipanti:

Work Shop assolutamente prezioso che ha soddisfatto pienamente le mie aspettative, forse andando anche oltre. Le mie aspettative/obbiettivo era venire a conoscenza per poi essere in grado di applicare un corretto protocollo di intervento in caso di incidente durante una sessione di apnea profonda (allenamento, istruzione, ricreativa, gara ) cosa che il corso ha pienamente soddisfatto.»

 

Senz’altro gli obiettivi del corso sono stati centrati, il livello del gruppo era ben calibrato e le mie aspettative soddisfatte ampiamente.»

 

Le mie aspettative prima di questo corso erano rivolte alla conoscenza delle tecniche di primo intervento e di organizzazione del piano di sicurezza e prevenzione dei possibili incidenti nell’utilizzo dei cavi di allenamento con amici o allievi. l’obiettivo è sicuramente stato superato molto più che ampiamente e le aspettative surclassate dalla mole di dati e prove pratiche che hanno messo in luce tutta una serie di carenze mie e probabilmente di tutte le didattiche oggi in essere. gli argomenti trattati in maniera completa e chiara, anche quelli dove ho fatto più fatica a causa delle mie carenze conoscitive sono stati presentati a fondo . Le prove pratiche dei vari scenari sono state molto importanti per comprendere le manovre necessarie. Sia quelle rivolte al recupero dell’infortunato che quelle prettamente organizzative del campo gara sono state trattate con estrema competenza e completezza. i filmati utilizzati a scopo esplicativo sono stati a mio avviso molto utili e potrebbero essere più spesso impiegati durante le lezioni, anche con modelli positivi oltre che, come è stato fatto, con modelli negativi ed errori.»

Ha acceso dei grandi fari su aspetti solo in parte a me noti, con approfondimenti di dettagli di alto livello pratico, teorico e scientifico. L’approccio metodologico e analitico sviluppato manifesta una grande professionalità ed esperienza, oltre preparazione dei docenti.»

L’atleta Antonio Mogavero scrive a caldo su facebook:

«Tre giorni di corso a ritmi serratissimi con una grande componente tecnica ed emotiva, un team di partecipanti coeso e di alto livello sotto un’ala direttrice di prim’ordine – uno dei più grandi Safety di fama mondiale, Marco Cosentino che, insieme al “fratello” Gimmy Montanti, da quasi dieci anni sono alla guida e alla logistica per quanto riguarda la sicurezza di alcune delle più importanti gare internazionali di apnea profonda, in primis il Vertical Blue, insieme all’incredibile preparazione della Dottoressa rianimatrice (nonché istruttrice di apnea) Barbara Volpe la cui esposizione è stata fondamentale per capire ciò che esattamente succede a livello fisiologico, onde poter intervenire con una metodologia semplice ma efficace sull’ infortunato. Sono rimasto assolutamente esterrefatto dall’alto livello dei partecipanti e dalla minuziosità con cui sono stati esposti e presentati gli argomenti, facendo accendere in me, come atleta, tante “lampadine” e facendomi mettere nuovamente in discussione sotto tanti punti di vista, specie circa determinati tipi di atteggiamento che spesso noi atleti abbiamo nei confronti della sicurezza.
Ho apprezzato su tutto l’ idea di far sì che questo corso sia al di fuori di tutte le didattiche: è un segnale che ci sono persone che si battono e credono in un’idea comune di Sport che va ben oltre le bandiere e gli interessi personali e il fatto che si sia parlato di sicurezza può essere solo un valore aggiunto. Consiglio a tutti di arricchirsi di queste conoscenze e, per farlo, di partecipare ai prossimi corsi!
»

Conclude Marco Mardollo, direttore tecnico di Y-40, così dicendo:

«Molte cose di quest’esperienza m’hanno davvero stupito in positivo. E non me lo aspettavo. O perlomeno, non fino al punto che ho invece toccato con mano. Ascolti decine, centinaia di volte nozioni e informazioni nel corso di altrettanti convegni, seminari, conference d’ogni genere e poi ti ritrovi in questo workshop e scopri che puoi finalmente imparare – ma imparare sul serio, cioè imparare a fare! – qualcosa di nuovo e di realmente efficace.

Poi, e anche se le caratteristiche implicite di questa nostra Y-40 sono ormai evidentemente facilitantisu un training del genere, il senso di sorpresa nella riuscita ha pervaso talmente ogni fase dell’esperienza da lasciarmi esterrefatto. Sai quando tutto funzionatalmente meglio di quanto avresti mai potuto anche solo sperare e quasi non sai capacitarti di come sia possibile? Ecco!

 

Altra cosa piacevole da constatare è stato il livello medio assolutamente elevatonella preparazione dei candidati, che tra l’altro sono stati ben 16: ci siamo ritrovati a fare su e giù in tutti i modi dai – 42 m di Y-40 e nessuno di loro – dico nessuno – ha mai avuto problemi.

 

Infine, il clima di trasversalità, trasparenza e condivisione tra i rispettivi bagagli tecnico-culturali dei partecipanti: le provenienze degli iscritti sono state da ben quattro differenti didattiche, cioè Fipsas, ApneaAcademy, Aida, Padi e SSI. Idem dicasi per quanto proposto dai conduttori, che è apparso quasi in tutti i casi specificamente dedicato all’universo dell’apnea.

Tutto ciò ci ha fatto concludere di aver imbroccato già la via giusta anche dal punto di vista metodologico. Insomma, il corso – più che pilota – s’è rivelato una vera e propria prima esperienza strutturata e certamente riproponibile nella formula»

Sound Of Sea = SOS

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Sea Shepherd mette in campo un’iniziativa subacquea senza precedenti: far riecheggiare nelle profondità marine un unico coro formato dalle vere voci di trenta creature viventi in punto di morte. A causa della pesca industriale indiscriminata. Un dramma planetario cui solo noi, nel nostro piatto, possiamo porre fine

A cura della Redazione. Foto by SeaShepherd

Per una volta non è l’uomo che interpreta e racconta il mare, ma il mare stesso che vien fatto parlare, più propriamente “testimoniare se stesso”. L’uomo, stavolta, ha solo avuto l’idea: raccogliere, registrare e fondere assieme i suoni emessi da varie specie viventi accomunate dalla stessa drammatica situazione, quella cioè di trovarsi oggetto di uccisione selvaggia. Solitamente per ragioni di sovra-sfruttamento piscatorio indiscriminato, ma non solo.

Così, balene arpionate, cetacei (globicefali) abbattuti nella rituale mattanza in costa alle isole Faroe, delfini imprigionati nelle reti da pesca per poi venir mutilati ad arte, masse di pesci in agitazione frenetica intrappolati nelle reti a strascico…il campionario è vasto. Esito di atrocità inutili o dannose; nonché il più delle volte invisibili, perciò ignorate.

Ma che ora, almeno, hanno una voce, un lamento reso udibile anche all’orecchio di ognuno di noi, sia sott’acqua sia fuori. Come? I suoni sono stati selezionati, adeguatamente amplificati, elaborati e opportunamente uniti assieme, finché ne è risultato un unico suono composto. Questo, a sua volta, è stato immagazzinato in un trasmettitore a forma di sfera, che è stato immerso al largo di La Rochelle (coste francesi) perché potesse diffondere sott’acqua quell’acustica in ogni direzione.

È la zona dove l’unità Sam Simon di Sea Shepherd è al momento impiegata in una campagna di dissuasione dei pescherecci francesi dal catturare delfini nelle loro reti.

Ne è nato il suono misterioso e inquietante che potete sentire guardando lo spot video di cui citiamo il link in fondo all’articolo. «Un suono pressoché vivente, mai sentito prima», è stato definito.

Pare che la prima persona ad averlo potuto udire in immersione sia stato il sub francese Guillaume Néry, personaggio celebre nell’apnea profonda a livello internazionale, testimonial e artefice “de facto” dell’operazione, che ha postato su tutti i propri account social il video del “Suono del Mare” già il 3 aprile scorso, permettendone un rilancio subito virale sul web.

