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Arriva un bastimento carico di… Alieni!

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Al Festival della Scienza presso l’Acquario di Genova un interessantissimo incontro-convegno sulle specie aliene marine che ci stanno “invadendo” e che i subacquei possono incontrare ormai quasi in ogni immersione.

La Redazione

Festival della ScienzaSi svolgerà giovedì 2 novembre dalle ore 17:00 presso l’Auditorium dell’Acquario di Genova, all’interno della 15a ed. del Festival della Scienza, l’incontro: “Contatti Alieni – Gli alieni sono già tra noi! Dove? In mare!” promosso dall’Associazione 5 Terre Academy in collaborazione con il DLTM (Distretto Ligure delle Tecnologie Marine) l’ISMAR-CNR (Istituto di Scienze Marine del CNR) e l’INGV (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia).

Una decodifica del tema del festival (“Contatti”) in ambito marino e che porterà il pubblico alla scoperta delle numerose specie aliene, ovvero provenienti da altri mari, che ormai popolano da tempo anche il “nostro” Mar Mediterraneo. L’incontro permetterà di capire inoltre le numerose cause responsabili di questa “invasione” (sono già oltre 900 le specie censite nel 2010, tra cui il pesce scorpione scelto come simbolo della locandina dell’evento come richiamo al Giappone, Paese Ospite del Festival della Scienza) e le possibili trasformazioni che vedremo in futuro, in tutti i mari e oceani del nostro pianeta.

Personaggi del calibro del Prof. Ferdinando Boero dell’Università del Salento, la dott.ssa Francesca Garaventa e il dott. Marco Faimali del CNR ISMAR, si alterneranno nel ruolo di relatori, intervistati dal giornalista scientifico Leonardo D’Imporzano.

Contestualmente alla conferenza si svolgeranno – nella Sala Blu dell’Acquario di Genova – quattro laboratori ludico-didattici realizzati all’interno di un progetto di Alternanza Scuola-Lavoro con il coinvolgimento di studenti e docenti di tre istituti spezzini, il Liceo Classico “Costa”, il “Capellini-Sauro” – Liceo Scientifico delle Scienze Applicate e il Liceo Scientifico “Pacinotti”. Laboratori dedicati al pubblico più giovane per spiegare, attraverso semplici esperimenti, concetti di oceanografia quali temperatura, salinità e densità dell’acqua di mare, correnti marine e costiere; cambiamenti climatici e di ecologia con l’interazione fra organismi viventi, perdita di biodiversità, inquinamento marino.
Cercando quindi di spiegare, da una parte, i principali meccanismi di diffusione, dispersione e distribuzione delle specie aliene e, dall’altra, le conseguenze di questi “contatti” sugli habitat marini e sulla vita umana.


Immersione sul FockeWulfe 58 C (Bourget du Lac)

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Realizzazione di un progetto del gruppo 7/70, ecco la cronistoria di una moderna esplorazione subacquea su un relitto d’aereo ancora tra i meno noti e più meritevoli di approfondimenti.

A cura di Giorgio Anzil. Testo e foto del “gruppo 7/70”.

Cenni storici
Con riferimento tratto da quanto riportato in un articolo di Oscar Corna e Fulvio Finazzi, il Focke Wulfe 58 C “Weihe” era un aereo polivalente in quanto era stato progettato per poter assolvere a diversi compiti tra i quali il trasporto merci, il trasporto feriti e l’aereo scuola. Era lungo 14 m, aveva un’apertura alare di 21 m, era motorizzato con due Argus AS V-8 da 240 Cv che gli permettevano di raggiungere i 280 Km/h e aveva un’autonomia di circa 1.600 Km. Il Focke Wulfe 58 C decollò da Bron alle ore 13:15 di martedì 30 Marzo 1943 con quattro uomini a bordo. Si diresse verso le Alpi, sorvolò la città di Châtillon Chindrieux e dopo circa 40 minuti di volo si accinse a ritornare alla base sorvolando il lago in direzione nord-sud. Quello era l’ultimo giorno di insegnamento di uno studente e vi era l’usanza (non autorizzata) di eseguire un volo radente sopra il lago. Sebbene questa manovra non fosse consentita, il pilota istruttore, Ernst Chronz, fece picchiare il proprio aereo. Per qualche ragione sconosciuta (forse per l’effetto “specchio” che non consente di stimare correttamente le distanze) l’aereo colpì la superficie dell’acqua e si inabissò. Nell’incidente perirono il pilota, Ernst Chronz, ed uno studente, il caporale Kurt Becker. Il 2° studente, Rudolph Schiere, ed il radio-operatore, caporale Otto Steinbach, scamparono miracolosamente sia all’incidente sia all’ipotermia dovuta alle gelide acque del lago (in quel periodo dell’anno, la temperatura dell’acqua non supera i 3°C).

L’idea e l’organizzazione
Nel 2016 nasce il “gruppo 7/70”, tutta gente con la passione per il “ferro”, da qui l’idea di fare esplorazioni particolari, tra queste quella di visitare questo aereo nelle gelide acque di Bourget du Lac. Si tratta – va detto – di esplorazioni con lo scopo non tanto di scovare nuovi relitti bensì di approfondire le conoscenze e la documentazione su quelli comunque meno noti, in quanto più difficili da raggiungere e quindi con all’attivo minori esplorazioni precedenti, com’è appunto il caso del “nostro” FockeWulfe.
Nel 2017 Riusciamo dopo mille peripezie, telefonate, mail, ad avere un imbarco.
Il diving: Plongée Com’Aix, ci conferma la data del 29 Ottobre come disponibile. L’imbarco viene fissato da Port de Plaisance de Chindrieux, al nord del lago di Bourget. Il porticciolo è a 5 minuti dal “gavitello”.
Era più di un anno che immaginavamo questa immersione, abbiamo visto e rivisto foto e video, fissato i punti da vedere, studiato l’aereo e la collocazione dei singoli elementi. Abbiamo pianificato i gas, la strategia di deco con i compagni, i bailout e come utilizzarli, esaminato le attrezzature di ognuno, controlli pre immersione, risoluzione di eventuali incidenti e procedure di emergenza del diving… Nulla è lasciato al caso da nessuno. La sera precedente abbiamo discusso su come gestirsi la divisione in due Team agevolando i fotografi. All’interno del Gruppo ognuno ha delle funzioni specifiche, con l’obbiettivo di raggiungere un risultato comune. Questo tuffo doveva essere di supporto a chi faceva le foto, le difficoltà erano date dall’alta probabilità di sospensione sul fondo, dal freddo e dalla lunga deco.

L’immersione
Dopo un breve spostamento in barca, si intravede un boetta bianca, il barcaiolo si fissa, mettono dei fusti a rinforzo, calano le barre della stazione, mettono i bailout in linea… Appena entriamo in acqua, ci accolgono i 16 gradi freschi dell’acqua di lago, ultimi controlli, il primo team scende, i fotografi che sono Bortolotti, Puma e Beppe, poi Hammer, Faktore e Wolf.
La discesa è nel “latte” fino a 50 metri, per fortuna ci alleniamo sempre nei laghi e siamo abituati a queste situazioni, abbiamo già fatto dei tuffi profondi nel Maggiore e nel Garda. La cima scorre e il buio ci avvolge all’improvviso, vediamo le torce e i fari dei fotografi più in giù, siamo a 75 metri (una volta profondità così erano inimmaginabili). All’improvviso vediamo i fari fermi che si avvicinano, 85, 90, eccolo! Oddio! Un colpo al cuore, alla gola, all’improvviso ci sembra di tornare bambini e di entrare nel negozio dei giocattoli. Dobbiamo fermare la discesa, stavamo andando forte e bisogna riprendere la coda per il video, controllo della PPo2, stagna, gav, sacchi… stabilizziamo e nel frattempo roteiamo intorno alla coda. Le emozioni si susseguono con una velocità incredibile, arriviamo e vediamo quella svastica che simboleggia un’epoca lontana, tale da aver segnato i nostri nonni. Anche se non si dovrebbe, qualcuno, come un bambino tocca la coda, pur con i guanti stagni si percepisce che è fatta di tessuto… “Argh… Ma questi volavano con gli aerei di tela!” (…si, lo sappiamo, era trattata e incerata, l’acqua e i decenni l’hanno ammorbidita). Ma non c’è tempo, l’ala ci chiama, la percorriamo quasi con il fiatone, nel loro susseguirsi le sotto-strutture metalliche perfettamente allineate si alternano a lembi di tessuto che sembrano pronti per essere piegati in un cassetto. Scorriamo l’ala nella passeggiata, intravedendo i carrelli, uno ancora chiuso nel suo vano a scomparsa e l’altro sul fondo, come se qualcuno si fosse dimenticato di incollarlo su questo grande modellino. Giriamo intorno all’ala e rientriamo verso la fusoliera dalla parte dell’estradosso: si intravede la croce di identificazione, ci sono ancora le scritte dei seriali, non sappiamo a quanto avessimo le pulsazioni, l’emozione è alle stelle. Risaliamo la fusoliera, bisogna lasciare spazio ai fotografi, vediamo però che il cockpit e il punto di attacco dell’aereo nel fango è libero, ci fiondiamo. Intravediamo sotto il muso una bottatrice, da un lato ci chiediamo cosa ci faccia li, dall’altro siamo troppo presi dal FW58. La cabina di comando è il punto più basso dell’aereo, siamo a 108 metri, non avvertiamo e non percepiamo se fa freddo, credo che in quei momenti il sangue fosse molto “agitato”. Siamo all’undicesimo minuto circa, il cockpit è lì con un po’ di polvere, i sedili, la regolazione dei motori, le leve… Siamo in un tripudio di emozioni, ma ci ricordiamo che stiamo facendo un’immersione tecnica, controlli e check generale: tempo, profondità, PPo2, gas.
Riprendiamo quota per vedere gli interni, attraverso la struttura reticolare. Cerchiamo di infilare le mani e la telecamera, sollevando un po’ di sospensione non molto apprezzata da Hammer; la luce non basta, Wolf e Faktor provano a puntare la torcia verso il basso attraverso le reticolari, discesa, ritorniamo giù di un metro, il tempo scorre ed è tiranno… Dobbiamo fare le foto di rito, ripieghiamo nella zona alta e incontriamo Denise con la sua illuminazione a giorno, ci scatta due foto, cerchiamo ancora qualche scatto a qualche particolare. È il ventesimo, potremmo stare lì ancora, ma pensiamo al freddo della deco… perciò controllo generale e risalita. Chi fa questo genere di immersioni sa cosa significa questo momento. È il momento più toccante, il momento dei saluti, il momento del… “aspettami ti prego, tornerò a trovarti”. Vorremmo portarlo con noi, ci sforziamo e imponiamo che non saranno due minuti a cambiare la situazione. «Quel “giocattolo” deve restare lì, perché è proprio perché sta lì che ci piace tanto».
La deco scorre serena, tra pacche sulla spalla e contro-pugni di approvazione. La consapevolezza di essere riusciti pure essendo dei semplici subacquei sportivi a fare qualcosa per noi impegnativa. Un gruppo coeso, amici, compagni di qualcosa che porteremo nel cuore per tutta la vita. All’uscita quando Lionel ci vede tutti in barca, tira fuori del Patè per tutti, qualcuno declina l’invito e lo coccola con dei cookies al cioccolato, tea caldo e… parte l’epopea dei ricordi.
È un tuffo da fare una volta nella vita: chi ama i relitti di certo non se ne pentirà.
Ci piace riportare una frase che abbiamo preso da un film, “diveintounknow”: “Se mi devi chiedere perché vado la… probabilmente non capirai neppure la risposta. È difficile spiegarlo a qualcuno che non conosce questo sport, il motivo perché andiamo in posti così ostili per gli umani. Non importa quanto difficilmente cerco di articolare o spiegare la cosa, non riuscirai mai a capire perché devo andare la”

*Divers team 1:
Emanuele Loglisci (Wolf), Roberto Strgar (Hammer), Andrea Fattore (Faktor).
Divers Photo Team:
Denise Brusoni (Puma), Giuseppe D’Urso (Beppe), Enrico Bortolotti (in via di definizione…)
Team support:
Tiziana Tagliaferro

MONDIALE DI FOTOGRAFIA SUBACQUEA 2017, MESSICO. I PUNTATA

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Arrivo a La Paz e prime immersioni.