«Il dispositivo – rivela la stessa Sea Shepherd – è stato espressamente creato per un’operazione guidata da Sea Shepherd Francia e l’agenzia pubblicitaria TBWA\Paris. Con l’intento di aumentare la consapevolezza delle persone comuni e dei media sull’urgente necessità di ridurre il consumo di pesce.»

Perché gli effetti della sovra-pesca potrebbero andare ben oltre quelli intuibili già dall’esaurimento precoce degli stock ittici, ogni anno sempre più anticipato: il no-fish-day, solo nel Mediterraneo – cioè la data a partire dalla quale per tutto il resto dell’anno risulta già esaurita la quota di pesce prelevabile assegnata dalla CE al nostro Paese, al punto che per la grande distribuzione tocca importarlo dall’Oceano, a meno di filiere corte artigianali locali – cade ormai nel mese di marzo!

La faccenda, su scala globale, potrebbe innescare ben altre drammaticità: l’Oceano è il maggior regolatore climatico del nostro pianeta e risulta in testa anche tra i fattori di produzione dell’ossigeno respirabile. La sua buona salute dipende dalle popolazioni di pesce che, se troppo impoverite, potrebbero determinarne il collasso e la morte. Tale impoverimento di non ritorno, secondo stime riferite delle Nazioni Unite, all’attuale ritmo di sfruttamento di pesca, accadrà già nel 2048: l’anno di fine dei pesci. Che, in termini climatici e ambientali, è come se fosse tra una settimana.

Ed è un fatto che soltanto noi stessi possiamo farci subito qualcosa, almeno contenendo i consumi alimentari: un’occasione per non aspettare iniziative politiche tendenti ad arrivare sempre in ritardo, o magari per sveltirle.­­­­

Molto più che proteina vivente, la massa ittica è il respiro che ci collega alla vita su questa Terra.
Guarda e ascolta lo spot (solo 2’ e 18”) di “Il Suono del Mare” a questo link: https://www.facebook.com/seashepherditalia/videos/284182599175712/?v=284182599175712

È sottotitolato con il testo che segue, di fatto un ottimo riassunto dell’articolo:

«Uno strano suono è stato udito e pubblicato dall’apneista francese Guillaume Néry.

Ecco la storia di questo suono.

Abbiamo creato questo grido di dolore con 30 differenti suoni di animali morenti.

Abbiamo costruito un trasmettitore per diffondere questo suono sott’acqua.

Abbiamo piazzato il trasmettitore vicino alla costa francese, per essere sicuri che fosse finalmente udito dall’uomo.

È giunto il momento di ascoltare la sofferenza dell’Oceano.

Altrimenti l’Oceano rimarrà senza pesci entro il 2048.

Non aspettate che i politici riducano la pesca intensiva.

Il cambiamento parte dal tuo piatto.»

ASBI alla conquista del Giglio

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L’Associazione “ASBI – Albatros-progetto PaoloPinto-Scuba Blind International” eseguirà un nuovissimo Corso per formare nuovi istruttori e guide di subacquei non vedenti, all’Isola del Giglio, dal 30 aprile al 5 maggio p.v., in località Campese. Posti già esauriti da tempo

Di Romano Barluzzi. Foto ASBI.

Ma allora, se i posti sono già occupati, che ne parliamo a fare?”, si chiederà più di qualcuno. Infatti, per una volta, non lo facciamo perché nuovi potenziali iscritti ne vengano a conoscenza in tempo, ma proprio per riparlare ancor più liberamente del solito di questa realtà che accompagna la subacquea nazionale e internazionale, facendole anche da guida, da ormai quasi 15 anni. Nel senso che c’è stato – e c’è – un continuo riversamento di know how da questa ultra-specializzazione didattica a vantaggio della didattica dell’immersione in generale, soprattutto per quanto riguarda un maggior orientamento verso la conoscenza ambientale e naturalistica. Un po’ come dire che i subacquei non-vedenti hanno molto da insegnare, da trasmettere, ai normodotati.

È un concetto che già non risulterà troppo oscuro a coloro che siano almeno un po’ sensibilizzati verso le problematiche e le opportunità dell’insegnamento dell’immersione: ma diventa immediatamente chiaro a chi frequenta questo genere di corso di formazione.

Non a caso i corsisti al momento selezionati sono in totale una decina e “la scelta non è stata per niente facile”, dicono in ASBI, prima di aggiornarci sul fatto che “le richieste di ammissione erano oltre 40 già poco dopo l’ultimo EudiShow!”

E non è un caso nemmeno il fatto che i coadiutori al corso siano essi stessi sub non vedenti: qui non si fa alcuna simulazione “artificiale”, o meglio la simulazione situazionale viene usata, certo, in quanto prezioso elemento d’ausilio del metodo didattico, ma è rigorosamente naturale, cioè fatta eseguire in ambiti reali, con non vedenti veri; addirittura da loro stessi supervisionata e valutata! Si tratta dei veterani Elisabetta Franco, Antonio Tramacere, Roberto Polsinelli, Ada Ammirata. Completa il quadro uno staff didattico di primordine, con istruttori del calibro di Manrico Volpi (trainer), Nicola Fanelli, Vincenzo Ladisa, che sono stati tra i primi fautori dell’organizzazione e della metodologia ASBI.

Cinque giornate piene, ognuna dalle 8 alle 20, di impronta assolutamente pratica e in particolare acquatica marina (6 immersioni complete) è qualcosa che parla da sé. Anzi, ci piacerebbe invitare il lettore a un banale, autonomo confronto con gli standard didattici di tutte le altre organizzazioni di categoria… un invito che abbiamo già fatto in un precedente articolo; ma questa è un’altra storia, su cui non mancheremo di tornare!

Un passo indietro, come brevissimo inciso, per ricordare un ulteriore vanto del gruppo: questa nuova attività didattica è stata resa possibile dall’aver partecipato a un bando/concorso di raccolta fondi Vodafone, e quelli di ASBI hanno vinto con il progetto “Guida in un mareFluttuOSO con la OsoOgni Sport Oltre e Fondazione Vodafone Italia.

Contemporaneamente al corso formativo, ci saranno anche i turisti subacquei non vedenti già brevettati che godranno i fondali del Giglio proprio come qualsiasi altro subacqueo turista può fare, grazie al fatto che presso il diving o al proprio seguito come compagno si trovano un istruttore o guida specificamente preparati nella gestione di un non vedente in acqua. E stavolta arrivano un po’ da tutta Italia, nord e sud: Daniele Renda, Roberto Rabito, Marco Andreoli, Federico Lazzaroni, Riccardo Gallina…

Le già guide che hanno dato la loro disponibilità sono: Irene De Mitry, Mirco Ferro, Grazio Menga, Franco Costantini, Ettore Casaburi. 

Tutto lo staff soggiornerà a Campese, presso Hotel Campese, e logisticamente sarà il “diving Zero Meno” che assisterà il gruppo nelle uscite in mare.

Il sindaco del Comune, Sergio Ortelli, aprirà dunque le porte dell’isola del Giglio all’Associazione ASBI che per la prima volta sbarca nell’isola Toscana con gran parte del proprio entourage per un’altra esperienza che siamo certi resterà indimenticabile nel cuore di tutti.

Il Mare ti ascolta, il Mare ti parla

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Arriva con questo titolo l’edizione 2019 di Mare Nord Est, a Trieste dal 17 al 19 maggio p.v. È l’8^ volta della manifestazione. In formula completamente nuova e ricchissima: un grande raduno di sport outdoor, subacquatici e non solo. E la consueta messe di workshop, mostre, convegni e incontri vari

A cura della Redazione

Partiamo subito “alabarda in resta” con l’elenco delle iniziative e delle attività che caratterizzeranno maggiormente questa nuova edizione della celebre e sempre attesa manifestazione triestina dedicata al mare. Le iniziative di quest’anno sul mare e in bacino delimitato – con alcune novità assolute – infatti parlano già da sole e prevedono:

-Esibizione di Tuffi dalle Grandi Altezze

-Esibizioni di Nuoto Sincronizzato e gare di Nuoto e Tuffi

-Installazione di una piscina fuori terra per dimostrazioni di attività subacquee e sportive

-Pulizia dei fondali “Clean Water” che si svolgerà a livello provinciale e la Gara di Caccia Subacquea in

-Apnea di plastiche e immondizie

-Presentazione degli aggiornamenti sul Progetto (subacqueo) Scuttling-Parco Navale di Trieste

-Dimostrazione di cani da salvamento

-Una serie di conferenze e workshop con interventi di relatori di rilevanza nazionale e internazionale legate alle problematiche dell’inquinamento da plastiche

-Un progetto di educazione ambientale rivolto alle scuole del territorio regionale

-Mostra di fotografia e arte legata al Mare e premiazioni dei migliori progetti legati alla conservazione del Mare presentati dai ragazzi delle scuole

-Concerto musicale

Giunta dunque con crescente successo a questa 8^ edizione e particolarmente attesa in quanto ormai tradizionalmente integrata nel tessuto economico e culturale cittadino, la manifestazione Mare Nordest intende proporsi sempre più stabilmente come punto di riferimento delle attività per il mare, sul mare e del mare dell’intero Nord Est Adriatico.

L’evento, Coorganizzato dal Comune di Trieste, quest’anno è stato inserito nell’elenco dei Grandi Eventi della Città.

 

“Il Mare ti ascolta, il Mare ti parla” è il titolo di questa nuova edizione, forse per la particolare vicinanza logistica oltre che spirituale al mare: si terrà infatti sulle rive antistanti a Piazza dell’Unità d’Italia con la creazione del nuovo Villaggio Mare Nordest.

Location strategica e programma sono le condizioni essenziali per richiamare un vasto pubblico e tra i vari intenti che la manifestazione si propone c’è anche quello di promuovere e approfondire le tematiche legate alla conservazione dell’ambiente sollecitando così comportamenti virtuosi da parte dei ragazzi delle scuole di ogni tipo e grado che, come già ampiamente fatto negli anni precedenti, parteciperanno di certo in maniera ancora più attiva.

L’aspetto culturale e didattico della manifestazione sarà garantito dai vari seminari, dalle esperienze artistiche, dalle proiezioni di filmati e dalle mostre fotografiche che saranno allestite nel corso dell’evento. Sono previsti vari incontri di approfondimento sui temi “monitoraggio del mare”, “depurazione delle acque”, “inquinamento e microplastiche” e “laboratori e attività” a cura dei principali partner istituzionali scientifici di Mare Nordest, quali l’Università degli Studi di Trieste e l’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale — OGS.

 

Di grande rilevanza internazionale, grazie alla presenza di alcuni tra i più forti tuffatori a livello mondiale, sarà l’esibizione dei Tuffi dalle Grandi Altezze nella zona antistante Piazza dell’Unità d’Italia e nello specchio acqueo limitrofo al Molo Audace. Sarà un evento molto importante poiché dalla sua riuscita la città di Trieste potrebbe candidarsi a ospitare la prima edizione dei Campionati Europei di specialità.

Un evento di questo genere potrebbe portare alla città una ricaduta economica importantissima considerata la potenziale presenza di decine di migliaia di persone fatta registrare da iniziative analoghe svoltesi in altre sedi europee.

A tale proposito, l’organizzazione ha coinvolto anche il Campione Olimpionico Klaus Dibiasi onde poter garantire i requisiti richiesti dalla Federazione Internazionale e la Società Trieste Tuffi Edera 1904, sodalizio pluri-medagliato nel quale milita l’unico tuffatore italiano dalle Grandi Altezze, Alessandro De Rose.

 

Come ulteriore messaggio di attenzione verso il mondo marino è prevista l’ormai tradizionale “Pulizia dei Fondali” con la realizzazione della V edizione della Operazione Clean Water che richiama subacquei da tutto il Nord Italia e che quest’anno si allarga ulteriormente a tutta la provincia di Trieste e sarà affiancata da dimostrazioni di salvamento in mare con l’ausilio di unità cinofile della Scuola Italiana Cani Salvataggio.

Da segnalare inoltre le manifestazioni sportive correlate di nuoto sincronizzato e la gara di nuoto di fondo realizzate con la collaborazione di alcune delle Associazioni sportive più prestigiose del settore.

 

La splendida location, costituita quest’anno dalle Rive e dal Molo Audace e quindi dalla Zona antistante la Piazza principale della città, piazza dell’Unità d’Italia, nonché la creazione del nuovo Villaggio Mare Nordest, garantiranno come sempre il massimo e necessario coinvolgimento emozionale di tutti i visitatori, appassionati e non, richiamati dalle varie esperienze proposte.

 

Si prevedono dal punto di vista mediatico diversi appuntamenti televisivi e giornalistici di livello nazionale e locale. Non per caso la RAI Fvg ha dato il proprio patrocinio per l’uso del nome e del marchio.

 

Ulteriori informazioni sono disponibili sulla pagina ufficiale Facebook di Mare Nordest

(www.facebook.com/pages/Mare-Nordest-Trieste/694493867279347) e sul sito istituzionale www.marenordest.it.Nonché rivolgendosi ai seguenti riferimenti: E-mail: info@marenordest.it; Roberto Bolelli, cell. 3472203988; Edoardo Nattelli, cell. 3395091314; Tiziana Tassan, cell. 3409614124; Ufficio Stampa – Gianfranco Terzoli, cell. 3388313036.

 

 

 

 


“Il Trieste”

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Con questo titolo l’inedito libro qui recensito svela l’intreccio di rapporti umani che fecero attecchire e sviluppare le radici di un’impresa leggendaria: la discesa subacquea nella Fossa delle Marianne, a 11 km di profondità, nel cuore dell’oceano. Era solo il 1960. Eppure il mondo non fu più lo stesso. L’evoluzione di quelle radici è rimasta però dimenticata fino a oggi. Ed è tutta italiana

A cura di Romano Barluzzi

Una mega-cisterna da 50 tonnellate di benzina, più leggera dell’acqua, sopra. Un abitacolo sferico del diametro di 2 m, pressurizzato, d’acciaio spesso 9 cm, più pesante dell’acqua, “appeso” sotto. Dentro, 2 persone. Pesi di zavorra agganciati e staccabili con un dispositivo elettromagnetico. Un “aerostato subacqueo”, per salire e scendere nell’acqua anziché nell’aria: questo fu il batiscafo “Trieste”. Che nel 1960 raggiunse il fondo della Fossa delle Marianne a quasi 11 km di profondità, la massima rilevata sul pianeta Terra, con a bordo Jacques Piccard e Don Walsh.

 

Mancavano ancora 9 anni all’Apollo 11, la missione del primo sbarco di due uomini sulla Luna. Dalla quale 12 astronauti hanno camminato sul suolo lunare (compresi quei primi due, Armstrong e Aldrin). Mentre per replicare l’impresa compiuta da Piccard sul Trieste s’è dovuto attendere fino al 2012, allorché il regista James Cameron fece altrettanto, sebbene da solo. E ancora unico. Ma quanti sanno com’era fatto – e da chi era stato costruito e da chi progettato– il rivoluzionario batiscafo “sommergibile” Trieste? Ebbene, in questo libro c’è tutta la storia dimenticata che rese possibile di arrivare a compiere un’impresa allora incredibile come quella, in grado di cambiare il corso delle esplorazioni scientifiche subacquee. E che infatti cambiò il mondo.