Di Francesca Romana Reinero

Il 16 ° Campionato mondiale di fotografia subacquea è ormai alle porte. La nazionale italiana è carica più che mai e preparata per realizzare i migliori scatti per figurare al massimo in questa competizione. La località scelta quest’anno per il campionato è La Paz in Messico, cittadina che si affaccia sul Mare di Cortez, nota ai subacquei per i meravigliosi incontri che si possono fare con gli squali balena, i leoni marini, le megattere e gli squali martello. La partenza per il Messico è avvenuta l’11 novembre quando la squadra azzurra, formata dai fotografi Francesco Visintin, Stefano Proakis, dalle modelle Francesca Reinero e Isabella Furfaro e dal tecnico federale Michele Davino (il c.t. Mario Genovesi raggiungerà la squadra in un secondo tempo), si è incontrata all’aeroporto di Roma Fiumicino e, dopo un breve scalo a Parigi e a Città del Messico, ha raggiunto finalmente La Paz alle 8 di mattina del giorno seguente.
Il caldo e la stanchezza del viaggio iniziano già a farsi sentire e ad attenderli all’uscita dell’Aeroporto di La Paz c’è Giselle, responsabile turistica del Diving Center Carey. Dopo aver scaricato tutte le attrezzature al diving, la squadra raggiunge finalmente l’albergo per un meritato riposo. Il giorno seguente ha inizio l’allenamento e le prime due immersioni si svolgono in due dei campi gara previsti nel campionato, il relitto Ferry Salvatierra e il reef di Swanne, entrambi a 45 minuti di distanza dal porto di La Paz. Durante la prima immersione al ferry Salvatierra, i fotografi e le modelle raccolgono numerosi scatti della fauna marina che sovrasta il relitto, insinuandosi tra le eliche incrostate dai micro e macrorganismi e i resti di questa imbarcazione. Ad accoglierli invece al secondo sito, il reef Swanne, c’è un simpatico gruppo di leoni marini che, indifferenti della loro presenza, prendono il sole supini. Durante l’immersione lungo questo reef tropicale, luogo dove si è schiantato tra l’altro il Ferry Salvatierra, il team ha il piacere di incontrare un leone marino che in apnea rincorre e caccia branchi di piccoli pesci, divertendosi a guizzare come un fulmine davanti alle loro macchine fotografiche. Così si conclude la prima giornata di allenamento, intensa sicuramente ma già ricca di emozioni!
A domani.

MONDIALE DI FOTOGRAFIA SUBACQUEA 2017, MESSICO. II PUNTATA

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La seconda e la terza giornata di allenamenti della squadra azzurra a la Paz, con numerose sorprese.

Di Francesca Romana Reinero

La seconda giornata della squadra azzurra è iniziata alla grande! La prima immersione di allenamento prevista è a Los Islotes, una delle località e dei campi gara dove è possibile interagire da vicino con i leoni marini. Dopo un’ora e 45 minuti di navigazione il team raggiunge la destinazione trovandosi di fronte una vasta colonia di leoni marini supini a prendere il sole sugli scogli. Alcuni di questi simpatici mammiferi ogni tanto si tuffano in acqua per cacciare o per giocare con gli snorkelisti e i subacquei di turno mentre il resto del branco continua indisturbato a oziare.
Appena entriamo in acqua i piccoli di leone marino iniziano a girarci intorno come api, guizzando a destra e sinistra quasi fossero in attesa di essere immortalati dalle nostre fotocamere. Non molto distante dagli scogli dove ozia la colonia è presente anche una piccola grotta, un vero e proprio “covo dei leoni” dove i piccoli non aspettano altro che poter mordere, in modo giocoso, le pinne dei subacquei, i cappucci, le torce e tutti gli altri accessori che attirano la loro attenzione.
I fotografi della nazionale e le modelle non sono scampati alle loro attenzioni ma, in compenso, hanno raccolto numerosi scatti ravvicinati di questi mammiferi giocherelloni. Addirittura un leone non mollava la presa dal fotografo Francesco Visintin, mordendogli i guanti, le pinne gialle e i braccetti dei flash. Anche le modelle se la son vista bella in mezzo alla colonia dove i leoni non cercavano di far altro che mordere le bolle, i capelli e il primo stadio dell’erogatore. Dopo un’ora e mezza di immersione in pochi metri d’acqua e dopo tutti i teneri morsi ricevuti da questi divertenti cuccioli, è ora per il team di rientrare in barca e vedere le foto scattate in questo primo e intenso allenamento della giornata.
Il pomeriggio per loro continua con una seconda immersione al relitto e campo gara Fang Ming, una nave di 46 metri adagiata su un fondale di 15-18 metri. Le murate dell’imbarcazione, alte e incrostate dagli organismi marini, sono ricche di oblò e aperture che consentono ai fotografi di poter entrare all’interno con le modelle per scattare diverse immagini tra le rovine della nave. Terminato il secondo allenamento è l’ora di un po’ di divertimento e relax per la nazionale italiana e, dulcis in fundo, ecco che il diving li conduce alla baia degli squali balena!!! In gruppo, l’intera squadra si lancia dalla barca per intraprendere uno snorkeling indimenticabile con questo gigante del mare a pois! Ognuno ha la sua go pro e la macchina fotografica per immortalare lo squalo di fronte e di lato mentre, indisturbato, si nutre di plancton.
La terza giornata inizia con un’immersione a la Reina, un piccolo scoglio colmo di leoni marini distante quasi due ore dal porto di La Paz. Il fondale di questo sito presenta innumerevoli basalti che, con le loro geometrie, lasciano al fotografo parecchi spunti fotografici interessanti. Qui il team ha anche avuto piacevoli incontri con una tartaruga marina, con branchi di pesci chirurgo e lutianidi, nonché un finale di immersione con i leoni che si sono fatti fotografare a pelo d’acqua mentre prendevano il sole. Infine, per concludere l’allenamento odierno, la squadra azzurra è tornata al relitto Ferry Salvatierra, già esplorato durante la prima giornata. Nuovamente gli scorci dei rottami e delle eliche della nave, accompagnati dai branchi di pesci, hanno dato lo spunto giusto ai fotografi e alle modelle per raccogliere scatti interessanti.
A domani.

MONDIALE DI FOTOGRAFIA SUBACQUEA 2017, MESSICO. III PUNTATA

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Quarta e quinta giornata di immersioni. Ancora leoni marini e perlustrazione ad altri relitti.

Di Francesca Romana Reinero

L’allenamento continua ininterrottamente per la nazionale azzurra! Siamo al quarto giorno e la squadra è tornata a Los Islotes dove il diving ha ormeggiato stavolta sul lato nord del sito. I fotografi e le modelle hanno raccolto innumerevoli scatti non solo dei piccoli di leone marino ma anche delle femmine adulte costantemente sorvegliate dai maschi della colonia. I giochi di luce hanno dato lo spunto giusto per ottenere meravigliose immagini sott’acqua in controluce e in grotta con questi simpatici mammiferi. Tuttavia, sul lato nord del sito, i leoni si sono mostrati più timidi rispetto al versante esposto a meridione, nonostante non siano mancate interazioni ravvicinate con tutto il team.
La seconda immersione della giornata si è svolta invece a San Rafaelito, uno scoglio a largo della costa sormontato da un faro, dove i leoni amano prendere il sole supini aspettando con ansia che qualche snorkelista o subacqueo si avvicini per giocare con loro. Il fondale del sito è completamente cosparso di corallo e madrepore e per il team è stato possibile raccogliere scatti sia dei leoni marini, che in gruppo si tuffavano tra le loro macchine fotografiche, sia foto macro di pesci di piccola e media taglia insinuati tra i rami corallini del reef.
Alla fine dell’immersione, a tener compagnia al gruppo, si è presentato un simpatico pellicano in cerca di cibo che è stato oggetto di scatti da parte di tutti.
La quarta giornata si è conclusa con un pranzo alla Spiaggia del Sogno, una landa di sabbia bianca, acqua cristallina e fondali molto bassi dove è possibile passeggiare e osservare il meraviglioso panorama desertico cosparso di cactus. Il quinto giorno invece è iniziato con l’esplorazione dei relitti Fang Ming e Lapas 03, imbarcazioni di qualche decina di metri che hanno offerto ai fotografi numerosi spunti per scattare foto ambiente con le modelle, grazie anche agli scenari interni ricchi di giochi di luce e passaggio di pesce. Infine, l’ultima immersione della squadra si è svolta sul reef di El corallito, alla ricerca dei pesci più piccoli e degli organismi microbentonici rintanati all’interno dei coralli e delle madrepore. Per ora è tutto!
A domani.

Il nuoto pinnato dei leoni marini

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«In vista dei mondiali di fotosub in Messico ho fatto un sogno in cui mi domandavo se questa disciplina – il nuoto pinnato – non fosse nata anche per emulare le eccezionali abilità natatorie di questi magnifici animali di casa a Los Islotes…»

di Isabella Furfaro

Manca ancora un po’ – solo poco – all’inizio della competizione e le nostre immersioni si susseguono. Meta prefissata nella seconda e quarta giornata di permanenza a La Paz, è un luogo in cui vive una colonia di Leoni marini chiamato Los Islotes.
“The seal” è, infatti, uno dei cinque temi previsti dal regolamento del campionato ed è forte la curiosità che anima tutti noi da qualche giorno. Ci rechiamo così a visitare Los Islotes, località tra l’altro quasi sicuramente fra quelle selezionate dalla Federazione quale campo di gara.
Entriamo in acqua e la prima parola che mi viene in mente per definire il mio stato d’animo è: “estasi”! Decine di leoni marini scivolando dagli scogli, ci vengono incontro, ci ruotano intorno, nuotano accanto ai subacquei e agli snorkelisti!
Sembra di essere entrati nel mondo dei cartoni della Disney. I cuccioli, venendoci incontro con atteggiamento curioso e di innocente sfida, afferrano qualsiasi cosa susciti il loro interesse: pinne, cavetti delle macchine fotografiche, cinghiaggi delle bombole.
Sin dal momento in cui la nostra barca si era avvicinata agli scogli dove, indisturbati, giacevano i leoni marini, resto colpita dai loro rumorosi versi e, in particolare, dal profondo respiro emesso nel tirar fuori il capo dall’acqua per poi
immergersi nuovamente. Un respiro intenso e potente simile a quello del nuotatore nell’eco di una piscina.
Se goffi e impacciati nel muoversi sulla terraferma, in acqua i leoni marini esibiscono uno strabiliante stile natatorio, velocissimo ed elegante che richiama lo stile della disciplina del nuoto pinnato, sport che amo particolarmente.
Sull’onda di queste suggestioni sono andata a leggere … il nuoto pinnato nasce nella metà degli anni Cinquanta del secolo scorso, non solo come conseguenza del fatto che nella seconda Guerra mondiale le pinne venivano usate per le operazioni di sabotaggio delle navi nemiche nei porti italiani… Poi HO FATTO UN SOGNO in cui mi domandavo: “ma questa disciplina non nasce, forse, anche dalla volontà umana di emulare questi splendidi mammiferi nei loro movimenti fluidi, efficaci, eleganti – che non appartengono solo ai delfini – e che con le loro particolari pinne ricordano il bipinna e il monopinna utilizzati proprio nel nuoto pinnato?”
Continuando a osservare questi splendidi esemplari di leoni marini, mi viene spontaneo pensare a quelle persone che hanno difficoltà a muoversi in modo fluido e disinvolto sulla terraferma, chissà che non riescano a muoversi in acqua in maniera più fluida e disinvolta, come del resto diverse volte mi è capitato di notare nella mia esperienza di istruttore subacqueo.
Perché non rubare, allora, qualche segreto a questi particolarissimi mammiferi?

MONDIALE DI FOTOGRAFIA SUBACQUEA 2017, MESSICO. IV PUNTATA

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Anche il sesto giorno è stato strepitoso per la squadra azzurra che si è recata nuovamente a Los Islotes per fare altri scatti ai leoni marini, questa volta accompagnata dalle piccole mascotte Francesco e Anna.

Di Francesca Rainero. Foto apertura Mario Genovesi.

Mentre i bambini facevano snorkeling tra questi simpatici mammiferi, i fotografi e le modelle si sono recati nelle grotte e sotto l’arco di Los Islotes per fotografare l’ambiente subacqueo, sfruttando i giochi di luce e la presenza dei leoni marini sullo sfondo. Come al solito i piccoli non hanno esitato a mordicchiare, con i loro dentini, qualche pinna, i braccetti dei flash e tutto ciò che potesse attirare la loro attenzione. La giornata è proseguita poi con un’immersione a El Bajito, un meraviglioso reef a pochi metri di profondità, dove il team italiano ha scattato diverse foto ai nudibranchi, ai gamberetti delle stelle marine e ai gobidi rintanati nelle madrepore. Nonostante la forte corrente e il mare parecchio mosso, El Bajito è un’immersione che lascia senza fiato con i suoi corridoi sabbiosi pieni di vita marina che si diramano attraverso le rocce basaltiche. Infine, per concludere la sesta giornata, la squadra si è recata a fare snorkeling con lo squalo balena. Questa volta, a far da soggetto ai fotografi, si sono presentati ben due squali balena con le remore attaccate posteriormente agli occhi. È sempre un’emozione unica poter nuotare con questi giganti del mare e oggi lo è stato anche per le piccole mascotte del gruppo.
La settima giornata invece è iniziata con un’immersione a Swanne reef, un luogo decisamente valido per la foto macro e, anche qui, la squadra si è dilettata a fotografare granchi ragno, gobidi, gamberetti e nudibranchi. In seguito, il team si è recato al relitto Fang Ming per la terza volta per ottenere scatti all’interno e all’esterno del relitto tra i resti di questa antica nave giapponese.
Per chiudere la giornata un’ultima immersione San Rafaelito, sito noto sempre per i leoni marini e per la macro. Anche qui, osservando bene tra le madrepore, si possono scorgere granchi, gobidi, nudibranchi e gamberetti. Per ora è tutto e a domani!!!

MONDIALE DI FOTOGRAFIA SUBACQUEA 2017, MESSICO. V PUNTATA

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Ancora un giorno prima della gara. Ultime immersioni di allenamento, reef, relitti e ancora leoni marini ma la tensione sale!

Di Francesca Romana Rainero.

L’ottavo giorno di allenamento è stato il penultimo per la squadra azzurra di fotografia subacquea, che ha deciso, questa volta, di recarsi all’Old Sea Lion Colony, un campo gara ancora inesplorato. Durante la navigazione però, date le avverse condizioni marine, il diving d’accordo con il team ha concordato nella scelta di abbandonare la meta prevista e di tornare indietro verso un sito più riparato, San Rafaelito. Qui, oltre al solito ed entusiasmante divertimento con i leoni marini, il team ha raccolto diversi scatti dei gobidi rintanati nei buchi delle madrepore e dei “mazzi” di gorgonie colorate che si trovano a maggiore profondità. La giornata è continuata poi con un’immersione al relitto Salvatierra dove i fotografi, come di consueto, hanno cercato l’inquadratura giusta con le modelle tra i rottami incrostati e colmi di vita marina. Infine, a chiusura del penultimo allenamento e lungo la via del ritorno verso il porto, il team azzurro ha fatto un’immersione a El Corallito. Questo reef, poco profondo, presenta non solo una vastità di microfauna, dai piccoli gobidi delle madrepore ai granchi ragno ma anche una macrofauna notevole costituita dalle murene zebrate, dai branchi di pesci, dai polpi che si mimetizzano tra i coralli e da tanto altro ancora.
Ed eccoci all’ultimo giorno di allenamento che la squadra azzurra ha sostenuto insieme al c.t. Mario Genovesi, giunto dall’Italia la sera prima per assisterla durante la gara. La decisone presa dall’intero gruppo è stata quella di tornare a Los Islotes dove anche Mario ha potuto osservare e giocare da vicino con i leoni marini. Nel frattempo la squadra, come sempre, ha continuato a raccogliere scatti di questi simpatici mammiferi e foto di ambiente cercando di dare il meglio di sé nell’ultimo allenamento pre-gara. Lungo la strada del ritorno, per chiudere in bellezza, il diving ha condotto la squadra azzurra a Swanne. Diversamente dalle altre volte, il reef di questo sito era sommerso da miriadi di branchi di pesci diversi, dai pesci farfalla alle sardine e, in mezzo al caos ittico più totale, due cormorani e due leoni marini maschi hanno sfrecciato come razzi in cerca di qualcosa di cui cibarsi. Insomma un puro divertimento che speriamo possa dare la carica giusta al team!
Per ora è tutto e la gara è agli sgoccioli, Forza Italia!


Il “DonnAmbiente” domani a Roma

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Si svolge domani mercoledì 29 novembre la terza edizione del prestigioso premio, destinato quest’anno alla conduttrice di “LineaBlu” Donatella Bianchi.

A cura della redazione.

Con il patrocinio del Parlamento Europeo, della Camera dei Deputati e della Guardia Costiera, domani 29 novembre, in Roma, nella prestigiosa location dello “Spazio Europa”, si tiene la cerimonia del premio “DonnAmbiente” promosso dall’associazione ambientalista “5 Terre Academy” e giunto con l’appuntamento di quest’anno alla sua terza edizione.
«Il comitato organizzativo ha deciso quest’anno, vagliando attentamente le numerose candidature pervenute sul sito» ci dice Leonardo D’Imporzano, presidente di “5 Terre Academy”, «di premiare la conduttrice di “Linea Blu” e presidente del WWF Donatella Bianchi, con la seguente motivazione: “Per il costante impegno nella divulgazione dei temi legati alla tutela alla valorizzazione e alla salvaguardia dell’ambiente, senza dimenticare una costante attenzione alla divulgazione dei temi scientifici legati al mare, attraverso la ventennale conduzione della trasmissione ‘Linea Blu’ e il recente impegno quale Presidentessa del WWF Italia”». A consegnare il premio, il sottosegretario all’ambiente, l’on. Silvia Velo. A seguire, un incontro su “I giovani e le sfide del futuro per un’Europa eco-sostenibile” assieme all’on. Brando Benifei e con i ragazzi della generazione dei “Millennials” provenienti dai Licei della Capitale.

Piombi fai-da-te in 5 mosse

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Cosa occorre e come si procede per farsi dei pesi da cintura sub a costo quasi zero e proteggendo l’ambiente. Non saranno bellissimi né perfetti ma svolgono egregiamente il loro compito. Ecco in 5 step tutto il procedimento.

Di Emanuele Vitale.

Di pesi da zavorra per cintura sub se ne vedono ormai di ogni foggia nei negozi di articoli specializzati. Magari perfino plastificati e colorati, nonché molto costosi. Eppure, al loro interno, sempre di piombo sono fatti. E il piombo in mare – purtroppo – è assai più diffuso di quanto si creda. Specie se fate molte immersioni all’anno, sarà capitato anche a voi di rinvenire in giro per i fondali ogni sorta di quei piombi e piombetti da pesca, persi soprattutto dai pescatori sportivi che li usano nelle varie tecniche di pesca con la canna. Di impiombature, poi, è pieno il mondo. Per esempio, da un qualsiasi gommista amico si possono trovare quei piombetti smontati dai cerchioni delle ruote delle auto dove vengono utilizzati per l’equilibratura: gli scarti, il più delle volte, ve li regaleranno (anche se poi talvolta questi piombetti si rivelano non propriamente di piombo…ma vedremo più avanti come individuarli ed eliminarli). Insomma l’idea è di “riciclare” a nostro uso e consumo di subacquei un po’ di quel piombo che si trova in giro, a partire proprio dal mare stesso, di fatto contribuendo a ripulirlo.
Detto questo, ecco come si può procedere per farsi dei piombi da 1 Kg in 5 semplici mosse. Premesso naturalmente che ci si sia già procurati lo stampo, fatto da un buon fabbro, che può ricrearlo basandosi sulla sagoma di un classico peso di zavorra da sub da 1 Kg. E che ci si munisca di una mascherina da lavoro oro-nasale, da indossare per tutta la procedura, onde evitare l’inalazione diretta di eventuali fumi o vapori tossici.

1-Procurarsi l’occorrente di base e cioè: un semplice pentolino per bolliture, possibilmente di acciaio inox; un cucchiaio, sempre di acciaio inox; lo stampo, che deve avere un lungo manico e la possibilità di essere posizionato “in bolla”, cioè perfettamente orizzontale al momento della colatura; e i piombetti, che vanno prima ripuliti da eventuali materiali plastici rimasti loro attaccati. (Foto 1)

2-Portare a riscaldamento il pentolino e posizionarci dentro i piombetti da rifondere, attendendo che si sciolgano. La loro liquefazione avviene molto presto in quanto il punto di fusione del piombo è a una temperatura di solo tre volte superiore a quella di normale ebollizione dell’acqua e quindi molto inferiore a quelle degli altri metalli (esclusi stagno e mercurio). (Foto 2 e 3)

3-Quando il piombo si sarà liquefatto, eventuali sostanze, impurità macroscopiche o leghe metalliche diverse, per il gioco delle differenze tra i rispettivi pesi specifici, si troveranno a “galleggiare” sulla sua superficie. Con il cucchiaio, potremo così “scremare” la superficie del piombo di tutti i residui visibili, separandoli dalla parte liquida e raccogliendoli a parte. (Foto 4 e 5)

4-Ora è il momento della colatura: il pentolino che funge da crogiuolo può essere preso con una lunga pinza – per evidenti ragioni di sicurezza – e cautamente si procederà a versarne il contenuto nello stampo, in maniera uniforme, in un unico punto…si diffonderà equamente in tutto lo stampo. Ora basta lasciar riposare la formella – immobile e orizzontale – giusto qualche minuto, il raffreddamento è rapidissimo. In ogni caso può essere accelerato immergendo la formella dello stampo con dentro il piombo direttamente in acqua. (Foto 6)

5-Non resta che battere appena la formella in posizione rovesciata su un piano di legno e, se lo stampo è stato ben fatto, il piombo uscirà quasi da solo al primo colpetto. Sulla faccia che era a contatto col fondo dello stampo potrà presentare qualche imperfezione o sporgenza, che sarà semplice asportare con una normale lima. Il piombo resta un materiale molto duttile e malleabile, dunque sarà semplice rimuovere anche eventuali sbavature più pronunciate con una qualsiasi lama per poi pareggiare il tutto limando. (Foto 7, 8, 9 e 10)
Da ultimo è opportuno pesare il piombo rifinito così ottenuto mediante una bilancia da cucina in modo da verificare con precisione se sia effettivamente 1 Kg o di quanto se ne discosti, così da regolarsi per le colature successive.
Con un minimo di accorgimenti e di destrezza si potranno realizzare a costo quasi zero numerosi pesi di zavorra in pochissimo tempo (e ripulendo almeno un po’ l’ambiente). Magari non perfetti né bellissimi da guardare, ma assai efficaci da impiegare. Provare per credere!