 

Il “Trieste” ebbe issati su di sé fin nell’abisso più profondo del nostro pianeta gli emblemi rispettivamente della U.S. Navy (cui era passato in proprietà dopo il 1955) e lo stemma araldico rosso svizzero con l’alabarda Triestina. Come fu possibile che alla fine quell’impresa riuscisse ad assumere il significato del trionfo di un’eccellenza tutta italiana triestina, in particolare – e svizzera?

Ciò poté accadere perché quell’impresa basò le sue radici su un altro primato, conquistato ancor più a sorpresa ben 7 anni prima, nel 1953, allorché il batiscafo Trieste da poco realizzato fu testato in una intensa serie d’immersioni culminate con ben due tuffi da record storici a distanza di pochissimi giorni l’uno dall’altro: il 26 agosto del ’53 a – 1.080 m di profondità a Sud di Capri; e poco più d’un mese dopo, il 30 settembre, con addirittura i – 3.150 m di discesa nella Fossa Tirrenica, al largo dell’isola di Ponza.

 

Ma coloro che a livello ideativo – e qui sta la vera avventura riscoperta nel libro – avevano reso davvero possibili questi primi strabilianti successi mondiali erano state soprattutto tre persone e una città. La città fu Trieste (con tutte le sue vicissitudini post-belliche, quando si chiamò “TLT-Territorio Libero di Trieste”…), il cui contesto viene ripercorso in questo libro negli anni precedenti, a ritroso fino al 1948. Mentre per le persone si trattava del prof. Auguste Piccard, già detentore di 2 record di segno opposto, cioè di ascesa in altitudine, a bordo di abitacoli pressurizzati portati in quota da un pallone aerostatico, una tecnologia che gli fornì l’idea per costruire le navicelle pressurizzate da condurre in immersione sotto forma di batiscafo; di suo figlio il prof. Jacques Piccard; e di quella singolare figura di “collezionista di storia” che fu Diego De Enriquez, il triestino fautore del “Museo civico della Guerra per la Pace di Trieste”che gli è tutt’oggi dedicato. E – come il libro rivela – fu proprio lui, con la sua assidua, appassionata azione di coordinamento, l’iniziatore all’idea e il maggior propulsore per la costruzione del Trieste e per il compimento di quelle imprese.

 

Infatti, dagli incontri e dall’intesa tra questi tre personaggi, un sodalizio spirituale mai incrinato dalla distanza, radicato in spiccate affinità elettive circa la concezione illuminata e avveniristica di un mondo basato sulla pace e su quello che oggi chiameremmo “progresso sostenibile”, scaturirono i fatti e i rapporti che l’autore del libro Enrico Halupca fa riemergere dai diari inediti proprio di Diego De Enriquez per documentare in special modo l’arco temporale tra il 1948 e il 1955 in cui tutto avvenne. Anche se fu poi nondimeno dimenticato quasi del tutto fino a questo libro sorprendente di oggi.

 

«Lei, signor De Enriquez, mi ha spesso parlato dei suoi progetti per creare un mondo migliore e più pacifico, per utilizzare al meglio le buone volontà così numerose sulla terra. Come non pensare a Trieste, Territorio Libero, come a un centro ideale per espandere una cultura e una ideologia per la pace? Posta sui confini di due mondi così differenti, si potrebbe avere lì un’azione di primo piano». Così uno dei passaggi autografi dei rapporti epistolari fra i tre, questo in particolare è di una lettera di Jacques Piccard a Diego De Enriquez del 16 giugno 1948.

 

La Storia, quella materia antipatica a molti studenti che la giudicano – spesso fondatamente, per come viene presentata – “noiosa”, in questo “saggio raccontato” prende – anzi riprende – vita e attualità. Così questa storia – ne siamo certi – piacerà anche a loro. Perché le moltissime informazioni inedite scorrono, narrate con il ritmo coinvolgente e insieme rigoroso dei report dalle indagini per cronache da thriller. Perché riguarda una storia straordinaria di tecnologia e di progresso, ma anche di uomini visionari, nobili ideali, ardimento, fantasia, ingegno e perseveranza. Passioni, in una parola. All’insegna del più convinto pacifismo. E infine perché i protagonisti ebbero in sé e trasmisero quel genere di speranza di cambiare il mondo che forse a noi oggi manca. Perciò ci riuscirono.

 

Il libro verrà presentato in anteprima assoluta al grande pubblico anche nel contesto della manifestazione MNE – Mare Nord Est, in svolgimento a Trieste, il 17, 18 e19 maggio 2019: lo rintraccerete facilmente nel programma aggiornato sull’omonimo sito della manifestazione.

 

Scheda del libro – Titolo: “Il Trieste”. Autore: Enrico Halupca.Edizioni: “Italo Svevo – Accademia degli Incolti”, collana “I Germogli”. Finito di stampare: febbraio 2019. Pagine 154, formato pocket cm 12 x 18,5. Prezzo di copertina: € 14,00.

 

Post-scriptum: la sfera pressurizzata originale del batiscafo Trieste si trova tuttora conservata nell’U.S. Navy Museum di Washington. (Anche se è immaginabile quanto Diego De Enriquez l’avrebbe voluta nel “suo” Museo civico della Guerra per la Pace a Trieste – n.d.a.)

 

Monumento al Palombaro

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Sorgerà all’ingresso del MAS-Museo Nazionale delle Attività Subacquee, sede espositiva e storiografica dell’HDS-Italia in Marina di Ravenna, quest’opera bronzea ideata per celebrare la storia della subacquea italiana

Di Gaetano Ninì Cafiero.

La statua, in bronzo, è opera di Alberto Muro Pelliconi, un artista ben conosciuto da chiunque ami il mare come lui perché i colori degli oceani, le forme delle creature che lo popolano sono la sua prevalente fonte di ispirazione.

 

Ammettiamo la verità: noi dell’HDS-ITALIA alla prima occhiata diamo un’idea di stantio, di museale nel senso di polveroso. Abbiamo dei simpatizzanti, tuttavia, e questi frequentatori saltuari delle nostre manifestazioni non tardano a rendersi conto che la nostra è un’associazione di frenetici innamorati del passato quanto più remoto e maggiormente di quello conservato nei musei, perché nulla è più precario di questi luoghi istituzionalmente preposti alla conservazione di qualsiasi “cosa” abbia attinenza con il passato ma altrettanto istituzionalmente pronti a buttare in mare (per modo di dire) la “cosa” e  a sostituirla con un’altra più antica. Questa tempestività ha fatto sì che la nostra Society, sorta nel 1994, soltanto quattro anni dopo, nel 1998, abbia realizzato il MAS (Museo Nazionale delle Attività Subacquee) in cui è conservata la statua originale in gesso del “Cristo degli Abissi” plasmata dal Prof. Guido Galletti nel 1954 e ora posta sotto vincolo da parte della Soprintendenza.

 

Ed è così che nel 2016, nel corso di una riunione del CD dell’HDSI è scaturita l’idea di realizzare un “Monumento al Palombaro” da posare nel piazzale su cui si affaccia il MAS per dare il dovuto riconoscimento per le sue gesta a questa mitica figura di “Lavoratore del mare”, così come lo definì Victor Hugo nel suo libro del 1866.

Da allora ci si è messi in moto con schizzi, preventivi, ricerca di sponsor e richiedendo al Comune di Ravenna la necessaria autorizzazione alla posa, concessa il 31 gennaio 2018. Alla fine la realizzazione della scultura è stata affidata ad Alberto Muro Pelliconi che si è offerto di realizzare gratuitamente la statua quale suo personale contributo.

Il Monumento, ha le seguenti caratteristiche:

– altezza totale m 3,80.

– base ottagonale in pietra d’Istria, diametro 170 x h 30 cm.

– su questa è poggiato e vincolato un tubo in cemento precompresso  diametro 115 x h 100 cm. ricoperto al 100% da un pannello in mosaico, in cui sono raffigurati quattro diversi sistemi d’immersione, quello di Mariano di Jacopo (Taccola) del 1433, di Gulielmo da Lorena del 1531, di Niccolò Tartaglia del 1551 e di Giovanni A. Borelli del 1680.