Militari e sportivi

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Grazie a un accordo con FIAS è finalmente realtà il riconoscimento della valenza anche sportiva al brevetto palombari e incursori del ComSubIn.

La redazione

Domani 1° dicembre si svolgerà presso la base del Raggruppamento Subacquei e Incursori “Teseo Tesei” di Le Grazie (SP), la rituale cerimonia di conferimento del brevetto ai neo-palombari della Marina Militare.
Nell’occasione, per la prima volta dalla costituzione della categoria, tale brevetto – sino a oggi valido solo per il mondo militare – varrà anche nell’ambito delle attività sportivo-ricreative.
È un ambizioso traguardo perseguito con impegno e dedizione dal giornalista e profondo conoscitore del mondo dei palombari di marina Leonardo D’Imporzano, che durante tutto l’anno ha svolto il delicato ruolo di “far combaciare” le necessità della Marina Militare con gli aspetti della didattica ricreativa e che ha visto alla fine la stesura di un protocollo con la FIAS, la Federazione Italiana delle Attività Subacquee, presente sul territorio da 45 anni e che diventa quindi da oggi la prima didattica al mondo a riconoscere l’alta formazione dei nostri palombari.
«È finalmente l’abbattimento di una pregiudiziale – ha dichiarato D’Imporzano – per certi versi incredibile. La formazione a 360° che ricevono questi ragazzi durante tutti i mesi di corso non permetteva loro di immergersi al di fuori delle immersioni di lavoro. Cosa che non avveniva per altri corpi specialistici di altri Paesi che hanno un iter formativo anche minore rispetto a quello dei nostri palombari. Questa convenzione inoltre non si limita ai soli palombari ma si estende anche agli incursori».
Anche a loro, infatti, verrà riconosciuto il brevetto per le immersioni ricreative.
Una “bonifica” che – giova sottolinearlo – riguarda anche tutto il personale in servizio.
(La foto d’apertura è tratta dal libro “PALOMBiRO – pagine dal fondo”, di Leonardo D’Imporzano, edizioni Magenes)

Il relitto dell’ASIA

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«L’immersione standard viene svolta sul troncone di poppa, mentre la sezione di prua – distante qualche centinaio di metri – è riservata a chi abbia interesse specifico ad esplorare questa parte del relitto…».

A cura di Claudio Budrio Butteroni. Foto storiche archivio Claudio Butteroni su gentile concessione N.V. WERFT GUSTO; foto del relitto Giuseppe Pugliese; foto naturalistiche Miranda Narduzzi

Per chi come me è nato, vissuto e tutt’ora vive a Roma, il mare di riferimento per sciogliere le croste di sale dalla muta è quello di Civitavecchia. Il tratto di mare tra il porto di Civitavecchia e Capo Linaro offre una moltitudine di opportunità d’immersione per subacquei di tutti i livelli. Tra i vari siti, quello più “battuto” è certamente il relitto dell’Asia.
L’Asia è una draga realizzata nel 1956 nei cantieri olandesi di N.V. WERFT GUSTO di Schiedam per la Ackermans & Van Haaren di Anversa. Appartenuta all’armatore italiano Italdredging Spa fu tagliata in due tronconi e affondata volontariamente nel 1987 al fine di dissuadere dalla pesca a strascico.
L’immersione standard viene svolta sul troncone di poppa, mentre la sezione di prua è riservata a chi abbia interesse specifico ad esplorare questa parte del relitto che, distante qualche centinaio di metri, è decisamente meno accogliente, ma non per questo meno interessante dell’altra.
Appuntamento come al solito alle 8:00 al porto di Riva di Traiano. All’interno del porto prestano servizio due diving, Il Centro Immersioni Civitavecchia e il Gruppo Nasim Diving.
Le strutture sono ambedue ottimamente attrezzate e la nostra preferenza ricade sul primo, se non altro per un rapporto risalente a molti anni or sono, poi tramutatosi in amicizia con il titolare Fabrizio Lunghi.
Caricate le attrezzature sul gommone, un breve briefing a vantaggio di chi affronta questa immersione per la prima volta, e si parte. Giusto il tempo di chiudere la muta, infilare il cappuccio che già siamo arrivati. Una bottiglia galleggiante in superficie pone in evidenza lo scavezzo di cima che consente di raggiungere il pedagno a cui ormeggiamo il gommone.

Il troncone di poppa
Reb in spalla, bailout agganciate, pronti partenza e via. Un OK e scendiamo rapidamente verso il fondo fino a raggiungere il relitto a una profondità di circa 27 metri, in prossimità dei comignoli che sovrastano la copertura.
Giace in assetto di navigazione, leggermente sbandato verso sinistra, su un fondale fangoso attorno ai 40 metri, limite che sconsigliamo di raggiungere dato che la visibilità diminuisce rapidamente quanto più cui si avvicina al fondo.
L’immersione sull’Asia, sebbene non presenti profondità rilevanti o difficoltà particolari, è comunque riservata a subacquei con addestramento ed esperienza in immersioni profonde. In questo contesto, riteniamo che l’utilizzo di miscele Nitrox appropriate possa veramente dimostrare la propria utilità.
I grossi argani prosperano di vita marina, tappezzati di spirografi, nudibranchi e ascidie. Le lamiere e le maniche a vento offrono sicuro riparo a gronghi, mentre castagnole orate e saraghi volteggiano attorno ai due comignoli. Se ci si prende il tempo di guardare i dettagli rimarremo sorpresi di quante forme di vita abbiano colonizzato questo relitto: dal tentacolare Astrospartus, al coloratissimo Dondice banyulensis, dallo stanziale Gronco, alla timidissima Flabellina affinis e per i più fortunati non è raro incontrare il superbo Mola mola.
Una volta lasciatici cadere lungo i fianchi dell’imbarcazione fino al punto di massima profondità, svolgiamo l’immersione navigando a spirale attorno al relitto dal punto più profondo, percorrendo ciascuno dei quattro livelli del ponte e risalendo gradualmente verso la sommità. Quella che fu l’opera viva dell’imbarcazione è caratterizzata dalla presenza su ambo i lati di grossi pneumatici adibiti al ruolo di parabordi. Il ponte di poppa presenta un grosso argano in prossimità del cassero alla destra del quale fa bella mostra una grossa ancora di rispetto ancora fissata al ponte. Proprio innanzi, una porta che sostituisce uno degli accessi alla sala macchine del relitto. Spostandosi verso poppa svettano dal ponte due grosse torri. Molti ritengono erroneamente che possa trattarsi di bichi di carico, portando a supporto della loro tesi la presenza di una sorte di puleggia posta sulla cima delle strutture. In realtà si tratta dei pali di ormeggio della draga che venivano ammainati in mare, proprio per mezzo del grosso argano e con l’ausilio delle pulegge, per stabilizzare l’imbarcazione sul fondo durante l’opera di dragaggio.
Un discorso a parte merita la penetrazione all’interno della sala macchine che può avvenire secondo diverse modalità. Tale esperienza, seppure l’interno non si presenti particolarmente angusto e non vi siano strutture precarie e pericolose, è riservata a subacquei esperti e specificatamente addestrati, ed è sconsigliata in condizioni di visibilità limitata. Noi abbiamo preferito l’accesso dall’apertura di prua. Mantenendo la sinistra si può planare sopra ai motori per poi trovarsi all’interno di un’ampia sala. Seguendo la scaletta si accede al ponte superiore; da qui si può uscire dalla porta posta in prossimità del camminamento, oppure continuare la risalita lungo le pareti per uscire, se l’ingombro delle attrezzature lo consente, dal lucernario sopra la nostra testa.
Sul ponte di prua invece appare immediatamente un lucernario che dava luce e aria alla sala macchie e una scala, parzialmente divelta, che conduce al ponte superiore.
I locali che furono destinati all’equipaggio sono facilmente accessibili. Realizzati a forma di “ferro di cavallo” sono tutti dotati di ampie finestrature verso l’esterno. Tuttavia il sedimento copiosamente adagiato all’interno delle varie stanze può comportare, per i meno esperti, difficoltà nella gestione dell’immersione.

Il troncone di prua
Il troncone di prua si trova a qualche centinaio di metri di distanza, conficcato sul fondale da cui svetta come una lama protesa verso l’alto.
Rappresenta una meta inusuale e poco battuta dai subacquei che preferiscono l’esplorazione della parte poppiera.
L’immersione risulta complessa per l’assenza di riferimenti e si articola tra i 37 e i 44 metri di profondità. Riteniamo poco interessante spingersi fino alla massima profondità dove la visibilità appare veramente compromessa; il relitto infatti stacca di soli 7 metri dal fondo a dispetto della parte poppiera, che elevandosi di circa 12 metri, offre aree meno influenzate dalla consistenza melmosa del fondale.
L’esplorazione va affrontata con un’immersione quadra con decompressione.
Il relitto è posizionato verticalmente, con la prua affondata nel fango.
Scendendo lungo la cima di pedagnamento ci accoglie da subito un nutrito branco di piccole ricciole che poco dopo si dilegua per lasciare il posto a tre minacciosi esemplari di maggiori dimensioni, poco intimiditi dalla nostra presenza.
Proseguiamo la discesa e dopo aver preso contatto con il relitto si raggiunge la massima profondità scendendo lungo quella che fu la murata di destra, verso la prua. Tenendo il relitto sulla sinistra, gli si gira attorno costeggiando inizialmente una grossa rete che lo avvolge e che ci guida verso le sovrastrutture del ponte per il dragaggio. Sono facilmente distinguibili due grosse ruote dentate, diverse travi, un grosso parabordo realizzato con uno pneumatico di trattore del diametro di paio di metri circa ripiegato sul ponte dell’imbarcazione.
Si giunge poi in prossimità di una voragine che si apre come fauci protratte verso l’alto, all’interno delle quali è facile lasciarsi cadere. È la parte prodiera di quella che fu la sala macchine. All’interno ci accoglie un ambiente scarno con le pareti percorse da tubature, caratterizzato da una finestra verso l’esterno proprio in prossimità della linea di taglio ed un termosifone visibilmente ancorato al muro. Di notte, negli angoli bui del locale è facile imbattersi in magnose, cicale di mare e aragoste.
Ci troviamo oramai in prossimità della cima di pedagnamento che ci permette di riconquistare la superficie.
L’immersione sull’Asia rappresenta per noi romani oramai una consuetudine, la nostra palestra per l’allenamento routinario, ma non per questo raccoglie meno fascino. Tra le due immersioni, chi vi scrive preferisce quella sul troncone di prua, forse perché meno usuale, forse perché – stante la ridottissima trasparenza delle acque – mantiene intatta un’aura di mistero e impenetrabilità.

Come poter migliorare in apnea?

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«Quale responsabile tecnico di Y-40 The Deep Joy, la piscina più profonda al mondo, mi confronto quotidianamente con moltissimi apneisti di svariate provenienze e livello di abilità. Tutti vogliono migliorare. Ma utilizzando sempre lo stesso metodo si arriva solo allo stesso risultato! Alternative? Ce ne sono. A cominciare dal riscaldamento…».

Di Marco Mardollo. Foto Y-40 The Deep Joy e Marco Mancini.

Come tutti gli sportivi anche gli apneisti vogliono migliorare, che siano metri, secondi, capacità tecnica o livelli d’ansia.
Tuttavia la maggior parte di loro, dopo uno o due corsi di apprendimento, si fanno prendere dalla foga dell’allenamento assiduo e, visto che riscontrano subito un consistente aumento delle proprie capacità, insistono nel cercare sempre di più di scendere profondi.
Ma serve davvero continuare ad allenarsi solamente in acqua?
Nei corsi si parla spesso di allenarsi con attività di respirazione pranayama, di meditazione, di stretching. Ci sono App gratuite da scaricare sul cellulare per aiutare a fare tabelle di statica a secco, ci sono decine, centinaia di esercizi da fare all’asciutto per mantenere e migliorare le proprie abilità compensatorie, è anche arrivato uno strumento innovativo come l’EQ tool (dispositivo elettronico per migliorare le proprie tecniche di compensazione…ma di questo magari riparleremo in maniera approfondita).
Ma, realmente, quanti si impegnano in altre attività che non siano da fare in acqua, costante o dinamica?
Eppure utilizzando sempre lo stesso metodo si arriva sempre e solo allo stesso risultato!
Scegliendo unicamente di allenarsi in apnea, quindi, dopo un iniziale periodo di continuo miglioramento si nota che anche con grande impegno i risultati ulteriori sono risibili.
Chi invece punta su una preparazione a largo raggio amplia di molto la base delle proprie potenzialità che culmineranno nella preparazione specifica in apnea.
Come responsabile tecnico di Y-40 The Deep Joy, la piscina più profonda al mondo, mi confronto quotidianamente con decine, anche centinaia, di apneisti di svariate provenienze e livello di abilità.
Vedo spesso corretti approcci, molto professionali, e anche tanti dilettanti che cercano di fare dei tuffi al meglio delle loro possibilità. Purtroppo vedo anche, perfino in persone poco preparate tecnicamente, la ricerca esasperata di una prestazione profonda che, se non fosse pericolosa, sarebbe a dir poco ridicola.
A Y-40 chi fa apnea ha la possibilità di entrare nell’acqua bassa per acclimatarsi alcuni minuti prima di iniziare a fare dei tuffi oppure di usare dei tappetini per praticare yoga o fare esercizi di stretching sul piano vasca.
Il riscaldamento è, in qualsiasi sport, una parte molto delicata ed importante. In apnea, far bene un buon protocollo di “warm-up” facilita l’incremento di CO2 conseguente e ottimizza il tempo di allenamento.
Ma in quanti lo fanno? Una quantità davvero limitata, purtroppo…
In collaborazione con Alessandro Rinaldi, maestro yoga, ogni mercoledì alle 19 organizziamo delle lezioni di Yoga Parinama, una specialità derivata dall’hata yoga, e cerchiamo di fare esercizi volti a incrementare la mobilità articolare di tutto il corpo, ma in particolare della cassa toracica in maniera da facilitare la respirazione.
Andrea Zuccari si è avvalso della consulenza del nostro maestro Alessandro Rinaldi: in qualche mese di continuo esercizio ha incrementato la capacità polmonare di oltre un litro e mezzo e ora ha creato un suo protocollo di esercizi.
Inoltre per chi cerca di migliorare la mobilità articolare è noto che farla in immersione aumenta con minori difficoltà l’ampiezza di movimento. Uniamoci la piacevolezza dell’immersione in acqua termale e potremmo ottenere una sessione pre-allenamento strepitosa. Chi lo fa? Quasi nessuno…
Ma poi, sul pozzo profondo 42 metri, molti cercano di arrivare a toccare il fondo.
«Descent qui veut, remonte qui peut…» (scende chi vuole, risale chi può…).

Una ricerca “duale”

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Si tratta di un progetto di ricerca medico-subacquea ad elevata dualità. Cioè i cui risultati, pur provenendo da analisi compiute su un campione di riferimento professionistico – sommozzatori dei Vigili del Fuoco –, potranno essere validati anche per il settore sportivo-ricreativo.

Di Romano Barluzzi. Foto Emanuele Vitale.

Questa è una storia “made in Sicily” ma dal rilievo nazionale e internazionale. Inizia con l’obiettivo di verificare e revisionare, a scopo migliorativo, i tempi di sosta in superficie, prima di poter eseguire una risalita in quota, nonché l’operatività in immersione del personale dei sommozzatori dei Vigili del Fuoco. Tale personale del Nucleo Sommozzatori del Corpo Nazionale dei VVF (Responsabile locale Referente per il progetto, CSE Diego Parisi), giornalmente impegnato in attività di ricerca e soccorso, ha chiesto all’Università di Catania – Dipartimento di Scienze Biomediche e Biotecnologiche (Responsabile Referente per il progetto, Prof. Vincenzo Perciavalle) e all’Area Ricerca Scientifica della Fondazione DAN (Responsabile Referente per il progetto, Dott. Danilo Cialoni) di avviare uno studio che mira ad aumentare le loro quote di operatività, ovvero la possibilità di conoscere entro quanto tempo ed entro quali limiti il proprio personale subacqueo dopo un’immersione potrà operare ad alta quota.

Gli Enti citati hanno aderito al progetto e hanno avviato quanto necessario per la sottoscrizione di un protocollo che li vede impegnati in due fasi:

1-Effettuazione di test clinici non invasivi al fine di individuare specificità soggettive connesse con la formazione di bolle. Test che avranno la durata di un anno circa e serviranno a verificare quanto descritto prima, in diverse condizioni climatiche e ambientali.
2-Attività simulata in camera ipobarica ed iperbarica (ambiente controllato) col fine di effettuare successivamente test sperimentali di risalita in quota dopo l’immersione.
Tra i partecipanti al progetto vi è anche un gruppo di subacquei ricreativi, per la maggior parte legati ad ESA (Responsabile Referente per il progetto il Dott. Mario Romor, che ha delegato localmente l’Istruttore Luigi Rosario Costantino, presidente dell’A.S.D. ESA Catania Diving School a cui appartengono i subacquei ricreativi. In pratica questo gruppo di controllo e raffronto seguirà tutta la prima fase e i dati che vengono ricavati dallo studio serviranno a confermare che i risultati ottenuti possono essere validi sia per persone addestrate, come il personale del nucleo sommozzatori dei VVF, sia per subacquei ricreativi meno addestrati e che vanno in acqua con minor frequenza. Tale comparazione servirà, in seguito, per rendere applicabili i risultati della seconda fase anche ai subacquei ricreativi, donde la dualità professionistico-ricreativa della ricerca.

Il 25 ottobre scorso si è tenuta a Catania, presso il Lido Bellatrix, un’intera giornata di presentazione generale del progetto, mediante anche attività pratica di screening medico a cura del Dott. Danilo Cialoni e Massimo Pieri del DAN e delle Dott.sse Adriana Graziano e Avola Rosanna specialiste in fisiologia molecolare e cellulare dell’Università di Catania, e compresa la parte più burocratica di firma e presentazione del progetto al mondo accademico. Era stata programmata anche un’immersione, poi rinviata per il maltempo. S’è trattato anche di un media-day, cioè l’occasione per mettere al corrente di tutto i vari mezzi d’informazione, divulgazione e stampa.

In una ulteriore serata promossa mediante un “caminetto” conviviale del Club Lions “Catania Mediterraneo”, il 17 novembre scorso, il coordinatore del progetto, il DAN Instructor Trainer nonché CMAS Instructor e istruttore subacqueo ESA Antonio Galati, ha esposto tutte le linee programmatiche della ricerca e introdotto le numerose ulteriori figure di esperti coinvolti, tra cui presenti alla serata la Dr.ssa Adriana Graziano, specialista in fisiologia molecolare e cellulare, delegata dalla Professoressa Vera Cardile, responsabile per la parte di fisiologia molecolare e cellulare del progetto; la Dr.ssa Giusi Biondi, specialista in pneumologia, con funzione di auditore; il Dr. Salvatore Rondine, biologo marino del Ministero della Salute, anch’esso auditore; e proprio gli interventi di quest’ultimi hanno permesso di far emergere e rimarcare come la finalità culturale dell’intero progetto, la sua essenza, non consista tanto e solamente nella profilazione del subacqueo al fine d’individuarne l’eventuale “predisposizione bollogena” – che pure è l’obiettivo “pratico” del progetto – quanto un cambiamento globale nell’approccio all’ambiente mare e nella fruizione sostenibile dei suoi vari habitat. Dopotutto insomma, per quanto ci riguarda come subacquei, si tratta di perseguire una nuova consapevolezza dei “perché” e del “cosa” si vada a fare nelle immersioni. In ciò si racchiude tutto un discorso profondamente educazionale, lo stesso che come testata giornalistica e fin dal nostro esordio ci vede schierati in prima linea sul fronte della divulgazione scientifica di settore.

Quel tramonto annunciato

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Sulla chiusura dell’ultima rivista “da edicola” per appassionati d’immersione “SUB”. Ci si chiederà: «E ora? Tra la carta che sparisce e un web che ancora stenta dove andrà l’informazione?» Prendendo spunto da alcuni post comparsi in tema su Facebook, ecco un’analisi-specchio della situazione. Perché forse non tutti sanno che…

Di Alberto Balbi e Romano Barluzzi.

Colpiti – come tutti gli appassionati – da alcuni post comparsi su Facebook a proposito della dolorosa (e per certi aspetti anche tragica) chiusura dell’ultima rivista di subacquea da edicola, abbiamo pensato di riportare qui di seguito, in maniera concordata nei contenuti e a scopo informativo, un paio di opinioni d’autore. In chiave diversa, nella loro complementarità possono contribuire a tracciare un quadro della situazione che abbia il sapore delle cose autentiche.

La fine di un’epoca

(a cura di Alberto Balbi)
«Anche Sub chiude, l’ultima rivista italiana è uscita con l’ultimo numero e con un editoriale di commiato scritto dal Direttore Guido Pfeiffer e da Flory Calò… un ultimo saluto di un grande giornalista che pochi giorni dopo, per un destino crudele e beffardo ci ha lasciato per sempre. Guido nel suo editoriale spiega i motivi della chiusura di Sub… essenzialmente sancisce la fine di un’epoca. E con profonda tristezza la nazione dove si è fatta la storia della subacquea rimane senza nemmeno una rivista in edicola… almeno per il momento. Non vanno cercate colpe o responsabilità nel web o nelle nuove tecnologie, ogni rivista che ha chiuso lo ha fatto per motivi diversi, ma non poter più sfogliare e vedere le nostre fotografie stampate su carta mi provoca una profonda tristezza e nostalgia. Il mio direttore Calogero Cascio (Il Subacqueo) mi ha sempre detto che ogni rivista che chiude anche se concorrente è una sconfitta per tutti… e aveva ragione. Ho avuto l’onore e il privilegio in questi anni di lavorare con tutte le riviste italiane e straniere che si occupano della nostra passione, a volte firmando gli articoli con il mio nome, altre volte utilizzando pseudonimi. Ho imparato moltissimo; ho imparato a scrivere come un giornalista, ho imparato a fotografare come un reporter con l’attenzione per gli sponsor e per i lettori, ho imparato il rispetto verso il lettore al quale bisogna affidare testi che vanno controllati e ricontrollati lavorando con un team composto da correttori di bozze, ricercatori, impaginatori e direttori; ho imparato cosa significa lavorare sotto pressione, senza sconti, ho viaggiato, mi sono divertito, ho vissuto per molti anni della mia più grande passione. Sub chiude ed è una sconfitta per tutti.
Ho avuto il privilegio di vivere gli anni d’oro dell’editoria, quando nello stesso mese scrivevo per Il Subacqueo, Sub, Fotosub, Mondo Sommerso, Aqva, Subaqva, Immersione Rapida, Apnea, Pesca sub, Pesca in apnea e PescareApnea anni in cui in Italia convivevano 10 riviste, ognuna con il proprio stile ognuna con i propri lettori, anni in cui ho imparato a scrivere con diversi stili perché ogni rivista ne ha uno proprio.
Li ricordo con un sorriso, con nostalgia e con grande emozione.
Oggi Sub ha chiuso e anche se non collaboravo con Sub ormai da tre anni …oggi è un giorno di profonda tristezza per la subacquea.
Auguro a tutti i fotografi e i giornalisti di poter vivere i momenti che ho vissuto io con tante redazioni e mi auguro che un giorno il nostro Bel Paese possa riavere sugli scaffali qualcosa che ci rappresenti; La nostra storia se lo merita.
A Guido Pfeiffer auguro di fare un viaggio meraviglioso di incontrare il Dr. Cascio e di ricevere in cambio tutti i sogni che ci hanno permesso di fare sfogliano le pagine dei loro giornali…GRAZIE DI TUTTO QUESTO!»