– sopra il tubo poggia il basamento per la statua, sempre in pietra d’Istria, diametro 140 x h 20 cm.

– sopra il basamento è posta e vincolata la statua in bronzo h m 2,30 realizzata col processo della cera persa da una fonderia di Verona.

 

La cerimonia di inaugurazione del monumento avverrà nel tardo pomeriggio di sabato 15 giugno presso il MAS a Marina di Ravenna nel Piazzale Marinai d’Italia.

 

Desidero puntualizzare che così come il MAS è l’unico museo del genere in Italia e uno dei pochi nel mondo, anche il Monumento al Palombaro sarà l’unico del suo genere in Italia e l’ottavo nel mondo, e sarà un ulteriore fiore all’occhiello non solo per HDSI e Marina di Ravenna ma anche e soprattutto per tutta la subacquea italiana.

 

A chiusura invito chi è interessato può contattare Faustolo Rambelli (tel. 335.543.2810 – f.rambelli@iperbaricoravenna.it) per ogni maggior info sull’evento e iscriversi ad HDSI per sostenerne l’attività culturale (https://www.hdsitalia.org/come-iscriversi-hds-italia)

 

L’arcipelago di Dio

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Per quanto patria dell’Evoluzionismo, le isole Galapagos ti fanno respirare ancora il senso dei luoghi primordiali. Così ogni “naturalista nell’anima” sogna di andarci. Subacqueo o no. Ecco il nostro reportage inedito d’autore!

di Francesca Romana Reinero

L’arcipelago delle Galapagos è un complesso di isole vulcaniche ubicate sul versante pacifico dell’America latina, a sole due ore di volo da San Francisco de Quito, capitale dello stato dell’Ecuador e punto di partenza della mia esperienza “darwiniana”, oggetto dell’articolo.

Da amante del mondo sommerso e della subacquea, ho deciso di iniziare questo reportage di viaggio galapaghegno dal settore marino che, come quello terrestre, non mancherà di incantare tutti coloro che abbiano la fortuna di poterlo ammirare.

Ricche di esotiche insenature e tormentati isolotti vulcanici, le Galapagos offrono molteplici possibilità di immersione e snorkeling; tuttavia, per chi avesse poco tempo a disposizione e sufficiente pratica con la subacquea, un’esperienza simbolo che sicuramente consiglio di non perdere è quella presso il Leon Dormido o Kicker Rock, un complesso roccioso di origine vulcanica ubicato a largo dell’isola di San Cristobal, nel settore sud-occidentale dell’arcipelago. Imponente monumento alle forze interne della Terra, questo è raggiungibile esclusivamente via mare, con un tempo di percorrenza di circa 45 minuti durante i quali è facile avvistare leoni di mare, fregate e delfini che giocano nella scia della barca.

Il Leon dormido è un sito di passaggio per gli squali martello (Sphyrna lewini), principale, ma non unica, attrazione del tour.

Nel corso dei 95 minuti complessivi delle due immersioni previste dal diving di riferimento, a 30 metri di profondità, ho potuto riprendere un gruppo formato approssimativamente da 30-40 esemplari, piccola testimonianza dell’abbondanza faunistica delle acque galapaghegne, dove ho avuto la fortuna di interagire con la più grande “sfera” di pesce di tutta la mia carriera da subacquea.

Intorno a me, come un unico elemento, si muovevano in sincronia migliaia di pesci uniti nel tentativo di sfuggire (refuging social system) ai leoni di mare e ad altri predatori che si sono lanciati a tutta velocità nella mischia, nella speranza di ottenere un facile pasto.

Questo tipo di “formazioni” offrono sicuramente possibilità uniche per i fotografi subacquei, ma occhio alle collisioni poco gradite: l’abbondanza di pesce e la considerevole torbidità dell’acqua, unica nota dolente dell’intera esperienza marina, potrebbero favorire “incontri ravvicinati del terzo tipo”…possibilmente da evitare!

La torbidità delle acque galapaghegne trova spiegazione negli imponenti fenomeni di upwelling (flussi ascensionali) responsabili della proliferazione planctonica; questa condizione, unitamente alla forte risacca che si sviluppa in prossimità delle scoscese pareti del Leon dormido e a correnti piuttosto intense, non rende quest’immersione adatta a diver con poca esperienza o facilmente impressionabili.

Madre Natura talvolta vende cari i suoi tesori; tuttavia, in assenza del peculiare e complesso gioco di correnti cui sono soggette le Galapagos, conseguenza di fattori di natura geografico-atmosferici e geologici, esse non godrebbero delle attuali caratteristiche chimico-fisiche che rendono questo arcipelago un Paradiso della biodiversità.

Istituita nel 1986 e designata dall’UNESCO come “World Heritage Site” nel 2001, la riserva marina delle Galapagos, che attualmente pone sotto tutela circa il 32% delle acque circostanti l’arcipelago, ospita approssimativamente 34 diverse specie di squali, numerosissime specie di pesci ossei e molteplici altre forme di vita di ambiente marino appartenenti alle classi Aves, Mammaliae Reptilia: a quest’ultimo raggruppamento sistematico appartiene una delle specie più rappresentative dell’intero arcipelago: l’iguana marina (Amblyrhynchus cristatus).

Specie endemica delle Galapagos, l’iguana marina è leggenda tra gli studenti di scienze naturali in quanto tipico esempio di termoregolazione comportamentale e fisiologica tra gli organismi puramente ectotermi (sono le forme di vita che ricavano gran parte del calore corporeo da fonti esterne piuttosto che dall’attività metabolica delle cellule, come invece accade negli organismi endotermi).

L’abbassamento della temperatura corporea causato dalle frequenti incursioni a scopo alimentare nelle acque relativamente fredde dell’arcipelago (interessato dalla corrente antartica di Humbolt e dalla risalita della corrente di profondità di Cromwell), genera nelle iguane marine uno stato di torpore che rende questi animali fotomodelli piuttosto facili da immortalare.

Si noti che alle Galapagos, per legge, è necessario mantenere dagli animali una distanza superiore ai due metri; pena il taglio delle mani! Chiaramente trattasi di uno scherzo; tuttavia, a vantaggio dei futuri visitatori, è opportuno sottolineare che in queste isole il patrimonio faunistico è preso in grande considerazione e le infrazioni delle regole non passano certo sottobanco.

Nel caso specifico dell’iguana marina, la distanza obbligata, più che un’imposizione giuridica è una precauzione necessaria; esse sono infatti dotate di ghiandole nasali (finalizzate alla rimozione dei sali in eccesso assunti attraverso alghe e acqua di mare), dalle quali concrezioni saline sono periodicamente “eruttate” nell’ambiente esterno con somma gioia dei fluidi organici e degli oculisti degli incauti fotografi (non me ne vogliano gli erpetologi).

Il primo incontro con questi particolari rettili è avvenuto presso Bahìa Tortuga, ambita meta paesaggistica dell’isola di Santa Cruz, che non mancherà di stupire i visitatori con la sua sabbia fine e bianca in netto contrasto con le nere e contorte pietre laviche dell’isola, dominio di una vegetazione primordiale che si deve piegare ai vasti spazi dell’oceano Pacifico.

Nel settore più riparato di questa baia spazzata dal vento è possibile trovare ristoro in una piccola laguna delimitata da un rigoglioso mangrovieto, dove non è mancata l’occasione di osservare, tra i vari, piccoli di squalo pinna nera, tartarughe verdi del Pacifico, aggregati di giovani razze, granchi dal vistoso carapace arancione e blu (sally lightfeet crab) e le immancabili iguane di mare.

Per raggiungere la baia delle tartarughe, è necessario percorrere un tragitto pedonale, non riparato, della durata di circa 20-25 minuti (passo CAI); l’esposizione al caldo sole dell’Equatore potrebbe indurre gli incauti visitatori ad un immediato tuffo in mare, ma Bahìa Tortuga non è un luogo da prendere alla leggera a causa delle sue forti correnti che non consentono ovunque la balneazione.

Massima attenzione perciò alle indicazioni della guida, obbligatoria per regolamento, all’interno del Parco Nazionale delle Galapagos, di cui fa parte l’intero territorio di Santa Cruz, fatta eccezione per le aree dove sorgono i tre centri rurali dell’isola: Bellavista, Santa Rosa e Puerto Ayora.

Puerto Ayora è il centro abitato più grande di Santa Cruz e il più densamente popolato dell’intero arcipelago: è in questa confusionaria cittadina portuale, dove i leoni di mare delle Galapagos dormono indisturbati sulle panchine della banchina, che si concentrano gran parte delle attività turistiche della zona, rese estremamente floride non solo dalle bellezze naturalistiche dell’isola, ma anche dalla disponibilità di infrastrutture e dalla vicinanza al “Baltra Aeroporto Galapagos Seymur”, principale via di collegamento con il continente.

Nel settore orientale di Puerto Ayora, sorge la stazione di ricerca “Charles Darwin”, attiva dal 1964 nella promozione di progetti di ricerca finalizzati alla conservazione dell’integrità biologica delle Galapagos; sono molteplici le informazioni che sono fornite nelle aree destinate al pubblico, spunto per riflessioni sulla posizione dell’uomo rispetto alla natura, fonte di eterna lotta tra darwinisti e creazionisti.

La parte più toccante di questo tour dedicato al mondo della scienza, è stata sicuramente la visita alle spoglie tassidermizzate del “solitario George”, ultimo esemplare di tartaruga gigante dell’isola di Pinta (Chelonoidis abingdonii), definitivamente estinta a partire dal 24 giugno del 2012, data della sua morte.

Ma è realmente così?

Studi di natura genetica sembrerebbero indicare il contrario: ad esempio sono stati identificati 17 ibridi di C. abingdoniinella regione di Volcano Wolf, sulla punta settentrionale dell’isola di Isabela nel settore centro-orientale dell’arcipelago delle Galapagos; questa realtà potrebbe indicare la presenza di esemplari puri nella popolazione di quest’isola, dove alcuni soggetti potrebbero aver trovato rifugio in seguito al naufragio delle navi sulle quali erano trasportate come riserva alimentare.

Solo ipotesi? Forse… Tuttavia si dice che la speranza sia l’ultima a morire e, a tal proposito e per fortuna, i “lieti fine” non sono poi così rari nel campo della conservazione della natura, settore in cui la volontà di tutelare la biodiversità della Terra spesso deve scontrarsi duramente con problemi di natura etica.

Nel 2012 era stata ipotizzata la possibilità di un tentativo di clonazione di George, proposito sentimentalmente meraviglioso, ma eticamente corretto?

Sono molte le cause storiche che sembrerebbero aver favorito l’estinzione della tartaruga gigante dell’isola di Pinta, alcune delle quali di origine strettamente naturale (e.g mancanza di diffidenza nei confronti dell’uomo, conseguenza dell’isolamento geografico delle isole, ridotta capacità motoria di questi animali) e altre di origine puramente antropica (e.g introduzione di competitori e predatori alloctoni e prelievo per fini alimentari e ricreativi).

Come riportato in precedenza, al “fattore umano” – almeno in apparenza – è sopravvissuto esclusivamente George, oggetto di considerevoli sforzi, a fini riproduttivi, durante la sua permanenza presso la stazione di ricerca Charles Darwin, dove George viveva in compagnia di femmine fertili di specie affini.

L’uomo ha tentato di salvare il C. abingdonii dall’estinzione, ma la Natura si è imposta e George è morto senza lasciare eredi.

È stato perciò l’uomo carnefice o pedina? È dunque giusto riportare in vita ciò che è morto? Ai posteri l’ardua sentenza.

Dopo queste dissertazioni alla “Ian Malcolm” di Jurassic­­­ Park, direi che possiamo tornare a dedicarci all’isola di Santa Cruz ed in modo particolare alla riserva naturale di “El Chato”, ubicata nella parte alta dell’isola, all’interno del parco nazionale delle Galapagos, a circa 20 minuti di macchina da Puerto Ayora.

Dominio incontrastato della Chelonoidis nigra porteri (una delle 14 sottospecie di tartaruga gigante presenti nell’arcipelago), è da segnalare la visita pseudo-speleologica al tunnel di lava, affascinante testimonianza della natura vulcanica delle Galapagos (vulcanismo da punto caldo): queste particolari formazioni vulcaniche, che raggiungono la massima espressione in Islanda e nelle isole Hawaii, devono il loro nome alla caratteristica conformazione tubulare da attribuire ad un flusso di lava particolarmente fluida (lava basaltica) che scorre al di sotto del sottile strato superficiale solidificato a causa della rapida perdita di calore.

Camminando al di sotto della bassa volta convessa del tunnel, non è difficile pensare alla Terra come ad un’entità vivente i cui tunnel di lava altro non sono che la parte vascolare di un complesso sistema circolatorio, destinati a veicolare la lava, prezioso fluido vitale, al resto del corpo.

In quest’ottica biologica l’uomo deve solo scegliere il proprio ruolo: anticorpo o cellula tumorale? Io ho scelto e voi?

Dall’Ursus i tuffi estremi!

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Ormai la notizia è certa, anche se l’ufficialità verrà data domani lunedì 13 maggio, in conferenza stampa: il pontone Ursus farà da palcoscenico alla manifestazione dei tuffi da grandi altezze che si terrà durante MareNordest

La Redazione. Foto by MareNordest

E dunque ci siamo, possiamo dare l’anticipazione di ciò che domani in conferenza stampa verrà di certo confermato dalla prevista ufficializzazione (e che del resto è già uscito ieri nei media locali): durante l’attesa tre giorni di MareNordest, il 17, 18 e 19 maggio prossimi, a Trieste, l’evento clou del programma di iniziative out-door, cioè quello dei tuffi dalle grandi altezze, avrà come base nientemeno che il mitico pontone Ursus!

La possente gru storica, talmente antica, simbolica della tradizione cantieristica portuale e ricca di fascino per aver legato a sé i destini – lavorativi e non solo – di tanto popolo triestino ed esser diventata nel tempo ormai l’iconico emblema stesso della città, sarà la “base di lancio” da cui spiccheranno il volo gli atleti tuffatori delgran circo del “Red Bull world series”, ossia dei tuffi dalle grandi altezze, che tra pochissimo sposterà qui le sue tende.

Certo che i 27 metri necessari per la spettacolare competizione non sembrano neanche tanti rispetto a tutti quelli dell’altezza complessiva dell’Ursus; però lo sono eccome, nell’ottica di chi si tuffa e di chi – trattenendo il respiro come lui – lo guarderà!

La prova che attende al varco questi tuffatori dell’estremo non è infatti priva di rischi: può bastare un ingresso in acqua anche lievemente disassato rispetto alla verticalità per comportare danni all’organismo anche gravi! D’altronde la verticalità unita alla velocità di perforazione della superficie del mare in un salto da 27 metri d’altezza significano raggiungere sott’acqua una notevole profondità in una frazione di secondo. In pratica, tutto ciò significa che sussistono anche rilevanti aspetti prettamente subacquei e tecnici nell’assistenza e nel salvamento che dovesse rendersi necessario in questo tipo di contesto.

Non a caso da molti giorni le equipe dei soccorritori acquatici e subacquei si stanno addestrando e mantenendo in allenamento in tutti i modi possibili – sia in bacino delimitato sia in acque libere – compreso l’impiego di particolari attrezzature, come certe barelle “spinali” acquatiche, in grado cioè di mantenere fermamente in asse la schiena dell’infortunato anche mentre viene mobilizzato in acqua.