Nulla è per caso…

(a cura di Romano Barluzzi)
Dico subito che condivido parola per parola quel che ha scritto l’amico Alberto Balbi sul suo post “La fine di un’epoca” a proposito della chiusura dell’ultima rivista cartacea “SUB”, specie per gli aspetti culturali e di affezione a tutto un mondo che se ne va e al quale sono appartenuto anch’io, ragion per cui trovo doveroso aggiungerci del mio. Penso infatti che, senza in ciò alcuna pretesa di piacere a tutti, una lettura forse meno romantica (e non per questo meno affettiva) ma, soprattutto, altrettanto veritiera possa contribuire a un processo di crescita e maturazione della nostra comunità subacquea in cui ancora ostinatamente credo. Se rischierò di sembrare troppo schietto non sarà solo per la mia natura di toscano bensì per aver vissuto sulla mia pelle tutto il danno morale e materiale della chiusura forzata della casa editrice più antica (dopo averci militato in ogni ruolo possibile relativamente alle collane librarie e al giornalismo…), che fu quella di riviste come Mondo Sommerso, PescareApnea, PescareMare ecc, nata prima dell’ultima Guerra Mondiale.
La crisi del giornalismo della carta, almeno nel nostro Paese, non è da attribuirsi a un mondo internet che del resto appare a sua volta ancora sottosviluppato, bensì alla crisi della stessa editoria, cioè dell’imprenditorialità del settore. Che a sua volta ha preceduto di parecchio tutto quanto. In sintesi, la “fine di un’epoca” di cui stiamo parlando è cominciata molto prima di quanto si pensi e di quanto molti possano anche soltanto immaginare. È iniziata quando per anni le testate cartacee sono state tenute ostinatamente “isolate” rispetto al web, o al massimo con un web di appoggio fatto di siti-vetrina statici e inutili, anziché paralleli, dinamici e sinergici alla versione cartacea. In sostanza, non si è investito, o non lo si è fatto nel modo che sarebbe potuto servire, preferendo spremere fino allo sfinimento l’esistente, cioè quel “limone” delle rotative, della cellulosa, dell’inchiostro, negando anche l’evidenza degli inserzionisti che foraggiavano sempre di meno, per poi ritirarsi uno ad uno; dei conti in rosso per anni consecutivi; del millantare tirature più gonfiate d’una mongolfiera; del continuare a esporsi al bagno di sangue della distribuzione in edicola ecc. Mentre il resto del mondo cambiava, mentre il nostro stesso pubblico di lettori adeguava i propri orientamenti, gli esponenti (anche se non tutti) di quell’eldorado che era stata l’editoria della carta continuavano a pretendere di crogiolarsi negli allori del tempo che fu, cercando caparbiamente di ripristinarlo di continuo, nel più isolazionista auto-mantenimento, sebbene in forma necessariamente sempre più al ribasso. Un’economia dell’impoverimento: meno pagine, spessori della carta ridotti, foto di bassa qualità, collaboratori non pagati, giornalisti soppiantanti da chi non lo era, interi campi di argomenti “vietati” agli autori delle pagine ecc. Una penosa tendenza al risparmio propria di chi sa solo trovare più comodo attendere la fine. Spesso perché non avrebbe neppure saputo fare altro. Talvolta anche per chissà quali altri giochetti. Non tutti, dicevo: sono molte le case editrici salvatesi – alcune addirittura nate in piena crisi – che oggi viaggiano bene sia su web sia su cartaceo, a riprova del fatto che la buona imprenditoria editoriale esiste, solo che – almeno finora – non è appartenuta al settore sub.
Perciò quella di cui parliamo è “la fine di un’epoca” che non è arrivata per caso, né per colpa degli extraterrestri, né tantomeno improvvisamente. Una fine mai dipesa dalla fase giornalistica delle riviste, che anzi fece presente fin dall’inizio quali fossero le soluzioni allora praticabili, ma restando inascoltata per la sordità di editori che avevano trovato facile fare imprenditoria in periodo di vacche grasse, salvo poi scoprire che è quando si entra in quello delle vacche magre che si svela chi sa farla davvero. Una fine annunciata, da almeno 10 anni a questa parte, ma con i primi sentori che sarebbe possibile far risalire anche ai 15 anni orsono. E oggi? Oggi è solo troppo tardi: non si tratta più d’invertire una tendenza, ormai improntata a un disfacimento già puntualmente accaduto. Semmai servirebbe cercare di instaurarne una del tutto nuova. Ripartire da zero, e con basi diverse. E qui – parlo sempre per diretta esperienza personale – si scopre un’altra faccia della medaglia: un web che non funziona ancora come potrebbe. Ormai tre anni fa, insieme ad altri sognatori fuoriusciti proprio dalle esperienze di Mondo Sommerso, e dopo una lunghissima gestazione progettuale, abbiamo avviato “SerialDiver”. Lo ricordo non soltanto per il fatto di essere stati citati nel suo post di commento a quello di Alberto dal celebre fotosub Francesco Pacienza – che ringrazio anzi per averci menzionato per ciò che siamo, ovvero la sola vera testata giornalistica di settore rimasta funzionante – ma anche per correggerlo: il progetto della rivista on-line SerialDiver, inserito in un’associazione no-profit agente da service editoriale chiamata “mediAterraneum” di cui è il prodotto multimediale di punta, è una compagine di esperti, autori e collaboratori in vari campi di editoria, giornalismo, fotografia, grafica e web che finora hanno prestato la propria opera del tutto gratuitamente, portando in dote a questo progetto venuto dal basso la sola propria “professionalità” (concetto da non confondere mai con quello di “professionismo”). In sintesi – e da esperti – diciamo che “ci abbiamo creduto e scommesso”! Ebbene, oggi che pure siamo diventati già da un po’ un riferimento sotto il profilo culturale – abbiamo per esempio sdoganato veri e propri tabù dell’informazione di settore, riuscendo a trattare con successo pure tematiche che erano state proibite nei prodotti cartacei; e facciamo più lettori con un solo articolo nella prima mezza giornata d’uscita di quante copie vendessero al mese tutti quelli del cartaceo di settore rimasti fino a poco tempo fa – constatiamo di aver potuto usufruire fino all’altro ieri dell’appoggio di immagine di un solo inserzionista e per giunta extra-settore! In ciò dunque siamo noi stessi uno specchio della situazione che vede un’editoria della carta scomparire mentre ne manca ancora una del digitale che venga ritenuta almeno altrettanto valida sul web. Né si può dar torto a certi investitori – e non dico quelli che si sono ostinati per ragioni più affettive che altro a dare ancora due spiccioli alle poche pagine di carta rimaste, sebbene sapessero che non servivano più a niente – dato che non si capisce perché un imprenditore dovrebbe trovare interessante investire in un internet ricettacolo di fake-news ancora denominabile più “far-web” che altro. Un universo moderno solo tecnicamente, dove impera il furto d’immagini, l’appropriazione indebita di iniziative e idee, il copia-incolla multiplo e selvaggio su qualsiasi testo, la sistematica violazione della privacy e del copyright, la proliferazione di siti che si spacciano per testate giornalistiche senza esserlo (per giunta sostenendo di “fare informazione”) e tutto ciò nella più totale presunzione d’impunibilità, con una referenzialità e un’affidabilità dei contenuti il più delle volte pari a zero…
In mezzo a questo calderone una speranza appare quella di distinguersi per la qualità delle scelte editoriali fatte, del lavoro divulgativo svolto, delle buone pratiche di comunicazione intraprese e della costanza in ciò applicata. La seconda e conseguente speranza è che qualcuno se ne accorga. Che sappia scegliere, accorgendosi delle differenze. E si ricrei tutto intorno, grazie all’apporto di ognuno, quel senso di community così declamato e perduto, ma non quello oggi tanto caro ai social media che, se va bene, si risolve in una massa di esasperati individualismi smanettanti, gli ormai celeberrimi “leoni da tastiera” (una fiera delle vanità cui all’estero hanno perfino dato il nome: “vanity-press”!), più spesso pieno di “webeti” come li ha ridefiniti Enrico Mentana; bensì di “comunità” autentica, fatta di individui con la stessa passione, che riscopra il senso di appartenenza a una categoria di valori, che si ritrovi culturalmente intorno a un progetto condiviso, una casa comune. Ciò che furono un tempo “le riviste di subacquea”, per l’appunto. Perché aver perso questo è aver perso la propria stessa identità di subacquei.
Insieme al coautore Leonardo D’Imporzano abbiamo già pubblicato nell’e-book dal titolo “SubPuntoCom – la subacquea nei media, dalla carta al web” tutto questo e molto altro, fin dall’autunno 2013. E tuttavia una chiosa finale la dedico ai nostalgici della carta, perché lo sono anch’io e credo che chi l’ha conosciuta lo sia di default: un prodotto cartaceo settoriale di buona qualità, da collezione anziché usa e getta, sarebbe ancora possibile purché abbinato a – o meglio, derivato da – un buon web e alla larga dalla filiera dell’edicola… come già stanno dimostrando svariate case editrici che – in altri settori, s’intende – incontrano il successo auspicato. Noi comunque siamo qui.

Francesco Pacienza by Facebook

Condivido e plaudo a quanto da te scritto, Alberto. Anche questo è uno spaccato di un’Italia ormai alla deriva e allo sfascio.
Volendo rispondere a Stefano Bianchelli oggi in Italia sulla rete non vi sono testate giornalistiche subacquee eccezion fatta per una testata, la prima in Italia, fondata da Paolo Bastoni e che non pubblica più e Serial Diver; perchè affermo ciò, perché queste due hanno tutti i requisiti di testata giornalistica, con tanto di Direttore Responsabile e redazione e redattori, ossia persone che vengono remunerate per ciò che scrivono. Questo solo per onestà e correttezza di informazione.


I relitti parlano

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Ecco un inquadramento del Trofeo Andrea Ghisotti 2018 di fotografia subacquea tematica, con invito di partecipazione a tutti i sub. Ma affrettandosi per le iscrizioni a questa VII Edizione, aperte fino alla fine di gennaio.

A cura della Redazione e di Rossella Paternò.