Ciò è parte integrante di quel concetto generale di “sicurezza globale” che deve essere garantita e che costituisce pertanto la priorità assoluta, in tutte le fasi di allestimento e svolgimento, dunque anche nei preparativi febbrili di queste ultimi giorni della struttura a piattaforma solidale all’Ursus da cui salteranno nel vuoto gli atleti.

Non resta che darci appuntamento sulle Rive triestine, nel mare antistante piazza Unità d’Italia, a fianco del Molo Audace, per questo spettacolo assoluto dei tuffi dall’Ursus e per l’intera kermesse di MareNordest, di cui potete trovare tutto il programma dettagliato sul sito https://www.marenordest.it/

VI EDIZIONE REBREATHER MEETING

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Assume connotati sempre più internazionali la biennale organizzata dal Ponza Diving di Andrea Donati e Daniela Spaziani, dedicata a possessori, utilizzatori e appassionati di apparati a circuito chiuso

di Claudio Budrio Butteroni

Tra gli intervenuti per l’occasione anche i giornalisti statunitensi Michael Menduno, della rivista di settore “aquaCORPS” e Peter Symes di “X Ray mag”, oltre ad altri partecipanti provenienti da Inghilterra, Polonia, Danimarca, Canada e Nuova Zelanda.

Il palinsesto posto in atto ha visto la conferma della formula già sperimentata nelle edizioni precedenti che prevedeva la mattinata dedicata alle immersioni e le conferenze, presso il polo museale di Ponza, nel pomeriggio.

Assente qualsiasi forma di promozione commerciale, i relatori intervenuti rappresentano quanto di più autorevole possa essere proposto in ambito tecnico e scientifico alla comunità subacquea.

Riepiloghiamo in breve lo svolgimento delle immersioni e i contenuti degli interventi:

2 MAGGIO 2019

 

Immersione allo Scoglio della Botte

lo scoglio della botte è un isolotto a circa 8 miglia a sud est dell’isola di Ponza caratterizzato da una parete che scende velocemente verso il fondo posto alla quota di circa – 70 metri; e da tre versanti che degradano invece più dolcemente. Il luogo di maggiore interesse è rappresentato da due piccoli massi, distaccati pochi metri dalle pendici dello scoglio, in cui è possibile ammirare degli esemplari di Corallo Nero. La franata è invece caratterizzata da una serie di piccoli anfratti dove è possibile ammirare parazoanthus, claveline, oltre a pesce di tana e di passo.

 

Al rientro in porto, dopo aver consumato il pranzo a bordo del Nettuno II, hanno inizio i lavori conferenziali cosi articolati:

 

Dott. Pasquale Longobardi, Direttore Sanitario del Centro Iperbarico di Ravenna e presidente del SIMSI:

 

Helium-induce organ protection from the bad infiammation and benefit for decompression.

Nuove frontiere in materia di Patologie Da Decompressione che vedono il superamento del concetto delle bolle che occludono il vaso sanguigno e che invece individuano le microparticelle, derivanti da lesioni dell’endotelio, quali responsabili del processo infiammatorio scatenante le PDD.

Benefici derivanti dall’utilizzo dell’elio nelle miscele respiratorie.

 

Mr. Mark PowellIstruttore CCR e autore del libro “Deco for Divers” ed. Underwater Frontiers:

 

Training doesn’t work.

Perché l’addestramento non funziona?

Illustrazione delle linee guida dettate dal DAN per un migliore addestramento (pesata, assetto, pianificazione ed attenzione nell’utilizzo dei gas, attenzione ad una corretta risalita, utilizzo delle Checklist) oltre ad altri punti di attenzione (utilizzo e verifica dei sensori, scenari di emergenza, verifica del funzionamento dell’equipaggiamento, attenzione a cosa accade attorno a noi, utilizzo del team).

Concetto di “apprendimento” ovvero:

– acquisizione di informazioni e skill mediante studio ed esperienza;

– memorizzazione delle informazioni;

– cambiamento PERMANENTE delle abitudini e dei comportamenti.

 

Il superamento della Zona di Confort in immersione e interventi su altri fattori per la mitigazione del rischi.

Prof. Simon Mitchell Professore Associato presso l’Università di Aukland:

 

In-water recompression: a rewiew of evidence and recommendations

Ricompressione in acqua ad un subacqueo con sintomi di PDD. Come e quando?

Studiati i benefici della tempestiva ricompressione di un subacqueo al primo insorgere dei sintomi di PDD, questa eventualità sino ad ora scongiurata è stata invece sdoganata avendo ricevuto un OK da parte di un comitato medico internazionale.

 

ATTENZIONE. Ma come e quando?

 

Le condizioni per valutare una ricompressione in acqua di un subacqueo sono:

-Sintomi di PDD Tier II (dolori articolari, mdd sottocutanea o linfatica) o Tier III (paralisi o sintomatologia seria)

-Nessuna possibilità di accesso immediato (entro due ore) a un centro di trattamento provvisto di camera iperbarica.

-Progressivo aggravamento dei sintomi.

-Nessuna controindicazione alla ricompressione in acqua.

-Consenso da parte del TEAM e presenza di personale adeguatamente addestrato.

-Condizioni ambientali idonee (presenza di stazione decompressiva e condizioni meteomarine favorevoli).

 

Dr. Massimo Pieri DAN Europe:

 

The technical diving DAN data base: diving modalities, habits, echigraphic and doppler bubble monitoring, risk factors, incidents and accidents.

Illustrazione delle modalità di monitoraggio ed acquisizione dati da parte di DAN Europe e pubblicazione delle statistiche che hanno visto classificare come immeritati (tutte le regole erano state rispettate) il 57,6% delle PDD catalogate.

3 MAGGIO 2019

 

Immersione alla Secca di Gioia:

È una delle nuove mete di immersione posta a catalogo dal Ponza Diving per le stagioni a venire situata nel tratto di mare tra Ponza e Zannone. Il cappello è situato a una profondità di circa 58 metri, mentre nel punto di maggiore profondità raggiunge circa gli 80 metri. L’estensione della secca è modesta e può essere esplorata interamente anche con una sola immersione. Non è necessario raggiungere la massima profondità per ammirare corallo rosso, spirografi, gorgonie gialle e rosse, astrosparthus oltre a grossa varietà di pesce.

 

Nelle prime ore del pomeriggio, riprendono i lavori presso una sala del museo di Ponza con il seguente programma:

 

Dr. Neal Pollock ricercatore in Medicina Iperbarica alla Laval University – Quebec

 

Defensive dive profile planning

La pianificazione di profili difensivi.

Quando lo stress di una immersione diventa eccessivo? La tecnologia ci aiuta nella programmazione delle nostre immersion mettendoci numerosi strumenti a disposizione, e questo può indurci a sottovalutare lo stress derivante dall’immersione che ci accingiamo a compiere.

Molti di noi si affidano totalmente ai software di pianificazione, ma non è detto che questi algoritmi siano validi per la totalità dei subacquei.

Alcuni modelli di calcolo, rispetto ad altri, riescono a tagliare i tempi di decompressione del 50%. Ma sono profili difensivi?

Viene confermata l’inefficacia dell’utilizzo dei deep-stop i quali, al contrario di quanto auspicato, comportano la produzione di maggiori bolle. Pertanto l’elaborazione di un profilo maggiormente difensivo può essere ottenuta mediante le impostazioni di conservativismo con GF 35/65, e con il prolungamento dell’ultima tappa decompressiva dei 6 metri, oltre quanto indicato da computer e/o pianificatore.

Dott. Alessandro Marroni Presidente Dan Europe

 

Real time monitoring of physiological and haematological parameters while and around diving: echographic and Doppler bubble monitoring during real altitude exposure after diving . The underwater blood draw project: methodology and first results.

Underwater telemedicine: the future of DAN Europe filed research. Wearable technologies for intelligent dive computers and diving gears, wireless water to surface dive safety and physiological data transmission, alarm center monitored diver geo-location and bidirectional telemedicine.