Desideriamo anche noi dare il giusto risalto a un concorso tematico di fotografia subacquea dedicato ai relitti che sta facendo parlare di sé già da sei edizioni, essendo diventato evidentemente molto prestigioso e ambito. Si tratta del Trofeo Andrea Ghisotti HDSI, ormai ridefinito anche con l’amorevole soprannome di “il Trofeo dei Relitti”, giunto alla sua VII (7^) Edizione. Per la quale c’è ancora tempo d’iscriversi fino alla fine del corrente mese di gennaio 2018. Con premiazioni nel contesto del prossimo EudiShow, in svolgimento a Bologna dal 2 al 4 marzo 2018. Anche la nostra rivista esorta così alla partecipazione, che renderebbe merito alla memoria di Andrea Ghisotti (scomparso nel 2010), indimenticato autore e fotografo da reportage sub, per l’appunto specializzato in relitti, che si prodigò a documentare a centinaia in tutto il mondo. Proprio a lui viene attribuita la frase-mantra che caratterizza oggi il Trofeo e che era noto ripetere ad allievi sub e agli altri fotosub: “Senza una sua storia, un relitto è solo un mucchio di lamiere”. Perciò il motto d’accompagnamento di questa edizione che ne caratterizza il tema è stato proprio “I relitti parlano”, come sottolineando l’anelito a ridare voce ai relitti, con quella propensione alla ricerca indispensabile per ritrovare le storie dimenticate e le identità perdute sotto la superficie dei mari di quelle che furono navi e che oggi costituiscono il target preferito da moltissimi amanti delle immersioni. Le categorie di partecipazione sono due: la “Foto Singola” e il “Reportage”. Il premio in palio è il simbolo stesso del prestigioso Trofeo, in omaggio al suo valore commemorativo: una riproduzione in ceramica della mitica Nikonos III, il modello di fotocamera subacquea appartenuto ad Andrea, unitamente a una targa in argento.
Ogni informazione (compreso scheda d’iscrizione e regolamento entrambi scaricabili) si può avere consultando il riferimento web di HDSI – Historical Diving Society Italia: www.hdsitalia.org, e/o scrivendo all’e-mail dedicata: trofeoghisotti@hdsitalia.org. La cerimonia di consegna del Trofeo in seguito alle premiazioni avverrà come già accennato proprio presso Eudi Show 2018, partner dell’evento.
Cogliamo l’occasione per allegare qui di seguito un articolo ad hoc di Rossella Paternò circa la cronistoria della precedente edizione, la 6^, e della relativa premiazione all’EudiShow dello scorso marzo 2017, con foto di Marco Sieni, dalla quale si può avere un’idea più precisa del prestigio che questa iniziativa ha saputo raggiungere:

EMOZIONI DI FERRO!

Assegnato a Bologna il VI TROFEO ANDREA GHISOTTI HDSI 2017
Di Rossella Paternò. Foto Marco Sieni.

Lo scorso 5 marzo, davanti a una foltissima platea di fotografi e appassionati, il Trofeo Andrea Ghisotti – HDS ITALIA, giunto alla sua sesta edizione, ha fatto il suo debutto a EUDI Show. Trofeo, non concorso, ci piace ogni volta ripetere. Il Trofeo dei Relitti, che premia la foto e il reportage che meglio interpretano lo spirito di Andrea Ghisotti: “Senza una sua storia, un relitto è solo un mucchio di lamiere”.
Una cerimonia carica di emozione. Tantissimi i lavori arrivati, sia nella Categoria Foto Singola che nella Categoria Reportage. Sul palco, i grandi amici di Andrea. A partire dalla giuria, composta dai fotografi ed esperti di relitti Stefano Ruia e Marco Giuliano e dallo storico Pietro Faggioli, compagni di tante spedizioni. Capitanati dal Presidente di Giuria Angelo Mojetta, che con Andrea ha condiviso decine di progetti. Federico de Strobel, Vice Presidente HDSI, che ha fatto gli onori casa mentre sullo schermo scorrevano le immagini dei lavori partecipanti.
I lavori sono stati valutati in base alla difficoltà tecnica, alla composizione fotografica, alla creatività, intesa come ricerca, e ai dettagli. Per la categoria Reportage si è valutata anche l’originalità del testo, la ricerca personale, lo stile. Proprio per l’eccellenza dei lavori presentati, la Giuria ha deciso eccezionalmente di designare una rosa di finalisti, anziché esclusivamente i due vincitori.

CATEGORIA FOTO SINGOLA
1° classificato – PRIMO CARDINI
2° classificato ex aequo – ALDO FERRUCCI
2° classificato ex aequo – DOMENICO TRIPODI
3° classificato – ROBERTO SPINSANTI

CATEGORIA REPORTAGE
1° classificato – MARCO BARTOLOMUCCI
2° classificato – CLAUDIO GRAZIOLI
3° classificato – ALESSANDRO PAGANO

I primi classificati hanno ricevuto il crest HDSI e la prestigiosa riproduzione in ceramica della Nikonos III di Andrea (si, proprio della sua), oltre che l’iscrizione a HDSI per l’anno in corso.
Saremmo voluti restare su quel palco un’ora o anche due per fare mille domande ai vincitori, ai finalisti, agli autori di questa o quella foto, per avventurarci nelle chiacchiere sui relitti e come li avete visti.
Andrea Ghisotti è stato un grandissimo fotografo, scomparso nel 2010, che ha illustrato e raccontato i mari di tutto il mondo fin da quando organizzare un viaggio fotosub era cosa eroica. O quando ancora era la pellicola a dettare le regole: 36 scatti, non uno di più. Negli anni, Andrea è divenuto uno dei più importanti esperti di relitti. Ha esplorato centinaia di relitti in tutto il mondo, con l’occhio sempre all’erta nel documentare storie perdute o individuare un’identità dimenticata sotto le onde. Ha creato un nuovo modo di raccontare e documentare la storia. I suoi reportage riuscivano ad appassionare chiunque, anche chi sott’acqua non ci mette proprio testa! Per questo, e non solo, Andrea ha ricevuto nel 2003 il Tridente d’Oro di Ustica per l’opera divulgatrice svolta come fotoreporter in campo subacqueo. E nel 2007 l’Award di The Historical Diving Society Italia, per aver dato un contributo personale di assoluto rilievo alla diffusione e al progresso del turismo subacqueo. Questo, è lo spirito del Trofeo Ghisotti. Non un concorso, ma un riconoscimento a chi vuole raccogliere il testimone e con passione raccontare a modo suo il mare, i relitti, la storia e la subacquea.
Grazie a tutti per aver partecipato e grazie soprattutto per lo spirito con cui avete partecipato.

Cos’è l’EQ tool

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«Apparecchio che misura la pressione durante la compensazione, è stato presentato qualche mese fa suscitando da subito forte curiosità tra gli addetti ai lavori. Ma non è ancora ben conosciuto dalla gran massa degli apneisti.»

A cura di Marco Mardollo

Durante uno stage organizzato ad Y-40 dall’associazione Apneafree di Roma, tra le lezioni teoriche ce n’è stata una dedicata all’uso dell’EQ tool, un dispositivo per monitorare la compensazione.
L’EQ tool è stato presentato qualche mese fa e ha suscitato da subito una notevole curiosità tra gli addetti ai lavori, ma non è ancora ben conosciuto dalla gran massa degli apneisti.
Si tratta di un apparecchio che misura la pressione mentre si effettua la compensazione, visualizzando su uno schermo un grafico che mostra le variazioni di intensità e la durata. Basta soffiare in una pallina con un foro per una narice. Alcuni fori poi, a valle, lasciano sfuggire l’aria, simulando la diminuzione di volume, all’aumentare della profondità.
La compensazione fino a una decina di anni fa era ancora quella degli albori dell’apnea, per la serie “tappati il naso e soffia!”, così c’era chi riusciva e chi no. Per i più sfortunati l’attività di apnea era purtroppo preclusa e il discorso finiva lì.
Con le intuizioni di Eric Fattah una quindicina di anni fa, i successivi studi e approfondimenti e con la creazione di una vera e propria didattica compensatoria da parte di Federico Mana e poi di Andrea Zuccari, ormai si può dire che tutti possono imparare a compensare in maniera corretta.
Ma la novità dell’EQ tool è la possibilità di vedere in tempo reale come varia la pressione mentre si compensa, dunque se ne ottiene un feedback immediato e preciso sulla manovra.
Il funzionamento è semplice e istantaneo, lo strumento si collega Bluetooth ad uno smartphone, Ios o Android e con un’App dedicata, Earon, si può iniziare a lavorare da subito. Per chi lo volesse all’interno della App ci sono alcuni tutorial che illustrano le varie tecniche possibili con l’apparecchio.
Intendiamoci, non è uno strumento per imparare la compensazione da zero, ma chi sa compensare può ottenere dei risultati straordinari perché riesce ad allenare a secco le tecniche più raffinate e a trovarsi, una volta in acqua, ad aver già appreso gli schemi motori da adottare in profondità.
Abbiamo visto come negli ultimi anni le profondità medie degli apneisti siano aumentate, limitate però soprattutto da problemi di compensazione. EQ tool ora viene in soccorso di tutte le persone che si immergono in maniera inconsapevole e che rischiano anche l’edema con improbabili compressioni addominali in profondità.
Per chi va profondo, o cerca di andarci, diventa dunque uno strumento indispensabile per riuscire ad imparare la corretta gestione della compensazione oltre il Volume Residuo.
Sarà possibile allenare a secco manovre come il Frenzel Avanzato, il Sequenziale o il Mouthfill d’ora in poi senza dover andare realmente in profondità, con tutte le possibili implicazioni che questo miglioramento tecnico comporta, in positivo, ma anche in negativo…

Fotosub d’azzurro vestiti

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È in arrivo lo stage di aggiornamento del Club Azzurro di Fotografia Subacquea della Fipsas, dal 16 al 18 febbraio, a Roma, presso il Centro di Preparazione Olimpica.

Di Mario Genovesi

Si svolgerà, nei giorni 16-17-18 febbraio 2018, a Roma, presso il Centro di Preparazione Olimpica “Giulio Onesti” lo “Stage di aggiornamento tecnico e culturale del Club Azzurro di Fotografia Subacquea” della Fipsas. Il corso mira ad approfondire, attraverso la validità dei temi trattati e la presenza di relatori importanti e qualificati, la formazione tecnico-culturale del fotografo subacqueo. Il programma prevede workshop di tutto rilievo come “La ricerca verso una propria identità fotografica” che terrà Mimmo Roscigno, riconosciuto come uno dei massimi esponenti della fotografia subacquea italiana, professore in materia e che ha costituito, nella sua scuola, una sezione sperimentale di fotografia e cinematografia subacquea statale unica in Italia.
Roscigno racconterà del suo percorso formativo e di come si può arrivare a fare delle scelte e dei progetti che rendano la tua fotografia personale e riconoscibile.
Sarà poi la volta di un altro qualificato relatore, Marcello Di Francesco, fotografo freelance specializzato nell’immagine naturalistica sottomarina, che ha ottenuto, con le sue splendide immagini, moltissimi premi e piazzamenti nelle maggiori manifestazioni di fotografia subacquea e naturalistica del mondo, come le recenti affermazioni ai Sony awards e all’Underwater Photographer of the Year 2015 di Londra. Di Francesco terrà un workshop, “Fotosub nell’era digitale” incentrato sullo sviluppo dei file Raw e la guida al corretto flusso di lavoro per ottimizzare colori, luminosità e nitidezza delle immagini subacquee.
Il programma prevede anche un intervento di Advanced CSA, in collaborazione con Nital s.r.l, distributore ufficiale in Italia dei prodotti Nikon, utilizzati per le loro superlative qualità tecniche da quasi la totalità dei fotosub di tutto il mondo. Saranno illustrate le caratteristiche tecniche delle nuove fotocamere FX e DX, degli obiettivi più idonei alle riprese subacquee, compreso il nuovissimo 8-15 mm, e dei settaggi e accorgimenti tecnici da utilizzare per ottenere i migliori risultati.
Lo stage, che si avvarrà del supporto logistico della A.S.D. GB Sub Firenze, è aperto alla partecipazione di tutti i fotografi subacquei tesserati Fipsas, fino ad un numero massimo di venti persone.
Per informazioni: mario.genovesi@fipsas.it

Quella speciale Epifania

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Mettete assieme le acque incantate di un lago unico, un’associazione di appassionati subacquei che vi s’immerge, tanti bambini felici, delle “Befane” molto particolari e avrete una festa subacquea che ci si sente fortunati ad aver visto con i propri occhi. Appuntamento alla prossima edizione di “Le Befane del Lago” di Posta Fibreno.