I data base di Dan raccolgono diverse decine di migliaia di profili di immersioni. Per molti di questi sono disponibili anche i dati relative ad esami doppler, ecocardiogrammi, elettrocardiogrammi, test ematologici e test urinari per la determinazione dei parametri di idratazione.

Da ciò è stato anche appurato che esiste una correlazione tra la produzione di bolle e il differenziale della temperatura corporea pre/post immersione. Maggiore è stata la perdita di temperatura durante l’immersione, maggiore sarà la produzione di bolle.

 

Mentre la raccolta di informazioni fino ad ora è avvenuta pre e post immersione, ora si sta iniziando a raccogliere dati durante l’immersione e ciò ha permesso di rilevare alcuni dati inaspettati, come ad esempio casi di presenza di bolle nella fase di discesa, quando invece non avrebbero dovuto esserci. I prelievi di sangue eseguiti sul fondo hanno inoltre consentito di rilevare variazioni degli ossidi nitrici che non si pensavano essere così rilevanti.

Il futuro prossimo è ora rappresentato da strumenti diagnostici indossabili che consentono la trasmissione di dati via Sound Line anche in modalità bidirezionale.

 

È stato poi presentato il progetto AVATAR (Advanced Virtually Assisted Telemedicine in Adverse Remoteness) che ha consentito, ad un subacqueo monitorizzato, la trasmissione di dati e/o segnalazioni di emergenza, dal fondo del mare alla superficie e da qui a una centrale di allarme situata a migliaia di chilometri di distanza, ricevendo poi di contro un feed back da parte della centrale di allarme medesima.

Prof. Simon Mitchell

 

Human Factor: the biggest but hardest rout to safety in technical diving.

Da una ricerca fatta è emerso che dal 1998 al 2000 è stata registrata una media di circa 20 decessi/anno tra i CCr divers. Tuttavia non conosciamo ne il numero dei subacquei in attività e nemmeno il numero di immersion fatte.

Dal 1994 al 2000 sono state rilasciate circa 18.000 certificazioni per immersioni con rebreather per cui è stata stimata la presenza di circa 15000 rebreather divers in attività. Ciò porta a stimare, nella comunità degli utilizzatori di CCr, una media annua di 133 decessi ogni 100.000 divers.

Nella subacquea a Circuito Aperto l’incidenza annua dei decessi ammonta invece a 16 ogni 100.000 subacquei.

Questa discrepanza è in parte derivante dal fatto che l’utilizzatore di CCr normalmente effettua immersioni maggiormente complesse rispetto a chi utilizza dispositivi a circuito aperto.

 

La maggior parte degli eventi fatali sono tuttavia riconducibili ad ERRORI (contravvenzioni involontarie di regole e protocolli) o VIOLAZIONI (contravvenzioni volontarie di regole e protocolli).

 

Com’è possibile intervenire affinché ciò non accada?

 

Gli errori sono prevedibili mediante l’utilizzo di una breve checklist che elenchi i quattro controlli che risultano causa della maggior parte di incidenti per errori: verifica accensione strumento e PO2, verifica apertura bombola ossigeno, verifica by-pass manuale O2 e Diluente, verifica collegamento frusta gonfiaggio stagna.

 

La cosa appare più complessa per quanto concerne la prevenzione delle violazioni, connesse solitamente ad atteggiamenti “antiauthority” ed atteggiamenti “macho man”.

Per questa tipologia di problematiche la strada è più complessa, dovendosi lavorare sulla cultura e sul modello di ruolo.

 

Edoardo Pavia nel doppio ruolo di esploratore subacqueo e traduttore

 

Rebreather: how can we improve safeness

Da parte di Edoardo Pavia si è provveduto ad un approfondimento degli Human Factor ed in particolare dei punti di debolezza da migliorare al fine di ottenere maggior sicurezza.

Anche lui concorde sulla necessità di sviluppare l’utilizzo delle checklist al fine di ridurre gli errori dei subacquei, ha poi focalizzato l’attenzione sull’insana e crescente tendenza all’utilizzo di materiali di consumo non conformi a quanto indicato dal fabbricante.

Il riferimento è in primo luogo al materiale filtrante. In numerosi incidenti fatali è stato riscontrato l’utilizzo di assorbenti diversi da quelli indicati dai costruttori, caratterizzati da performance più scadenti, senza che si sia tenuto conto della minor durata dell’effetto filtrante. In un caso è stato persino accertato l’uso di assorbente ospedaliero, utilizzabile esclusivamente in condizioni normobariche!

Altra criticità rilevata è stata quella relativa all’utilizzo di sensori non conformi a quelli indicati dal fabbricante e/o di tenuta in esercizio dei sensori per un periodo oltre i 12 mesi (che rappresenta la durata massima di utilizzo).

Si è poi discusso di dispositivi, la cui reale utilità è molto dibattuta: il bov, il sensore di Co2, il tempstick e il Cell Checker.

4 MAGGIO 2019

 

Purtroppo le impietose condizioni meteo hanno imposto una modifica della programmazione. Viene delistata l’immersione della mattina, programmata sullo storico relitto dell’LST a Punta Papa per consentire le ultime esposizioni delle relazioni e anticipare la partenza dall’isola alle prime ore del pomeriggio.

 

Questo il resoconto dell’ultima giornata:

 

Dr. Neal Pollock

 

Concerns of the Aging Diver

Interessante intervento finalizzato all’analisi dell’invecchiamento della comunità subacquea, ed delle problematiche derivanti da tale invecchiamento.

 

Per poter perseverare nell’immersione tecnica è necessario in primo luogo dare la massima importanza alla forma fisica.

In secondo luogo, oltre alla imprescindibile visita medica annuale, è opportuno coinvolgere il proprio medico ogni qual volta si verifichino eventi clinici più o meno rilevanti ovvero anche la prescrizione di nuovi medicinali.

Infatti non tutti i medicinali sono compatibili con l’attività subacquea e non tutti gli organismi reagiscono nella stessa maniera alla somministrazione di farmaci.

Arriverà poi il momento in cui sarà opportuno smettere. Quando sarà giunta la nostra ora non mentiamo a noi stessi. Il rischio sarebbe troppo elevato.

 

 

Mr. Bruce Patridge proprietario Sharewater

 

The changing fatality rate as rebreathers become more common.

Dopo una rapida presentazione dell’azienda Sharewater, Mr. Patridge si è soffermato sull’analisi delle cause degli incidenti subacquei nei quali la sua azienda, in qualità di costruttore e gestore del software, è stata coinvolta per le consulenze tecniche di rito.

Su circa 600 eventi fatali registrati, solo 40 sono imputabili a un malfunzionamento del rebreather, mentre gli altri sono imputabili a errore del subacqueo.

 

Cosa fare per migliorare?

 

Per quanto riguarda i costruttori, recenti normative hanno dettato obblighi e regolamenti a cui debbono attenersi.

Si tratta dell’allegato B alla normativa CE 14143, e la certificazione ISO9001 per il processo di costruzione.

Per quanto concerne i subacquei invece, gli archivi di Sharewater registrano circa 16 incidenti l’anno a fronte di migliaia di CCr venduti. Circa il 90% di questi incidenti sono imputabili a due cause: bombola dell’ossigeno chiusa e sensori scaduti.

Anche in questo caso l’utilizzo della checklist viene individuato come strumento atto alla prevenzione degli errori.

È necessario inoltre sensibilizzare la comunità subacquea affinché si presti maggiore attenzione alla manutenzione delle attrezzature e in particolare alla periodica sostituzione dei sensori di O2.

Ultime raccomandazioni sono quelle di evitare distrazioni e/o di distrarre gli altri subacquei durante la preparazione, e di incrementare le difficoltà delle immersioni praticate in maniera progressiva.

 

I lavori vengono chiusi alle 12:30 e ci si dà appuntamento per il conviviale di fine evento presso il ristorante EEA, una splendida terrazza con vista sul porto di Ponza.

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