Di Maria Gigliozzi. Foto Giovanni Salera e Valter Carrus

«Una sera di novembre, in una delle riunioni dello staff Assoscuba, la nostra Associazione subacquea di Sora in provincia di Frosinone, decidemmo di voler fare qualcosa di divertente anche per i più piccoli, qualcosa che potesse coinvolgere “il popolo terrestre” della Ciociaria, un modo per stare insieme e condividere con la nostra comunità un momento divertente.
E tutti fummo d’accordo nel riproporre nuovamente l’evento “Le Befane del Lago”, che avevamo già organizzato qualche anno fa con i piccoli degli associati, e di estendere l’invito anche ai bambini dei nostri amici e parenti.
Delle Befane “differenti”: in una nuova veste, con pinne, erogatori e guanti, che – con la loro scopa malandata – andassero a recuperare le calzette negli abissi del lago e le distribuissero ai bimbi presenti.
La location? Ovviamente il nostro meraviglioso lago di Posta Fibreno! L’acquisto dei dolcetti? “Troviamo gli sponsor!”
E così ci precipitammo dai gestori di tre attività commerciali di Posta Fibreno, ai quali piacque subito l’idea delle Befane Subacquee.
E, dopo aver ottenuto la loro sponsorizzazione, informammo tutti gli associati dell’evento!
Iniziarono così le prenotazioni delle calzette!
“8 per me”, “Siiiiii, altre 7 per i bimbi dei miei amici”, “Per me 5…”, “Una decina di bambini li porto io…”. E – si sa – l’unione fa la forza…una calzetta tira l’altra… fino ad arrivare a quasi 90 calzette prenotate!
“Che mi prenda una calzetta!” – esclamò Sandra Tatangelo, la nostra associata espertissima nell’acquisto dei migliori dolcetti e nella composizione pratica delle calzette – “Qui bisogna mettersi subito all’opera!”.
E il grande giorno arrivò, il 6 gennaio alle 8:00 di mattina, io e l’altra Befana Rita di Gasparro, vedemmo arrivare al diving del lago, il nostro vicepresidente Riccardo Russo, con le meravigliose calzette create con tanto amore!
Caramelle a forma di pesciolino, il logo dell’associazione su ognuna di esse, una meraviglia!
Un’emozione vederle mentre le depositavamo nelle sacche stagne pronte per essere posizionate nel lago dal nostro Presidente Domenico Zangari prima dell’arrivo di tutti i bambini.
Eravamo tutti con le pinne incrociate, sperando che non piovesse! Non solo le Befane, ma anche gli aiutanti Befanoni, il fotografo subacqueo Giovanni Salera, i videoperatori terrestri Filippo Ramiccia e Antonio Faiola, il videoperatore subacqueo Alessandro Sabucci e il controllore di assetto Alessandro Traut di Lorenzo, che avrebbe avvisato le Befane se qualcuno avesse alzato la sospensione! Altro che calzette in quel caso, ma scopettate per tutti!
E il sole era dalla nostra parte, pronto ad accogliere grandi e piccoli che a poco a poco iniziavano ad arrivare. E l’adrenalina saliva. E più saliva, più le persone continuavano ad arrivare…
Ore 10:30, ultimo giro di ricognizione. Ultimo sopralluogo tra la gente per caricare l’atmosfera. Il prato era quasi stracolmo di persone e per prepararli e ricordare l’orario di inizio evento iniziammo a dire a tutti “Ci ha telefonato la Befana, ha detto che tra mezz’ora sarà qui!”
E di corsa io e Rita indossammo le nostri vesti da Befana, piombammo la scopa e ci facemmo forza a vicenda per fare il grande ingresso!
Ci tremavano le gambe… e pure la scopa! Una marea di bambini, di persone, occhi spalancati e pieni di stupore! E noi: “Ciao bimbiiiii! siamo quiiii! Ora andiamo giù nel lago a prendere le vostre calzette! E poi ve le portiamo!”
E tra gli applausi e i cori “viva le befane!” ci immergemmo con il cuore pieno d’emozione. Per fortuna l’acqua del lago è sorgiva, e la sua freschezza ci fece riprendere un po’ dall’emozione!

Qualche foto, qualche ripresa… e il grande momento era arrivato: recuperiamo le sacche stagne con i dolcetti e riemergiamo. Altro che l’Ola dello stadio, le voci dei bambini alla nostra vista con i sacchi pieni di caramelle è un urlo che non ha eguali.
Considerando la muta, i vestiti da Befana, la scopa, la sacca, nonché le pinne e la bombola, ci muovevamo così impacciate da sembrare davvero delle vecchie befane! Forse gli applausi derivavano proprio da questo!
800 occhi puntati addosso, le braccia di oltre 100 bambini protese avanti, piccoli occhi pieni di meraviglia, vocine che dicevano “befana, la calzetta a me!”… insomma un po’ d’ansia da prestazione è venuta pure a noi!
Per fortuna il nostro grande nasone e il foulard sulla capoccia un po’ aiutava a nascondere le emozioni!
E dopo aver avuto per 3 notti di fila gli incubi che le calzette non sarebbero bastate e che i bambini ci avrebbero ributtato in acqua con la bombola chiusa… finalmente potemmo tirare un sospiro di sollievo.
Tutti i bimbi – sia quelli che avevano prenotato sia quelli di passaggio – avevano ricevuto la loro calzetta!
E da lì è continuata la grande festa, di abbracci, di baci, di foto, di emozioni vere e pure. E c’erano proprio tutti in quest’evento, anche i miei familiari, il mio nipotino… immaginate quante emozioni!
Ma l’emozione più grande l’ho avuta da una mamma di un bambino disabile presente all’evento che ci ha regalato queste parole:
“Grazie per la bellissima esperienza e del sorriso regalato a mio figlio, non tutti ci riescono. Spesso non è facile in questa società, ma grazie a persone splendide come voi, si va avanti…”
E così abbiamo scoperto che la subacquea ci dà emozioni non solo quando siamo in acqua, ma anche quando siamo sulla Terra!
Grazie a tutti coloro che attraverso questa giornata ci hanno fatto capire ancora di più l’importanza dell’aggregazione, della condivisione e la forza di una passione!
Onorata io stessa – una subacquea per passione – di essere addetta alla comunicazione Assoscuba.»

ATLANTIS DIVING CENTRE GOZO

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Se state pensando di concedervi una vacanza subacquea vicino a casa, dove il clima è sempre mite, l’acqua non scende mai sotto i 14 gradi, il mare è di un blu intensissimo, l’isola di Gozo e, in particolare l’Atlantis Diving Centre, è il posto che fa per voi.

Di Virginia Salzedo

Situata a sud della Sicilia, bagnata dal mar Mediterraneo, Gozo fa parte delle Isole Maltesi e si trova a circa due miglia e mezzo a nord ovest di Malta. Meno turistica e più selvaggia rispetto alla sorella maggiore, ha un perimetro di soli 14 chilometri, ma vanta oltre 60 punti d’immersione spettacolari, che possono accontentare davvero tutte le tipologie di subacquei.
Numerose grotte con giochi di luci sorprendenti, pareti coloratissime, tanti relitti totalmente integri e molteplici organismi che fanno la gioia di tutti gli appassionati di biologia marina.
È raggiungibile dai principali aeroporti italiani dopo un volo di un’ora e trenta, con le compagnie Air Malta, Meridiana, Alitalia e Ryanair a prezzi davvero contenuti (segnalo che Air Malta dà la possibilità ai subacquei di portare 32 Kg di bagaglio in stiva e 10 kg di bagaglio a mano). Una volta atterrati all’aeroporto della Valletta a Malta ci sarà ad attendervi un’autista che vi porterà in 40 minuti a Cirkewwa, dove parte ogni ora il traghetto per Gozo.
In meno di trenta minuti raggiungerete Gozo e troverete il furgoncino dell’Atlantis Diving Centre ad attendervi.
Gli alloggi che il Diving Centre mette a disposizione per i clienti sono di varie tipologie, dal confortevole Atlantis Lodge, hotel munito di ogni confort e piscina esterna, situato a pochi metri dal diving, a vari appartamenti e residence per chi viaggia in famiglia o vuole fermarsi più a lungo e sceglie la comodità di un comodo appartamento.
Il diving ha grandi spazi ed è organizzato in modo razionale ed impeccabile e può pianificare immersioni per gruppi molto numerosi.
Dispone di 3 compressori per la ricarica delle bombole che possono preparare qualunque tipo di miscela, dalla semplice aria al Nitrox, al Trimix, grandi vasche per il lavaggio dell’attrezzatura, spazi attrezzati per l’asciugatura ed il deposito del materiale.
Qui avete la possibilità di noleggiare tutta l’attrezzatura completa, sia per subacquei ricreativi che tecnici.
Inoltre, l’Atlantis Diving Centre dispone di una sala attrezzata per foto-video ed un’aula didattica dove vengono tenuti i corsi di qualunque livello.
Il diving, aperto tutto l’anno, è gestito dai proprietari Stephania e Brian Azzopardi e dispone di uno staff di 15 persone, tra cui due istruttori italiani, Georgia e Denis.
Per la conformazione del territorio e per i venti molte immersioni si svolgono da terra, così da poter trovare sempre una costa riparata che consenta di immergersi con qualunque tempo.
Si raggiungono i luoghi d‘immersione con mezzi 4X4, mediante tragitti che durano dai 5 ai 15 minuti.
Gli accessi al mare sono tutti abbastanza comodi, attrezzati con apposite scalette, così da poter agevolare l’entrata e l’uscita dall’acqua.
Tra le immersioni imperdibili segnalo il “Blue Hole”, con la sua scenografica entrata da una piscina naturale che porta direttamente in una grotta con due grandi archi; “Inland sea”, situata in una poetica baia di pescatori, dove ci si immerge direttamente in un tunnel per metà emerso; “Cathedral Cave”, una grotta con degli indimenticabili riflessi di luce ed infine il relitto “MV Carwela”, un traghetto passeggeri lungo 58 mt., dove all’interno si trova una scalinata che ci riporta con la memoria ad alcune scene del film Titanic.
L’Atlantis Diving Centre propone un pacchetto comprensivo di 7 notti all’Hotel Atlantis Lodge, trasporto dall’aeroporto di Malta all’Hotel e ritorno (escluso il biglietto del traghetto, che si acquista direttamente in biglietteria al momento del ritorno e costa Euro 4.50) e 10 immersioni guidate da riva a prezzi che partono da 510 Euro a persona.

Atlantis Diving Centre GozoPer informazioni e quotazioni
visitare il sito web www.atlantisgozo.com
o scrivere a diving@atlantisgozo.com
Telefono: +35622190000
Cellulare1: +356 79710390
Cellulare2: +356 79562888
ATLANTIS DIVING CENTER
Triq Il-Qolla Is-Safra, Marsalforn, Gozo, Iż-Żebbuġ MFN 1405, Malta

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